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Il Dfe, la manovra di rientro da 150 milioni e non solo

Quarto confronto a ‘laRegione’ in vista delle cantonali. Risanamento, frontalieri, fiscalità... a colloquio Vitta (Plr), Pamini (Udc), Mirante (Avanti)

In soffitta a Bellinzona
(Ti-Press/F. Agosta)
17 marzo 2023
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Il Consiglio di Stato e il Dfe hanno già un’idea di dove si andrà effettivamente a ‘tagliare’ per la manovra di rientro?

Christian Vitta: La manovra di rientro strutturale verrà presentata entro settembre di quest’anno. Il governo ha avviato i suoi lavori e le piste di azione sono state inserite nel decreto che è stato votato dal parlamento quando ha approvato il preventivo ‘23. Gli ambiti d’intervento sono le voci 30, 31 e 36, ovvero: spese per il personale, beni e servizi e i contributi a enti terzi. È chiaro che un esercizio di questo tipo va fatto dando degli indirizzi ma coinvolgendo i vari dipartimenti. In governo a cadenza settimanale ne discutiamo, e a cadenza mensile abbiamo degli incontri con il gruppo di lavoro che sta coordinando questo progetto di natura strategica. Si tratta di cucire una manovra cercando di raccogliere il necessario consenso, ciò richiede un investimento di tempo non indifferente. Il concetto è procedere con il giusto equilibrio. Attualmente l’approccio non è quello di applicare un taglio lineare alla spesa, ma di tenere conto delle specificità dei vari settori d’intervento. È ovvio che ci vorrà la collaborazione da parte di tutti, in quanto parliamo di cifre importanti. Il cammino del rientro è già stato fissato: disavanzo massimo di 40 milioni nel 2024, pareggio nel 2025. In questi mesi si riuscirà a quantificare anche sul fronte delle entrate dove siamo, ma parliamo per l’anno prossimo di una manovra strutturale che supera i 100, piuttosto vicina ai 150 milioni. Saranno dunque necessari degli interventi incisivi e non tutti saranno contenti. Abbiamo già visto con la manovra del 2016 cosa comporta un esercizio di questo tipo.

Amalia Mirante, lei cosa ne pensa della manovra di rientro? Trova che sia una misura sensata e indispensabile in questo contesto?

Mirante: Io credo che la gestione delle finanze pubbliche dovrebbe essere sempre abbastanza sana. C’è un po’ l’abitudine di parlare delle grandi crisi, momenti in cui lo Stato deve intervenire in maniera importante, come durante la pandemia. Questo si può fare quando si hanno delle finanze pubbliche sane.. Ma in realtà non è sempre così. La ricetta keynesiana non piace mai nella seconda parte, ovvero quella che dice che quando le cose vanno abbastanza bene bisogna fare un passo indietro e lasciare che siano cittadini ed enti ad assumersi l’onere di andare avanti senza un intervento massiccio dello Stato. Quello che manca nel Canton Ticino è questa responsabilità di accettare che in certi momenti lo Stato deve intervenire in maniera massiccia e in altri deve fare un passo indietro. Ma è la politica che deve prendersi questa responsabilità. Io non sono così preoccupata dalla manovra di rientro ma credo che ci debba essere un cambiamento strutturale a livello di mentalità. Va fatta un’analisi della spesa pubblica senza nessun tabù ideologico, bisogna uscire dall’idea "meno tasse o più sussidi". Bisogna fare un’analisi che abbracci tutta l’ideologia possibile, bisogna capire cosa è veramente necessario e dove invece ci sono degli sprechi: su 4,2 miliardi di spesa pubblica ci sono delle inefficienze, è impossibile che non ce ne siano. Dobbiamo parlare della possibilità di avere una corte cantonale dei conti, quindi un ente esterno che dovrebbe essere visto come un aiuto, non come un limite all’azione politica. Ci vuole una maggiore assunzione di responsabilità da parte della politica: quando si prendono decisioni di spesa, bisognerebbe dichiarare apertamente dove sono le coperture. Se noi decidiamo delle nuove spese, dobbiamo poter dire se aumentiamo le imposte – cosa che per me non è nemmeno un tabù nemmeno quello –, oppure se dobbiamo rinunciare a qualcosa d’altro.

Paolo Pamini, Vitta ha parlato di una manovra di circa 150 milioni. È da tempo che lei e il suo partito avevate indicato questo ordine di grandezza. Si poteva agire prima?

