I dibattiti

Il vero predatore

Nella grande ruota del tempo, la presenza dell’umano sarà una breve e un po’ assurda parentesi

(Keystone)

Diciamocelo chiaramente: il tema che occupa televisioni, radio e gazzette (e politici in brama di consensi trasversali) non è tanto quello della “salvezza del pianeta”, quanto quello della “salvezza della presenza dell’uomo nel pianeta”. Lo ha detto, peraltro, il segretario Onu Guterres commentando un paio di giorni fa l’ultimo allarmato rapporto dell’Ipcc. Ma siamo sicuri di meritarci questa salvezza, e siamo sicuri che il pianeta non si meriti di meglio? Magari l’assenza, e non la presenza, dell’uomo?

Due elementi sono sotto i nostri occhi: da una parte le terribili predazioni che l’uomo ha fatto, e continua a fare, ai danni del resto della natura, dall’altra la straordinaria resilienza della natura quando l’uomo allenta solo per un attimo la propria morsa distruttiva.

Sul primo aspetto non vale la pena spendere molte parole, tanti sono gli sfregi che vengono fatti al pianeta in nome di un autoproclamato superiore diritto umano al saccheggio delle risorse. Mi piace però, nello stesso ordine di idee, sottolineare quanto siano ridicoli, quasi osceni, gli slogan di coloro che chiedono di “salvare le Alpi” sterminando lupi, orsi, linci e altri animali che osano – supremo oltraggio – cercare di ritagliarsi qualche spazio di esistenza in vita. Sul lupo la campagna ha, da noi, assunto una violenza e una molestia inaudite; alimentando nel pubblico una sorta di assurda e immotivata psicosi, i media suonano ogni giorno la grancassa a colpi di allarmismi e di narrazioni ansiogene, dando voce ad ogni estremismo, in un vortice di assurdità che conferma il peggio che qualcuno pensa a proposito di coloro che fanno “informazione”. La politica segue, tacendo o soffiando sul fuoco. Contrariamente a tutti gli altri Paesi, anche europei, che convivono da anni con i predatori (e hanno adottato misure), sembra che nella civilissima Svizzera l’unico modo di relazionarsi con i predatori sia… farli fuori e basta. Gli allevatori, che versano lacrime d’amore su capretti e agnelli alla vigilia del pranzo pasquale, non si contentano di sussidi e di compensazioni finanziarie; ritengono quasi offensivo che si osi chiedere loro di adottare misure di protezione che vadano al di là del puro e semplice abbandonare le greggi in quota, o poco meglio. E nella loro vertigine quotidianamente ci ammorbano con appelli all’odio e allo sterminio; nell’impunità totale, rovesciano carcasse davanti al parlamento; e lanciano appelli alle doppiette, se non all’esercizio di illegalità. La verità vera è invece che solo l’assenza dell’uomo, predatore principe, può “salvare le Alpi”. Con buona pace di taluni frequentatori di chiese e sagrestie (e al netto del nostro autoproclamarci immagine del divino), il mondo non esiste a uso e consumo dell’uomo, non è stato “creato” per noi; ogni cosa che vive sul pianeta ha la propria dignità e il diritto di vivere secondo natura, l’uomo ne è una parte importante ma ha ora idonei strumenti per relazionarsi in modo rispettoso e non omicida con il vivente.

“Gli alberi muoiono in piedi”: un’espressione che possiamo prendere a prestito per alludere a quanta forza e dignità vi sia nella natura, quali lezioni di vita ci potrebbero dare tutti gli esseri che hanno la (in generale scarsa) fortuna di condividere il nostro percorso, e che muoiono per nostra mano. Ma vi è anche la capacità della natura di rapidamente rigenerarsi se viene interrotta la spirale distruttiva innescata dalle attività umane; delfini in Laguna e cervi tra le case durante il lockdown, caprioli e cinghiali tra le rovine di Chernobyl, fiori e alberi che sbucano non appena l’uomo gira lo sguardo. Nella grande ruota del tempo, la presenza dell’umano sarà una breve e un po’ assurda parentesi, poco più di una isterica caccola, e la natura tornerà al proprio ciclo; è questa certezza un po’ minima che può forse consolare di fronte allo sfascio che siamo stati in grado di produrre.