Come possiamo convincere i nostri concittadini, il nostro governo e le nostre istituzioni che le fondamenta della nostra umanità e dei nostri principi sono calpestate quando in realtà il nostro sguardo è distolto da una gioventù sacrificata che cerca aiuto e rifugio da noi? Giovani provenienti da altrove, con tradizioni, credenze e costumi diversi che ci sfidano con questa diversità che spesso vediamo come una minaccia invece di coglierne la ricchezza. Tutte le guerre, tutti i disastri naturali e – perché non ammetterlo senza la freddezza dei ricchi – tutte le miserie economiche sono fonti di migrazione; Seneca scriveva in questi termini circa duemila anni fa. Le persone migrano, lo hanno sempre fatto e lo faranno sempre.
Le nostre istituzioni hanno a lungo faticato ad accogliere i rifugiati, con la recente eccezione di quelli con cui possiamo identificarci più facilmente. Questo ci ha permesso, oltre ad accogliere meglio i nuovi arrivati – che pure ne avevano bisogno – di scoprire che la barca non era poi così piena, che si aprivano le porte di alloggi cosiddetti inesistenti, che la possibilità di lavorare era possibile grazie a permessi ad hoc, spuntati dal nulla. Che il "tempo lungo", che si diceva essere inevitabile, poteva essere miracolosamente abbreviato.
La Sem (Segreteria di Stato per la Migrazione) rimane il nostro incubo permanente. La nostra équipe dell’Associazione Appartenances, composta da 16 psicoterapeuti – psicologi e psichiatri – elabora, su richiesta della Sem, relazioni che richiedono molto tempo per i richiedenti asilo, che rappresentano una parte della nostra base di pazienti. Si tratta di pazienti che seguiamo da mesi, a volte da anni, con i quali abbiamo instaurato un rapporto di fiducia reciproca e che ci mostrano, oltre alla loro storia migratoria, il loro disagio e il loro stress di fronte a una risposta statale solitamente negativa. Noi stessi siamo scoraggiati e delusi, nutrendo un sentimento di impotenza, ma anche di rabbia perché la nostra parola di specialisti pluricompetenti non viene presa in considerazione e rimane soggetta a una burocrazia il cui unico obiettivo sembra essere quello di rimandare indietro il maggior numero possibile di richiedenti asilo. Con il cieco assenso dei Cantoni e della popolazione.
E così sia. Ma riceviamo anche adolescenti non accompagnati, per qualsiasi motivo, e sappiamo – è possibile oggi non saperlo? – che la maggior parte di loro ha affrontato difficoltà inimmaginabili per arrivare qui, difficoltà come la fame, la sete, il racket dei contrabbandieri, i maltrattamenti, le torture, gli abusi sessuali, la perdita dei propri cari, la lontananza dalla famiglia. Arrivano in questo nuovo Paese, il più delle volte idealizzato (la Croce Rossa, la democrazia, i diritti umani), e pensano che il loro calvario sia ormai alle spalle, che a poco a poco potranno dimenticare; sono giovani, hanno la vita davanti, potranno studiare o imparare un mestiere, diventare svizzeri. Perché no?
Ma non sanno che si scontreranno coi "tempi lunghi" istituzionali, che saranno parcheggiati in edifici inadatti, con educatori esausti e poco supportati, che il loro percorso scolastico sarà approssimativo, che stage e lavori saranno difficili o impossibili da ottenere, che le nuove abitazioni saranno solo virtuali. Che a poco a poco il loro sogno svizzero si trasformerà in un incubo, che la decisione di espulsione può arrivare da un momento all’altro e spesso in modo casuale, e soprattutto che agli occhi degli altri, gli abitanti di questo bel Paese, la loro vita non conta. Quindi, se non conta...