Pamini: È da anni che diciamo di mettere mano alla spesa, ma ciò lo si può fare soltanto col consenso politico. Che si sia perso del tempo indubbio. Ma non è mai troppo tardi per iniziare. A me quello che preme in primo luogo è garantire che le entrate non collassino. È importante non pregiudicare il gettito fiscale esistente. Qui mi riferisco al cambiamento che ci sarà sulla tassazione delle imprese, perché lì sì ci sarebbe il rischio di perdere dei grossi contribuenti e tutto l’indotto che ci gira attorno. In quel caso diventerebbe veramente difficile poi andare a risanare i conti. Poi ci sono altre misure in arrivo: la revisione delle stime sarà l’occasione per abbassare le aliquote sulla sostanza e portarci perlomeno nella metà della classifica dei Cantoni. L’altra gamba di questa strategia che stiamo cercando di portare avanti insieme ad altri partiti è la garanzia dell’uso abitativo primario-secondario, cioè la garanzia di poter fare avanti indietro tra l’uso primario e quello secondario. Questo non dovrebbe incentivare la costruzione di più abitazioni secondarie, bensì di quelle primarie. La terza tappa di riforma, che è nelle mani del governo, è quella di abbassare le aliquote massime sul reddito. Questo dovrebbe permetterci di restare attrattivi fiscalmente per gli alti redditi. Così dovremo riuscire a preservare il substrato o addirittura ad aumentarlo. Parallelamente si può mettere mano alla spesa pubblica. Comunque non ci illudiamo: né Ronald Reagan né tanto meno Margaret Thatcher sono mai riusciti a tagliare la spesa pubblica. Si tratta semplicemente di rallentare la crescita. Se riusciamo a sostenere le entrate, a un certo punto la forbice si chiude. Ciò che conta è dare degli incentivi per evitare la flessione del gettito.

Vitta: Mi riallaccio a quanto detto da Amalia Mirante. Sarebbe una buona regola, anche per rallentare la crescita del disavanzo, che a fronte di decisioni che prevedono dei nuovi compiti la politica si abituasse a porsi il quesito di dove andare a recuperare le risorse necessarie. Quello farebbe coincidere il momento della decisione di questi nuovi compiti, che hanno un certo impatto finanziario, con la relativa copertura. Io sono d’accordo: è importante che lo Stato intervenga nei momenti difficili, ma poi è complicato fare tornare lo Stato alla normalità. Questa equazione che dice "laddove c’è una necessità forte lo Stato interviene, ma poi quando le cose ritornano alla normalità fa un passo indietro" in teoria funziona, ma nella pratica è molto più difficile.

Si citava prima la manovra di rientro del 2016: allora si è agito metà sulle uscite, metà sulle entrate, cosa che ora non si può più fare per via del ‘Decreto Morisoli’. Mirante, se lei fosse stata in Gran Consiglio lo avrebbe sostenuto questo decreto?

Mirante: Non penso. Trovo bizzarro che la politica debba mettersi dei corsetti, come se fossero altri a prendere le decisioni. Non è tanto per il concetto di riequilibrio delle finanze pubbliche, perché mi sembra chiaro che uno Stato sia veramente forte quando le finanze sono gestite in maniera rigorosa. Mettersi dei limiti sull’unico strumento che si ha disposizione, che è la fiscalità, mi sembra veramente folle. Se necessario, se c’è un progetto, se c’è un chiaro indirizzo, credo che i cittadini possano anche essere ben disposti ad accettare che le loro imposte aumentino.

Vitta: Sul ‘Decreto Morisoli’ noi come governo avevamo evidenziato le criticità legate alle tempistiche con cui è maturato il tutto: era partito come emendamento del consuntivo 2020, poi diventato iniziativa in due giorni. Insomma…

Pamini: È stato un nostro patto da gentiluomini con Alessandro Speziali (presidente del Plrt, ndr).

Parliamo ora di frontalierato. Esiste una soluzione all’impennata dei frontalieri, in particolare in quegli ambiti del terziario in cui ci sono dei salari più alti?

