Di questi tempi, dentro e fuori il Parlamento, si è discusso parecchio di salario minimo, a seguito della scoperta che alcune aziende con la complicità di sedicenti forze sindacali stanno eludendo la neocostituita legge, non certo in conformità al suo spirito, stipulando contratti collettivi di lavoro (Ccl) ben al disotto del minimo salariale.
La presunta falla nell’iniziativa (così l’hanno definita coloro per i quali è più facile vedere la pagliuzza altrui che la trave propria) ha in fondo permesso di far emergere la natura di parte del nostro tessuto economico – quanto è ampio, magari lo si scoprirà – che per poter funzionare deve o vuole speculare sul dumping del principale costo di produzione, quello del lavoro.
Chi difende questo modello economico sostiene che in fondo grazie all’indotto fiscale di utili aziendali e posti di lavoro si guadagni più di quanto si perda per il deprezzamento generale dei salari e della forza lavoro residente con relative contrazioni d’indotto fiscale. Verrebbe poi da chiedersi, perché mai se si legittimano le aziende a “comperare” forza lavoro a buon mercato oltre confine, le persone residenti in Ticino debbano fare la spesa o andare al ristorante sul nostro territorio invece di andare oltreconfine. Pensiamo ancora che sia un modello economico virtuoso?
Intanto, cifre alla mano, negli ultimi 10-15 anni osserviamo che in Ticino gli esentasse, ovvero coloro che – visti i salari troppo bassi – non sono in grado di contribuire alla spesa pubblica ma ne sono a carico, sono costantemente aumentati passando dal 22% (ca. 40’000 contribuenti) nel 2003 al 27% nel 2017 (ca. 54’500) di tutti i contribuenti. Dall’altra parte invece, la percentuale d’introiti fiscali dipendenti dalle fasce più benestanti dei contribuenti (oltre i 100’000 fr. di reddito imponibile) è cresciuta dal 47% nel 2003 al 59% nel 2017 di tutti gli introiti. Stiamo assistendo a una chiara polarizzazione del substrato fiscale e di coloro che possono o non possono contribuirvi.
Non è forse questo un problema di mal ripartizione della ricchezza e del potere contrattuale? Viene perciò da chiedersi se nella recente votazione sul 99%, il voto della popolazione svizzera, ma in particolare il voto di quella ticinese, sia espressione – come è stato detto – di un’effettiva fiducia nell’economia oppure se non sia piuttosto espressione della paura di perdere l’indotto fiscale dei benestanti, dal quale sempre più le finanze pubbliche dipendono.
Intanto il Capo del Dfe Christian Vitta ha fatto intendere che i Ccl non in regola verranno sanzionati oltre che costretti a doversi adattare allo spirito e alle regole della legge sul salario minimo. Ricordando che Vitta in un servizio di Falò (Dietro le quinte del lusso del 24.11.2016) aveva spiegato che il dumping salariale nel settore moda e non solo in Italia era dovuto alla mancanza nel “sistema paese italiano” di regolamentazioni e controlli del mercato del lavoro, non può ora certamente esimersi dal mostrare che il “sistema paese Ticino” sia in grado di fare tali controlli e regolare il mercato del lavoro secondo lo spirito della legge sul salario minimo, che non era certamente quello di permettere a qualsivoglia sindacato di praticare il dumping salariale.