Classe 1943, è morto a Lugano colui che viveva la politica come realizzazione di un bene comune. Il nostro ricordo.
Amava definirsi l’ultimo dei mohicani, allergico a tutto quanto fosse propaganda e potere. E forse, anche per questo, lo si incarnava piuttosto in un moderno Don Chisciotte a cavallo, anziché di un peloso quadrupede, di un vecchio e sgangherato Ciao. Harry Herber, leghista (pentito) della prima ora, non le mandava mai a dire, neppure agli ‘ex’ amici. Schietto, trasparente, determinato, un fuscello d’uomo, ma concreto e irremovibile dalle proprie convinzioni e ‘credo’ come una quercia, così come le piante che tanto amava. Ex giardiniere e da sempre ‘candidato del popolo’ – come affermava nel susseguirsi delle sue discese in campo, dai Consigli comunali ai Municipi (Carabbia e Pazzallo, quando ancora erano indipendenti dalla Grande Lugano) fino al Governo cantonale e federale – è morto a Lugano alla soglia degli ottant’anni che avrebbe compiuto nel 2023.
A lui il nostro giornale, nel rinnovarsi delle elezioni dove figurava il suo nome, aveva dedicato sempre spazio, e non solo per l’originalità del suo pensiero. Lui ricambiava questa ‘platea’ con visite mai improvvisate, ma educatamente concordate al telefono per poi presentarsi sempre con un pensiero ‘green’, una scatola di cioccolatini, da condividersi con tutta la redazione. Un gentiluomo, diremmo, purtroppo, d’altri tempi. Di lui affascinava la visione ‘alta’ della politica, l’antipatia per «gli incapaci amministratori attaccati alle poltrone con il Cementit». Così, quando ci portava il suo nuovo ‘santino’, non potevamo non ascoltarlo interessati dalla storia dell’Impero romano... fino al Canton Giura. Era un vulcano di idee e desideri, tanto da battezzare una delle sue ultime liste, destinazione la capitale elvetica, ‘Bello Sognare’.
Come il Peter Pan delle favole, Harry Herber era un visionario che nel mondo di oggi si trovava stretto, o forse sarebbe meglio dire ‘costretto’. Ingabbiato nelle convenzioni, nei doppi giochi dei partiti che, all’uscita del movimento di via Monte Boglia, a soli sei mesi dall’entrata in Gran Consiglio, non mancò di definire «la più grande delusione della mia vita». Protagonista sì di una pagina importante del Canton Ticino, ma non per questo così ‘naïf’, come si considerava, da continuare a condividerne l’assalto al potere e, ogni domenica su quel ‘foglio’, all’avversario («ogni settimana – erano state le sue parole in occasione dei vent’anni della testata, nel 2010 – il ‘Mattino’ gettava fango su persone senza ritegno e senza prove. Oggi non lo leggo più... Non c’è etica. Fosse un giornale umoristico, di gossip, potrei anche capirlo, ma oggi è anche un giornale ‘governativo’ e non può dunque agire così. Ho solo una soddisfazione, che da quelle colonne non sono mai stato attaccato»). Per lui la Lega aveva perso, fin dalle prime valanghe di voti, la sua anima: «Credevo in un partito che potesse fare una vera opposizione, dura, rigida. A un partito che fosse attento ai bisogni della gente, che costruisse qualche proposta concreta. Non ho accettato il fatto che si pensasse subito di andare a Berna, di prendere il potere, quando il compito della Lega avrebbe dovuto essere, diversamente, quello di guardiano».
Viveva in via della Speranza, «un nome che dice tutto» non ha sempre mancato di farci notare. Nel suo passato vi era stato anche lo sport competitivo: recordman nei 75 chilometri e fra i campioni del panorama ciclistico svizzero. Conosceva poi dai risvolti storici svizzeri alla giusta dose di acqua per annaffiare un fiore, e, negli ultimi anni, anche fautore di un suo auspicato passo indietro nella politica fusionistica ticinese. Quando nel 2016, per le elezioni comunali pre-Covid, varò ‘Non5ma500’ orgogliosamente ci disse: «Lo sa che la mia lista è stata la prima ad essere depositata?». Nel cuore portava la sua visione di città, continuamente con i pensieri al vento, sempre in viaggio da una parte all’altra, scattante sul suo motorino. Le mani ben ferme sul manubrio, mani che conoscevano la fatica del mestiere, "senza sconti né scorciatoie" avevamo scritto allora. Quell’Harry Herber che ha sempre scelto la strada maestra, per le sue idee e per i suoi sogni.