Ho letto recentemente che i responsabili di un glorioso Velo club ticinese sono preoccupati per le difficoltà di reperire sponsor a sostegno dell’attività agonistica (crisi economica e poca visibilità delle corse locali), ma soprattutto perché è diventato un problema trovare giovani da formare per le corse su strada: i genitori sono infatti restii a mandare i figli allo sbaraglio sulle strade ticinesi a causa dell’intenso traffico e relativi pericoli per la loro incolumità. Come dar loro torto, visti i precedenti non solo sulle nostre strade. Una volta si diceva che il problema ‘sta a monte’: nel non aver affrontato con la necessaria determinazione politica il boom delle due ruote, non tanto a livello competitivo ma pensando piuttosto ai numerosi ciclisti della domenica (e alle famiglie) che preferiscono fare un po’ di sano moto all’aria aperta piuttosto che scorrazzare sul lungolago a scappamento aperto. Un tempo c’era uno slogan che parlava del Ticino come ‘terra di ciclisti’. Vero pensando ai corridori ticinesi che si sono affermati in campo internazionale, oppure ad alcuni professionisti del pedale stabilitisi da noi perché siamo italofoni e magari anche per altre ragioni; o ancora se si fa riferimento ai Campionati del mondo organizzati magistralmente in Ticino gli anni scorsi. Non credo per le infrastrutture che permettono l’uso su strada della bicicletta in tutta serenità.
A differenza di altri Paesi certo più favoriti dal punto di vista della conformazione del territorio che hanno allestito piste ciclabili percorribili in tutta sicurezza, o delle città del Nord dove, malgrado il freddo e la neve, le bici la fanno da padrone tutto l’anno, da noi non si è fatto molto. La convivenza sulla strada tra biciclette e autoveicoli è, salvo lodevoli eccezioni, piuttosto problematica: basta fare il giro del lago di Lugano la domenica mattina, percorrere qualche valle laterale per rendersene conto: strade pensate essenzialmente per il traffico motorizzato, spesso con bordi dissestati disseminati di tombini e griglie, veicoli sempre più ingombranti e automobilisti impazienti, con imprecazioni e sorpassi azzardati. Se poi i ciclisti viaggiano in gruppo...
La ricetta sembra allora quella di spostare i giovani dalla strada ai boschi (il Ticino ne è ricco), lasciando la bicicletta da corsa per passare alla mountain bike. Bella trovata! Così i boschi, già frequentati da umani amanti della tranquillità, cani, cavalieri, chi fa jogging o fa legna, cercatori di funghi e castagne, cacciatori, praticanti la corsa d’orientamento (e dimentico di sicuro qualche categoria di utenti), si trasformerebbero completamente in una palestra per sportivi da competizione in allenamento. Se la pratica prendesse piede, sui sentieri ci sarebbe un traffico da regolare con segnalazioni verticali e orizzontali agli incroci, con magari limiti di velocità e, nei punti critici, controlli di polizia. E con l’arrivo della bella stagione la situazione diventerà ancora più problematica.
Mi chiedo se ci sia ancora qualcuno che consideri il bosco come un tratto culturale identitario, un ecosistema vitale prima di tutto per la flora e la fauna che ne costituiscono l’essenza, ma di riflesso prezioso anche per noi umani; un sistema che va conosciuto, amato, rispettato nei suoi ritmi e protetto, con il quale dobbiamo imparare a convivere, per trarne reciproci benefici.