Si può discutere se il pluriennale esperimento dell’autogestione a Lugano si collochi sul crinale della legalità/illegalità. È questo l’unico aspetto veramente controverso, che riguarda da vicino le autorità, la polizia, la magistratura, ovvero lo stato di diritto. Tutto il resto è opinabile, materia di dibattito civile e culturale.
Purtroppo l’attuale municipalità luganese si è incagliata nelle sabbie di un gran pasticcio, che non ha saputo sbrogliare, forse presa dal panico o da incontenibili impulsi autoritari. Ma le maniere forti – questo lo si dovrebbe sapere – non sono mai risolutrici; finiscono anzi per alimentare ulteriori spirali di rancori e ritorsioni.
Ma la questione va oltre il dibattito sul centro autonomo. Investe tutta la costellazione politica, sia nel Municipio di Lugano sia nell’esecutivo cantonale. Il voto popolare ha voluto che la Lega diventasse il partito di maggioranza relativa in entrambi i collegi governativi: tre municipali su sette a Lugano, due Consiglieri di Stato su cinque a Bellinzona: una decisa coloritura leghista, di centro-destra, che la cittadinanza ha riconfermato alle ultime tornate elettorali (2019 e 2021).
La volontà popolare non è contestabile. È però lecito sollevare qualche dubbio sulla «qualità» della classe politica attualmente al potere nel cantone. L’impressione è che i partiti non siano più in grado di fornire un personale politico solido, preparato, competente, lungimirante. Non basta, per reggere le redini, saper orchestrare campagne di propaganda efficaci, sebbene di dubbio gusto: occorre anche avere alle spalle una cultura politica strutturata, coltivata negli anni, e fondata su esperienze e letture. C’è traccia di tutto questo nell’odierna élite politica? Se c’è non si vede, o comunque non emerge con il dovuto vigore. Ecco di cosa si dovrebbero occupare in primo luogo le direzioni dei partiti: di formare culturalmente i loro rappresentanti, partendo naturalmente dalle giovani leve. Le vecchie scuole non erano poi così male, se passiamo in rassegna le figure che in passato hanno raggiunto posizioni ragguardevoli, sia a Bellinzona che a Berna.
A Lugano il primo partito chiamato a sdraiarsi sul lettino dello psicanalista è il Partito liberale-radicale. Una formazione che non solo continua ad annaspare nel gorgo delle sue due tradizionali correnti (quella liberal-liberista e quella radicale, per la verità assai gracile), ma che spesso e volentieri soccombe al canto suadente delle sirene leghiste. Ulisse, per non cedere, si fece legare all’albero maestro della nave. Ma liberali della tempra dell’eroe greco sono sempre più rari sulle rive del Ceresio.
Tutto questo chiama in causa il liberalismo luganese, il suo bagaglio storico, la sua caratura, la sua forza morale. Virgilio Gilardoni, storico comunista, riconosceva a personaggi come Cattaneo, Battaglini, Manzoni, Bossi, Bertoni una levatura fuori del comune, l’espressione di un’intransigenza che aveva in uggia i sotterfugi dei politicanti, l’«ingegno trafficato», i compromessi al ribasso. Che ne è di questa galleria di antenati illustri? Campeggiano ancora i loro ritratti nei salotti buoni della città, almeno come riferimento ideale? E qui entriamo nel campo, più esteso ma anche più indefinito, dei valori che nel tempo la borghesia cittadina ha saputo darsi, certo sull’onda di una crescita, soprattutto bancaria-finanziaria, senza precedenti. Ceti dirigenti che oggi paiono disorientati e sempre meno capaci di elaborare una politica che sia all’altezza delle esigenze e delle aspettative. Giuseppe De Rita, per quarant’anni direttore del Censis, soleva dire che «la società italiana non essendo riuscita a diventare borghese è diventata borghigiana». Vale anche per Lugano. Molto si è puntato sui piani viari, sull’arredo urbano, sulla risistemazione delle vie centrali. Ma in fondo poco si sa, da un punto di vista sociologico, su com’è cambiata la popolazione con l’incorporazione dei comuni della corona e con l’esplosione dei quartieri periferici. Chi sono oggi i «luganesi», qual è la loro autoconsiderazione, quali le loro aspirazioni dopo il rimescolamento etnico avvenuto negli ultimi decenni?
Se la «missione» consiste nel rielevarsi a forza trainante del cantone, non solo economica, Lugano deve impegnarsi a ricostruire il tessuto sociale, riacquistare la fiducia dei suoi abitanti attraverso una politica coerente. In tutti i campi: dalla rianimazione del centro città alla mobilità lenta, dai grandi progetti immobiliari agli spazi alternativi. All’orizzonte già si profila il prossimo epico scontro: la riqualificazione del comparto di Cornaredo (Polo sportivo e degli eventi). Ma tanti altri settori aspettano che la politica si pronunzi con chiarezza.
Ora chi percorre la galleria Vedeggio-Cassarate s’imbatte in scorci desolanti, prossimi all’abbandono: steccati divelti dalle intemperie, cumuli di terra, rotonde senz’anima, invase dalle erbacce. Sarà questo il destino della «grande Lugano»?