Mirante: La prima cosa da fare è riconoscere il problema. Negli ultimi 15 anni invece non lo si è fatto, soprattutto per ragioni ideologiche, perché voleva dire mettere in discussione la libera circolazione. Destra e sinistra, per ragioni diverse, faticano a toccare questo tema. Invece per il nostro cantone è un grande problema. Queste tensioni che già si intravedevano, ora si manifestano in tutta la loro interezza: salari che stagnano, persone che non trovano un posto di lavoro e vanno via, e non solo i laureati, anche persone che finiscono una formazione professionale. Il tema del lavoro deve essere il tema sul quale la politica per i prossimi quattro anni si concentra. Lega e Udc danno la colpa ai frontalieri. La sinistra dà la colpa ai datori di lavoro. Bisogna uscire da questi schemi. Vanno trovate le soluzioni all’interno del tessuto produttivo del Canton Ticino, quindi insieme alle aziende, con tutti gli attori in campo.

Pamini: Devo dire che siamo abbastanza allineati. Noi non ce la siamo mai presa con i frontalieri, che sono una risorsa. La libera circolazione è il punto chiave, tema che dovrebbe lasciare un certo spiraglio per intervenire in determinati casi. Ma è sempre un problema istituzionale: quello di riuscire a fare scattare la clausola di salvaguardia. D’altro canto la conclusione che si può trarre è che la teoria economica è corretta: se siamo un cuneo della Lombardia, in un territorio di dieci milioni di abitanti dove ci sono delle differenze di prezzo sostanziali, gli incentivi funzionano purtroppo.

Mirante: Funzionano benissimo perché ci vendiamo il lavoro come se fosse uno scambio di beni! Non credo che sia stata questa l’idea originaria della libera circolazione. È piuttosto una conseguenza. La libera circolazione si è trasformata in "comprati la manodopera al prezzo più basso".

Pamini: Rispetto al frontalierato i problemi sono due: il primo riguarda la pressione al ribasso sul livello salariale, il secondo è il traffico. Il problema infrastrutturale lo si potrebbe risolvere costruendo più strade e potenziando le ferrovie. Sulla seconda questione, prima c’era un rapporto quasi simbiotico tra il frontaliere e il residente: il primo svolgeva certi lavori meno qualificati, mentre a livello dirigenziale c’era prevalentemente il residente. Oggi non è più così. Senza voler criticare il frontaliere, non è possibile per esempio che a livello dirigenziale nel settore sanitario venga a mancare il contatto con il territorio. Inoltre, c’è da dire che l’aumento della popolazione non ha comportato un aumento della produttività. L’incremento del Pil è proporzionale all’aumento della popolazione, quindi non è vero che stiamo particolarmente meglio di dieci anni fa. D’altra parte, abbiamo un rincaro dei costi infrastrutturali, degli immobili, siamo fermi in colonna quando si è in strada. Noi questi problemi li viviamo in maniera molto pronunciata perché, ripeto, siamo un cuneo della Lombardia. Un’ipotesi poteva essere quella di mettere all’asta i permessi G, ma in quel caso ci si andrebbe a scontrare con quanto previsto dai meccanismi della libera circolazione. C’è poi un’altra questione, oggi da Bellinzona in un’ora e mezza si arriva a Zurigo: effettivamente i ticinesi farebbero bene a padroneggiare il tedesco e l’inglese e, anche da residenti, andare a lavorare sul mercato di oltre Gottardo. Questo succede già e succederà ancora. Potremmo, insomma, fare noi i "frontalieri" nella Svizzera tedesca. Se questo accadesse potrebbe darsi che anche qualche azienda svizzero tedesca decida poi di spostarsi qui.

Vitta, ritiene che attualmente ci siano le condizioni per poter attivare la clausola di salvaguardia?

Vitta: La clausola di salvaguardia la avevamo studiato nel 2016. I meccanismi della libera circolazione la prevedono in situazioni estreme, che non sono quelle che conosciamo ora. Oggi abbiamo un nuovo elemento sul tavolo: anche il nord Italia comincia a percepire questo fenomeno dei frontalieri come problematico. Se per noi la questione è la pressione sui salari, per loro invece è la perdita di manodopera e di competenze. Trattandosi quindi di un problema comune bisogna dialogare con loro per capire se ci sono delle possibili soluzioni condivise. Nell’analisi della problematica dobbiamo anche tenere conto di una considerazione già discussa con altri cantoni e con la Confederazione: in Svizzera non abbiamo un mercato del lavoro omogeneo. Abbiamo delle regole a livello federale, ma la nostra situazione di frontiera è diversa rispetto a quella di Ginevra e di Basilea. Sarebbe dunque auspicabile che ci fosse un po’ più di flessibilità per regolare certi meccanismi a livello regionali, ma questo si scontra con dei principi che a livello svizzero è difficile da fare passare.

