Dal 1° dicembre si arriverà a 20/20,50 franchi orari. Bocciati gli emendamenti di Ps, Verdi e Mps che chiedevano di alzare la soglia. Ora monitoraggio
Il salario minimo è ufficialmente arrivato alla sua ultima forchetta. Dal 1° dicembre, quando il Consiglio di Stato avrà pubblicato il relativo Decreto esecutivo, sarà infatti fissato in una forchetta compresa tra 20 e 20,50 franchi orari per i dipendenti non coperti da un Contratto collettivo di lavoro. A deciderlo, in un pomeriggio presentato con molta poesia dal suo presidente Michele Guerra come «ultima sessione del bellissimo e colorato mese di novembre», è stato il Gran Consiglio con un voto quasi unanime che ha riflesso l’accordo trovato sia in seno alla Commissione parlamentare della gestione, sia tra mondo economico e sindacati. Partendo dalla prima forchetta, quella tra 19 e 19,50 franchi orari entro il 31 dicembre 2021, passando dalla seconda, che ha previsto tra i 19,50 e i 20 franchi l’ora si è dunque arrivati alla terza e ultima, maggiorata di 25 centesimi dallo stesso governo dopo l’analisi condotta dall’Istituto di ricerche economiche dell’Usi.
Uno studio che, sintetizza Matteo Quadranti – correlatore Plr del rapporto commissionale – «può presentare alcune criticità dovute ai pochi anni dall'entrata in vigore della legge. Alcuni aspetti critici sono rimasti, per questo si chiede che si continui a valutare il salario minimo così come attuato facendo maggiori approfondimenti sull'impatto che ha avuto sui salari più alti oltre che su quello, misurato, sui salari bassi e medio bassi». Il motivo è semplice: «L'80 per cento dei lavoratori interessati non risiede in Ticino o in Svizzera, poi ognuno tragga le sue conclusioni». Come Plr, riprende Quadranti, «siamo sempre stati favorevoli alla contrattazione tra parti economiche e sindacali, il messaggio governativo con l'ultima forchetta ha ottenuto l'adesione di entrambe le parti». E quindi, già rivolto ai quattro emendamenti della sinistra – che il capogruppo Udc Sergio Morisoli definisce «un'asta a chi offre di più dimenticandosi della pace sociale, vero valore della Svizzera» – avverte: «Che il Gran Consiglio vada oltre quello cui gli stessi sindacati hanno detto di sì, col rischio di mettere il mondo economico in una situazione di difficoltà, ci pare un elefante in cristalleria». Non sarà così, ma ci arriviamo.
Il correlatore socialista, il capogruppo Ivo Durisch, tesse le lodi dello studio dell'Ire. Il quale «fuga ogni dubbio: l'introduzione del salario minimo è stata un'operazione vincente, portando benefici ai dipendenti, al mercato del lavoro e a tutta l'economia cantonale. Cresce il numero delle aziende, il costo per la manodopera non frena le assunzioni, c’è un incremento di occupati, i salari medi attorno alle soglie minime sono cresciuti del 36 per cento. E ci sono benefici anche per i residenti, perché tutte le fasce salariali hanno tratto vantaggio dall'aumento degli stipendi».
Frena gli entusiasmi la correlatrice del Centro Sabrina Gendotti. Tutto molto bello per carità, «ma da questo studio che considera solo 2022 e 2023 è emerso che non ci sono effetti rilevanti sul numero degli occupati, delle imprese e sulle fluttuazioni del tasso di disoccupazione». Sparge benevolenza e incenso il correlatore leghista Omar Balli: «Il salario minimo ha portato effetti positivi, di negativi non ne sono stati riscontrati e penso sia un'ottima notizia». Amen.
Più articolata la posizione della correlatrice democentrista Roberta Soldati che, dopo aver firmato con riserva un rapporto scritto anche da lei, ammettendo il fatto inusuale, rivendica come «le criticità sollevate dall'Udc nella fase di dibattito sul salario minimo sono state confermate o perlomeno non fugate da questo studio dell'Ire: è la stessa indagine a dire nero su bianco che i risultati sono da prendere con cautela in quanto la politica ha auspicato una valutazione in un arco temporale troppo ristretto per avere dati sufficientemente robusti». Tant’è, molta parte dell'Udc a eccezione dell'ultimo giapponese Tuto Rossi, voterà il rapporto sull'ultima forchetta. Come, va da sé, i Verdi della correlatrice Samantha Bourgoin che – rivendicando a giusta ragione il merito di aver lanciato l'iniziativa popolare ‘Salviamo il lavoro in Ticino’ da cui è nata tutta la storia –, ricorda che «tenuto conto della natura sociale che riveste il salario minimo in Ticino, considerando la lotta alla povertà, riteniamo che questo passo comunque apprezzato è un aumento che non corrisponde al rincaro di questi anni, quindi al riconoscimento della natura sociale del salario minimo come strumento di lotta alla povertà».
Ed eccoci finalmente al valzer degli emendamenti, «all'asta» di serafica e morisoliana citazione, dove il Ps (con il capogruppo Durisch che ha emendato il suo rapporto, «è un buon primo passo, ma il governo non ha adeguato al rincaro le soglie intermedie») spalleggiato dai Verdi ha presentato emendamenti che variavano la forchetta tra 20,50/21 franchi, 21/21,50 franchi arrivando a 22/22,50 franchi (che per il copresidente Ps Fabrizio Sirica è il limite, ma proprio il limite «tra lavoro e sfruttamento»). Assieme all'emendamento dell'Mps (22/23 franchi l'ora), sono stati posti tutti in votazione eventuale per decretare chi sarebbe andato incontro al massacro. A vincere è stato quello di Sirica – sostenuto come tutti gli altri dalla sinistra e da Claudio Isabella (Centro e Ocst) –, che è andato verso la bella morte con 24 sì, 57 no e 3 astenuti.
Chiosa il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta: «Gli effetti dell'impatto richiederanno ulteriori analisi, da parte nostra è previsto un monitoraggio scientifico in collaborazione con l'Ire sul medio lungo termine. Meritano attenzione il rischio per la competitività delle imprese e il potenziale effetto sui salari sopra la mediana». Ciò detto, anche per Vitta «è un passo avanti che di fatto rende definitiva l'applicazione del salario minimo». Per ora. Perché in campo resta l'iniziativa popolare del Ps che dovrebbe portare il montante a oltre 22 franchi orari. Si vedrà.