Non provate a ripercorrerne la Storia, non è quella isolata di Locarno, e neppure quella legata a un fallimentare duce come Venezia. Quanto a Berlino...
Ci sono poche cose certe nel mondo del Cinema, le immagini che oggi compongono il nostro immaginario quotidiano, che hanno una certezza al di là degli abbonamenti a qualche piattaforma che ha come anima solo il controllo degli abbonamenti. Anzi, la certezza è una sola: il Festival di Cannes. Non provate a ripercorrerne la Storia, non è quella isolata di Locarno, e neppure quella legata a un fallimentare duce come Venezia; Berlino attese l’apertura dei campi di concentramento, dove registi e attrici e attori erano finiti in cenere nei forni prima di aprire il suo Festival. Ecco, Cannes, la Croisette, è stato il primo grande Festival democratico e l’unico a finire, per rinascere, sotto la richiesta rivoluzionaria del ’68, che fu rivoluzione vera anche nel cinema. Cannes è il Cinema e la sua Storia è il ricordo che si fa futuro, e ogni anno è il rito immancabile dove commercio e arte si sposano sapendo di quanto spesso si tradiranno.
Ed ecco il Maggio, il rito del Maggio francese, quello che mai deve dimenticare Godard nonostante tutto, nonostante il pallido trionfare del mercato, quasi un concedere una tregua alla ghigliottina, in nome della purezza del Cinema. Ricordi le lenzuola bianche del Dreyer di Ordet? E ora tutto il far finta di ricominciare. E fuori concorso si versa champagne su ‘Le deuxième acte’ di Quentin Dupieux per aprire il gioco, e non è vero che “les jeux sont faits”, come scriveva nel 1943 Jean-Paul Sartre, perché saranno giorni di grande Cinema qui sulle rive del Mediterraneo che qualche libro di scuola americano descrive come lago.
Le promesse sono tante, la sicurezza è una, Thierry Frémaux, “critico cinematografico francese, delegato generale del Festival di Cannes e direttore dell’Istituto Lumière di Lione” scrive Wikipedia. E noi già lo vediamo correre di sala in sala a raccontare i film, a celebrare autrici e autori di ogni nazione di questo infinito pianeta cinematografico. In Concorso 22 film e sono tanti per una giuria che sembra assolutamente da pensare, forse una delle maggiori attrazioni di questo Festival per lo strano connubio che sviluppa: Greta Gerwig, regista di ‘Barbie’, uno dei maggiori incassi della storia del cinema, sceneggiatrice e attrice dagli Stati Uniti d’America, Presidentessa di Giuria; dalla Spagna Juan Antonio Bayona, regista attento al successo commerciale con film anche di grande impegno; dalla Turchia la sceneggiatrice Ebru Ceylan, moglie di un vincitore della Palma, Nuri Bilge Ceylan; con loro l’attore italiano Pierfrancesco Favino, forse il punto debole della Giuria insieme all’attrice statunitense Lily Gladstone, per non dire dell’attrice francese Eva Green, modella anche per Breil, Armani, Lancôme e Heineken. Di ben altra struttura sono il giapponese Hirokazu Kore-eda, regista, sceneggiatore e produttore, già Palma d’oro; e l’attrice, regista e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki. Non riusciamo a comprendere il peso che avrà l’attore francese Omar Sy. Di sicuro si tratta di una Giuria che giustamente condizionerà pesantemente i premi, segnando, finalmente, un deciso cambio generazionale.
Cannes non può dimenticarsi del radicale cambiamento dell’idea stessa dell’immagine in movimento portata da internet con i vari TikTok, Instagram e altri social, vissuti da quattro miliardi di persone, e bisognerà pur chiedersi degli altri quattro miliardi non connessi, ma questo è altro discorso. In concorso ritorna l’ottantunenne David Cronenberg con un promettente thriller, ‘The Shrouds’, in cui Vincent Cassel non può dimenticare la morte precoce della bella moglie, Diane Kruger. Cronenberg non è il più vecchio, perché Francis Ford Coppola di anni ne ha ottantacinque e qui porta il suo nuovo ‘Megalopolis’, ambientato in un’immaginaria America moderna dopo un devastante disastro, con Adam Driver a guidare un gran cast in cui apparirà in un cammeo anche l’intramontabile Dustin Hoffman, che di anni ne ha uno più di Coppola. Il più giovane Paul Schrader, che di anni ne ha solo settantasette, con il suo ‘Oh Canada’ si trova a ripensare alla sua generazione raccontando di uno scrittore tormentato e sull’orlo della morte (Richard Gere), un canadese-americano di sinistra fuggito in Canada per evitare la leva della guerra del Vietnam.
