C’è qualcosa di patetico, ma anche di paradigmatico in quanto accaduto ai pentastellati italiani
C’è qualcosa di patetico ma anche di paradigmatico nella parabola dei pentastellati italiani. Patetico è il tentativo di inaugurare una nuova e inedita stagione nella politica italiana, paradigmatico il suo fallimentare svolgersi fino alle attuali convulsioni pre-elettorali.
Il movimento nasceva dalla (effettiva?) volontà di dare luogo a una nuova modalità per affrontare problemi ed emergenze nazionali, in alternativa a un partitismo incanalato nei suoi ritmi e nei suoi riti autoreferenziali. Non quindi "antipolitica", come la si liquidò, ma un modo nuovo e "alto" del fare politica. Un modo un po’ nordico e severo, fondato su chiari principi etici, attento ai temi di merito e concepito come servizio alla comunità; anche la scelta della classe politica (neofiti non compromessi con il potere) fu in polemica alternativa con quanto si era fatto finora, con tutte le opportunità e tutti i rischi che da questo modo potevano derivare, e derivarono.
Le aporie insite in questa proposta furono evidenti fin dall’inizio, cioè dopo che sbollì l’ubriacatura del successo popolare e dello sventolio degli stendardi in piazza. Ci si sarebbe infatti attesi che il movimento inaugurasse una nuova stagione del fare politica, un nuovo modo di relazionarsi con il potere, mettendo al centro le proprie idee e i propri programmi; quindi anche con la disponibilità a mettersi all’opposizione nel caso in cui non fosse stato possibile trovare un alleato in grado di allinearsi al programma dei vincitori, o almeno ai temi qualificanti. E invece successe altro: tutto questo promettente patrimonio ideale fu sommerso dall’ansia di giungere al potere, e di rimanervi a ogni costo, anche a prezzo di compromettersi con quello stesso paludoso partitismo la cui distruzione era stato il motivo del successo popolare del movimento. Coloro che osarono richiamare l’attenzione su questa schizofrenia, su questo tradimento, furono allontanati. Di fronte al formidabile culo che l’aveva proiettata nell’empireo del privilegio istituzionale, la nuova nomenklatura degli eletti pentastellati pensava di meritare di starci il più possibile, a ogni costo, e di lucrarci in termini di soldi e di ego almeno fino alla pensione.
Complici gli errori della dirigenza (a cominciare da consulenti e dal Fondatore, cui vogliamo dare il beneficio del dubbio), l’agenda del movimento divenne quindi la mera conservazione del potere e delle poltrone, da attuare con sprezzo delle promesse fatte in campagna elettorale, e accettando anche i più squallidi compromessi con i nemici giurati di un tempo, addirittura finendo per essere parte integrante della "casta". Nulla di sorprendente che questo modo, accompagnato dall’assenza di riscontro sul fronte dei temi, abbia prodotto uno sbriciolamento della base elettorale, delusa dalle promesse disattese a livello di programmi e di etica politica. Una circostanza, questa, che ha imposto ora la riflessione identitaria e ha condotto alla situazione attuale e allo strappo; ma non tanto per recuperare una sorta di purezza originaria, e per finalmente essere quello che gli elettori avevano creduto fosse, ma (temo) per perpetuare un inganno anche alle prossime elezioni; tutti pronti, anche i moralisti di oggi, a dimenticarsi delle nuove promesse e a mettersi a tavola esattamente come prima.
Come ben dice Michele Serra, la classe politica italiana tutta è di grave pochezza, a livello di formazione, di cultura (politica ma non solo) ma soprattutto di statura morale, ed è purtroppo uno specchio non distorto del Paese intero. L’impegno civile si riduce al raccattare qualche maldestra scusa "alta" per conservare posizioni di potere, privilegi e prebende, a inventarsi qualche banale pretesto per perpetuare un’autentica rapina ai danni dello Stato e dei suoi beni, con tanti saluti per l’etica democratica e repubblicana con la quale gli eletti di ogni sponda si sciacquano la bocca la mattina per poi dimenticarla per il resto della giornata.
Ci sarebbe anche un bel discorso da fare sulla allucinante grancassa mediatica che accompagna questa situazione, con un clima assurdo da tifo da stadio e con una rincorsa alla semplificazione e alla banalizzazione anche da parte delle cosiddette "grandi firme"; ma di questo anche un poco distratto lettore elvetico può rendersi conto in buona fede, leggendo quanto si osa presentare ogni giorno sui media e sui giornali anche paludati e di antica tradizione e professionalità.
Il percorso del movimento, che nasce con un’etica un po’ "anti-italiana" (per dirla con Bocca) per poi miseramente franare proprio sulla ragione prima del suo successo, è quindi assai simbolico in senso generale. Simbolico perché dà visione chiara e plastica di un modo di intendere la politica, ma anche molto dell’etica diffusa che sta permettendo il suo perpetuarsi.
Già, e gli elettori in tutto questo? In verità, gli elettori non sono spesso molto meglio degli eletti; considerano lo Stato e i beni pubblici come qualcosa da sfruttare a fini egoistici e personali, e altrimenti solo un fardello e un fastidio. Pronti a criticare la politica, ma per comportarsi nello stesso modo nella vita di ogni giorno. Non un buon segnale per il futuro, con l’aggravante che sarà svanita in molti anche l’illusione che un nuovo e saggio costume etico-politico sia possibile.