Dal 10 al 20 ottobre, trenta film tra cui tredici prime svizzere e otto in Concorso, tra conflitti noti e meno noti, violenze e discriminazioni
Dieci giorni sono tanti e sono pochi. Sono tanti per un festival del film che per allestire il suo programma deve confrontarsi con le complessità di un settore, quello cinematografico, schiacciato tra mercato e arte, tra produzioni indipendenti quasi eroiche e progetti ben finanziati. E sono pochi, dieci giorni, se pensiamo alle mille declinazioni che il tema dei diritti umani può prendere, dalle guerre alle conseguenze della crisi climatica passando per disparità di genere e le tante forme di sfruttamento. I dieci giorni dell’undicesima edizione del Film festival diritti umani Lugano, dal 10 al 20 ottobre, raccontano questa tensione, tra un festival che è cresciuto e si è consolidato, riuscendo ad esempio a mantenere la sezione competitiva introdotta nel 2023 per celebrare i dieci anni di festival e avviando numerose collaborazioni, e gli sforzi necessari per trovare film e le risorse necessarie, sempre ad esempio, per sottotitolare in italiano tutti i film in programma o per l’importante lavoro con le scuole che si integra nel programma di proiezioni pubbliche.
Tra i punti più delicati degli sforzi organizzativi del Film festival diritti umani, c’è sicuramente quello delle sedi: alcune delle proiezioni si terranno al Cinema Iride e al Lux art house di Massagno, oltre che all’Auditorium dell’Università della Svizzera italiana, ma il cuore del festival rimane il Cinema Corso, la storica sala luganese le cui condizioni sono tuttavia sempre più precarie. Come ha ricordato il presidente del festival Roberto Pomari in conferenza stampa, sarebbe un peccato perdere un luogo simile.
Le storie dell’undicesima edizione del festival sono tuttavia altre: quelle degli oltre trenta film selezionati, di cui 13 prime svizzere e 8 in Concorso, opere che – stavolta citiamo la presidente della Fondazione diritti umani che sostiene il festival, Morena Ferrari Gamba – mettono la forza del cinema e dell’immagine al servizio dell’umanità, raccontando soprattutto attraverso la loro mancanza l’importanza dei diritti umani. E questo è un periodo particolarmente difficile per i diritti umani, o forse sarebbe meglio dire un periodo nel quale è più difficile per chi vive in una ricca democrazia occidentale fare finta di nulla: il riferimento, fatto sempre in conferenza stampa dal direttore del festival Antonio Prata, va ovviamente alle “guerre vicine”, ai conflitti in Ucraina e nel Vicino Oriente, a Gaza e adesso anche in Libano. E qui va ovviamente citato il regista Avi Mograbi che il 18 ottobre ritirerà il Premio diritti umani per l’autore, incontrando il pubblico e presentando due suoi film. Il primo è ‘Z32’, presentato a Venezia nel 2008 e nel quale per la prima volta vengono raccolte testimonianze e dubbi di un soldato israeliano che ha partecipato a un’operazione di ritorsione contro due poliziotti palestinesi; il secondo è ‘Avenge, but one of my two eyes’ del 2005 che racconta il conflitto dal punto di vista dei palestinesi che quotidianamente subiscono controlli e perquisizioni da parte delle forze israeliane. Il festival accoglierà inoltre il lavoro del collettivo israelo-palestinese composto di Basel Adra, Yuval Abraham, Hamdan Ballal e Rachel Szor che in ‘No other land’ ha documentato per sei anni le operazioni di espulsione forzata degli abitanti di Masafer Yatta in Cisgiordania da parte dell’esercito israeliano. E undici dei ventidue episodi di ‘From Ground Zero’, un progetto lanciato dal regista palestinese Rashid Masharawi che accompagna spettatori e spettatrici direttamente dentro Gaza, grazie allo sguardo unico e personale di giovani autori e autrici palestinesi. È ambientato in Grecia, ma riguarda il conflitto in Palestina, il film in Concorso ‘To a land unknown’ di Mahdi Fleifel storia di due amici palestinesi che, fuggiti insieme da un campo in Libano, tentano di lasciare Atene per raggiungere altri Paesi europei.
Per quanto riguarda l’Ucraina, il Film festival diritti umani è finalmente riuscito a portare ‘Photophobia’ di Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík, film del 2023 che racconta il dramma dei bambini che si nascondono nella metropolitana di Kharkiv popolata da più di millecinquecento rifugiati. In concorso troviamo invece la regista ucraina Olha Zhurba con il suo ‘Songs of slow burning earth’ diario audiovisivo della caduta del suo Paese. Fuori concorso troveremo invece la prima mondiale di ‘Berehynia, women of Kyiv’ di Vito Robbiani e Andrea Oreni che hanno seguito la redazione della rivista Elle Ucraina che nonostante la guerra continua a pubblicare la rivista da Kyiv. Quest’ultimo film ci porta a guardare a un altro dei temi affrontati da questa edizione del Film festival diritti umani le cui storie non riguardano solo i conflitti in Ucraina e in Palestina, ma anche le violenze subite dalle donne. ‘Marching in the dark’ di Kinshuk Surjan ci porta in India, dove incontriamo Sanjivani, intenzionata a garantire una vita migliore a sé stessa e ai suoi figli dopo il suicidio del marito agricoltore. Al festival sarà presente l’artista e regista Yuri Ancarani che presenterà ‘Il popolo delle donne’, versione cinematografica di una lectio magistralis tenuta dalla psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi sulle lotte personali e collettive delle donne contro la violenza e la discriminazione. In Concorso il tema della femminilità sarà portato da Antonella Sudasassi Furniss che in ‘Memories of a burning body’ (Memorias de un cuerpo que arde) attraverso i ricordi, i segreti e i desideri di Ana, Patricia e Mayela rivive un’epoca fatta di repressione e tabù.
A proposito di conflitti meno noti, in Concorso Alexis Pazoumian racconterà quello tra Armenia e Azerbaigian con ‘The black garden’ che ripercorre la storia di tre generazioni che da sempre vivono all’ombra di questi scontri. Parlerà di giustizia lo street artist francese JR che in ‘Tehachapi’ ripercorre il suo viaggio all’interno dell’omonimo carcere di massima sicurezza in California dove ha sviluppato un programma di fotografia coinvolgendo detenuti, familiari, guardie carcerarie e persone sopravvissute a crimini. ‘Twice colonized’ di Lin Alluna è un documentario su Aaju Peter, una rinomata avvocatessa e attivista Inuit groenlandese che difende i diritti umani dei popoli indigeni dell’Artico mentre Paulo Carneiro, con il film in concorso ‘Savanna and the Mountain’ racconta la resistenza degli abitanti del villaggio di Covas do Barroso, nel nord del Portogallo, contro la minaccia di un’azienda di costruire nella loro terra la più grande miniera di litio d’Europa.
Tra i numerosi incontri, da segnalare quello con la giuria del concorso che si terrà venerdì 11 ottobre al quale parteciperanno la direttrice del festival parigino Cinéma du Réel Catherine Bizern, il regista italiano Daniele Gaglianone – che terrà anche una masterclass – e la codirettrice del festival austriaco Crossingeurope Sabine Gebetsroither. Previsto anche un nutrito programma di eventi e progetti collaterali, raccolta come l’anno scorso nella sezione OltreFestival. Tutti i dettagli sul sito www.ffdul.ch.