Reso omaggio al cinema senza tempo, Frémaux non poteva non dare un posto in competizione al numero uno di oggi: Yorgos Lanthimos, pronto ancora a sorprendere con il suo nuovo ‘Kinds of Kindness’ descritto come un “trittico di favole” con protagonisti Emma Stone, Jesse Plemons e Willem Dafoe. A dargli la caccia saranno tutte e tutti, a cominciare dal talentuoso Michel Hazanavicius che porterà il film d’animazione ‘The Most Precious of Cargoes’, che presenta la voce narrante di Jean-Louis Trintignant in quello che sarebbe stato il suo ultimo ruolo cinematografico, registrato prima della sua morte nel 2022.
Sono attesi anche il Paolo Sorrentino di ‘Parthenope’, Kirill Serebrennikov con il nuovo ‘Limonov: The Ballad’, basato sul libro ‘Limonov’ di Emmanuel Carrère, del 2011, biografia romanzata dello scrittore e politico dissidente russo Eduard Limonov, fondatore del Partito Nazionale Bolscevico. Coralie Fargeat presenta ‘The Substance’, un film body horror interpretato da Demi Moore, Margaret Qualley e Dennis Quaid. Fargeat non è naturalmente la sola autrice in Concorso: con lei c’è la giovanissima Agathe Riedinger con la sua opera prima ‘Diamant brut’, la brava e premiata Andrea Arnold con ‘Bird’ e, non ultima, l’indiana Payal Kapadia con ‘All We Imagine as Light’, un road movie verso una città balneare dove “la foresta mistica diventa uno spazio per i loro sogni da manifestare”. Alla Palma d’oro punta sicuro un vincente come Jia Zhangke che a Cannes porta il suo ultimo ‘Caught by the Tides’; sa come si vince Jacques Audiard, che ripunta sicuro con ‘Emilia Pérez’; l’irano-danese Ali Abbasi indaga sugli inizi dell’impero di Donald Trump nel suo ‘The Apprentice’, Magnus von Horn torna a Cannes con ‘The Girl with the Needle’ e nella sua biografia colpisce sempre una frase: “Si è diplomato alla Scuola Nazionale di Cinema di Łódź nel 2013. Pochi mesi dopo il suo arrivo in Polonia è stato brutalmente rapinato, cosa che lo ha portato a interessarsi alle persone violente”. Già ci sono i film e ci sono le persone che fanno i film, e ogni persona ha un suo film dentro che qualche volta racconta.
Attesissimo è ‘Grand Tour’ di Miguel Gomes, che nel 2015 con il suo ‘As Mil e uma Noites’ ha incantato il Festival. Un altro portoghese, Karim Aïnouz, firma ‘Motel Destino’ che, come altri, concorre anche per la Queer Palm. Alla stessa palma concorre anche ‘Trei Kilometri Pana La Capatul Lumii’ del rumeno Emanuel Parvu. E curiosità suscita ‘Marcello mio’ di un autore sincero com’è Christophe Honoré, che giocando con Chiara Mastroianni che recita il padre, celebra il cinema. Ma emozione infinita e rabbia suscita il destino del regista iraniano Mohammad Rasoulof che solo pochi giorni fa è stato condannato in Iran a 5 anni di carcere e alla fustigazione, e che “con la morte nel cuore” ha scelto l’esilio. Anche per il film che qui vedremo, ‘The Seed of the Sacred Fig’. Non si può abbassare la testa. Questo è Cannes 2024 e molti altri film scorreranno sugli schermi della Croisette in Certain Regard, alla Quinzaine e alla Semaine, ma questo Festival in ogni momento ricorderà chi è perseguitato per aver fatto Cinema.