Mirante: Noi stiamo abbozzando un documento che va nella direzione di cercare il confronto e il dialogo sul tema del mercato del lavoro. Sempre nel rispetto degli accordi bilaterali, l’idea sarebbe quella di andare a privilegiare quelle aziende che, attraverso certi indicatori indiretti, dimostrano un forte legame col territorio. Probabilmente diventeranno dei nostri atti parlamentari, che verranno presentati durante la prossima legislatura.

In maniera pratica, cosa si può fare per sostenere il potere d’acquisto dei ticinesi?

Vitta: Innanzitutto si difende con una negoziazione tra le parti sociali legata al rincaro. Devo dire che in generale in Svizzera c’è stato un certo riconoscimento del rincaro, non pieno ma c’è stato. Anche noi come Amministrazione pubblica lo abbiamo fissato al 2,5%. Per quanto riguarda la fiscalità avremo la correzione della progressione a freddo, il che significa non vedersi aumentare il carico delle imposte per il semplice aumento nominale ma non reale dei salari. Questi sono correttivi che andranno a toccare le aliquote da un lato, e le deduzioni dall’altro. Poi è chiaro che l’ideale sarebbe estirpare il male alla radice, cioè far tornare l’inflazione a dei livelli sopportabili. Ma questo interessa soprattutto la politica monetaria. D’altra parte, bisognerebbe anche capire da dove arrivano questi rincari. I costi energetici probabilmente sono stati la fonte principale. Ho comunque l’impressione che sui prezzi dell’energia ci sia stata una bella fetta di speculazione quest’estate.

Pamini: A livello cantonale il sostegno al potere d’acquisto si dà con un livello salariale buono sul mercato del lavoro. E contenendo il peso dello Stato. Le voci più grandi che riguardano l’erosione del potere di acquisto sono l’aumento dei premi di cassa malati, benché un terzo della popolazione ticinese non paga i premi perché glieli pagano i contribuenti. Se riuscissimo a contenere il prelievo fiscale sui cittadini faremmo una delle poche cose che possiamo fare, perché alla prova dei fatti la grande politica di sgravi fiscali a favore del ceto medio portata avanti da Marina Masoni nei suoi 12 anni in governo è stata "mangiata" dall’aumento dei premi di cassa malati…

Il karma?

Pamini: Beh, questa sostituzione nei budget familiari c’è stata.

Mirante, lei concorda sul fatto di agire prettamente sulla fiscalità?

Mirante: Sappiamo che il ciclo economico ha delle fasi di difficoltà naturali e altri problemi, come quello legato ai premi di cassa malati, che permangono. In Ticino però alla base c’è un problema di reddito, di salari. Per fortuna c’è un intervento molto forte dello Stato in questo ambito, abbiamo uno tra gli stati sociali migliori tra quelli presenti in Svizzera, che prevede tutta una serie d’interventi mirati che in altri cantoni non esistono. Ma questa è ancora una volta una compensazione: i residenti vorrebbero poterselo pagare il premio di cassa malati, come vorrebbero non dover ricorrere agli assegni di prima infanzia. Invece di vedersi aumentare gli assegni per i figli oppure di avere lo sgravio sui premi di cassa malati, vorrebbero poter lavorare, vivere dignitosamente con quello che guadagnano, pagare le loro imposte, andare in vacanza e mangiare al ristorante. Insomma, la dimensione dello stato sociale è proporzionale alla falla del mercato del lavoro che va ricoperta. Poi, quello che si potrebbe fare sarebbe andare a verificare l’efficacia di alcune delle misure messe in atto negli ultimi anni.

Per concludere, facciamo un esercizio di retrospettiva: cosa non ha funzionato all’interno del Dfe negli ultimi quattro anni?

