‘Le Deuxième acte’, quattro personaggi pirandellianamente in cerca di autore nel film (senza finale, come sempre) del prolifico Quentin Dupieux
Piove sulla Croisette e tira il vento, e fare la fila davanti alle sale è complicato, se non si ha la fortuna di trovare qualche pausa tra le nuvole. Il 77esimo Festival del film di Cannes si è aperto con tutte le luci, i lustrini, i brindisi che solo questo Festival sa regalare. Già, il Cinema fa festa qui sulla Croisette, e Thierry Frémaux che di questa manifestazione è l’anima, non ha esitato ad aprire con un film come ‘Le Deuxième acte’, del prolifico Quentin Dupieux, un'opera non solo sul cinema ma su come diventa cinema, e sul peso che ha nel diventarlo, tra le influenze pesanti del modello americano e il crescente peso dell’intelligenza artificiale proprio sul processo progettuale e realizzativo dei film. Dupieux, che ha già un suo record con 13 film realizzati dal 2007, di cui sei negli ultimi quattro anni, non solo ha diretto tutti questi film, ma li ha anche scritti, girati e montati, oltre ad aver composto molte delle loro colonne sonore. Con ‘Le Deuxième acte’ ci porta a conoscere quattro personaggi pirandellianamente in cerca di autore: due li conosciamo durante una lunghissima e chiacchierata passeggiata, e sono Willy (Raphaël Quenard) e David (Louis Garrel), due amici che passeggiano nella tranquilla campagna e discutono di una ragazza di nome Florence (Léa Seydoux) follemente innamorata di David; quest'ultimo vuole scaricarla facendola incontrare a Willy. Ma i due ragazzi devono fare i conti anche con il padre di lei, Guillaume (Vincent Lindon).
Semplificando: Seydoux è un’attricetta viziata e insicura del proprio talento; Garrel è il seducente saputello che nasconde il proprio ego dietro le buone maniere; Lindon è il veterano che non ha pazienza per i dilettanti; Quenard è l'esordiente antipatico e divertente, le cui origini operaie e la cui dizione lo separano dal gruppo. Dupieux, oltre a irridere vizi e virtù dello star system francese, condendoli con lo spauracchio del problema oggi più dibattuto, ovvero il peso dell’intelligenza artificiale sul mondo cinematografico, tocca un altro tema sensibile, quello del peso del movimento #MeToo nell'industria cinematografica francese. Le voci secondo cui la stampa francese avrebbe potuto lanciare accuse contro alcuni attori, produttori e registi di fama hanno trasformato questo film in una vicenda più metaforica di quanto Dupieux probabilmente avesse mai pensato, visto che alcune scene affrontano proprio questi temi. Poi si sa quello che ci aspetta con un filmmaker come Dupieux, con il suo amore per il cinema che sempre lo spinge a una riflessione su realtà e finzione. Anche qui il tema portante del film è la rappresentazione, la vita come finzione e il cinema come finzione di una finzione, una scelta che non rassicura lo spettatore, come pure non lo rassicura l’ormai normale mancanza di un reale finale a tutti i film di questo autore. Compreso questo, i suoi film hanno tutti una durata molto breve perché tendono a non avere un epilogo classico.
C’è una considerazione da fare: Dupieux era un noto dj prima di iniziare la sua carriera cinematografica, e per l'ex dj di French Touch, noto come Mr. Oizo, evidentemente il mezzo conta più del messaggio: immaginiamo il cinema come un enorme giradischi sul quale lui si diverte a remixare, scratchare e campionare concetti per creare il proprio suono speciale, il proprio film speciale. Naturalmente, applausi alla sera d’inaugurazione; meno alla proiezione stampa. Tutto nella normalità. Cannes ha acceso i motori e le luci illuminano di cinema la Croisette, ed è già tempo di Concorso.