Vitta: Ci sarebbe piaciuto dedicare più attenzione ai temi strutturali. Chiaramente quello che è successo nei primi due anni con la pandemia ci ha distolto in maniera importante da quella che era l’attività corrente: stiamo chiudendo un quadriennio molto particolare, in cui abbiamo vissuto in uno stato di emergenza permanente. Ricordiamoci inoltre che molti Stati sono usciti molto indebitati dal periodo pandemico, per cui posso immaginarmi che presto emergeranno certe tensioni tra Stati, in quanto ognuno cercherà di salvaguardare le proprie risorse per fare fronte ai propri impegni. Noi come cantone di frontiera abbiamo anche il tema del franco forte che si è ulteriormente rafforzato. L’auspicio per la nuova legislatura è quello di poter tornare a concentrarci sulle attività ordinarie, in modo di avere il tempo e le risorse necessarie per andare a fondo sui principali dossier. Da notare è che viviamo in una fase di cambiamenti molto rapidi, che incidono sul quadro di riferimento che può mutare velocemente. Questo può rendere superate determinate strategie che avevamo messo in atto. E questo chiaramente si scontra con i tempi più lenti della politica.

Mirante: Io me la prendo con tutta l’istituzione politica. Governo e parlamento hanno mancato di dedicare la giusta attenzione ai temi del lavoro e anche ai temi del tessuto produttivo del Paese. Si sente parlare spesso di fiscalità, il problema però non sta tanto nella tassazione sull’utile delle imprese ma nel poterlo fare quell’utile, quindi tutto quello che ruota attorno alle condizioni quadro che non sono esclusivamente legate alla fiscalità: burocrazia, mancata digitalizzazione, eccetera. Economia e Stato devono lavorare insieme, non ci sono altre possibilità. Ci vuole anche una maggiore flessibilità e capacità di reazione da parte della politica. Se pensiamo per esempio alla formazione professionale, dovremmo essere in grado di dare delle risposte adeguate in maniera molto più rapida. Servono dunque delle collaborazioni sane; ciò andrebbe a beneficio dei cittadini, del territorio e dello Stato stesso.

Pamini: la nostra critica come forza di opposizione costruttiva è che si tratta di un governo che è andato avanti un po’ col pilota automatico. Pensiamo alla questione del Welfare State: come abbiamo dimostrato con il ‘Morisoli welfare index’, ci sono 90 indicatori statistici che fanno vedere che il nostro welfare, che è molto sviluppato, sta sparando nella direzione sbagliata. C’è un disagio giovanile in continua espansione di cui il Dss non si sta occupando. Quello della socialità è il nostro prossimo grande cantiere di cui inizieremo a occuparci. Sono diversi gli ambiti in cui c’è parecchio da fare, il che non vuol dire tagliare la spesa sociale: anche se la teniamo così alta possiamo vedere come spendere meglio questi soldi. In generale vediamo che c’è un po’ tanta inerzia, e il problema per la prossima legislatura è che il parlamento arriverà più frammentato…

Mirante: Frammentazione che può anche essere vista come un arricchimento (ride, ndr).

Pamini: È vero. Io spero che anche HelvEthica entri in Gran Consiglio. Alla fine viene favorito il dialogo fra tutti. Ma è chiaro che in parlamento diventerà più difficile dare degli indirizzi, aumentano i "costi" di coalizione.

Mirante: O forse il confronto sano tra forze politiche aiuterà tutti. Quando si lascia un po’ da parte l’ideologia e ci si concentra sui veri problemi, le soluzioni arrivano.

Pamini: Il problema è che poi fra quattro anni ci sono di nuovo le elezioni. Quindi ognuno dovrà posizionarsi di fronte al "mercato" elettorale. Sarà pertanto importante che il governo prenda in mano una visione strategica: adesso non è più possibile temporeggiare.

Vitta, come membro del governo, la preoccupa questa possibile frammentazione del parlamento?

Vitta: Il tutto dipende da come ti posizioni. È chiaro che se ognuno si posizionerà in funzione delle elezioni fra quattro anni, sarà molto difficile. Pensiamo al risanamento delle finanze cantonali: se non si mette al centro un po’ di sano pragmatismo, auguri a tutti… Poi così è chiaro che si arriverebbe a dei tagli indiscriminati, ciò che in verità tutti volevano evitare. Se c’è una maggioranza di forze politiche che antepongono l’obiettivo che ci si prefigge e remano tutte nella stessa direzione, allora si può lavorare. Se invece a prevalere saranno i tatticismi con l’orizzonte di cosa succederà a livello elettorale fra quattro anni, allora la vedo molto dura. Speriamo che con il rinnovo del parlamento ci sia questa volontà di fare squadra comune, almeno da parte di una maggioranza solida. Una volta si parlava di ‘patto di Paese’: si può ancora evocare questo termine, poi quello che conta è la sostanza.