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Chiesa, Gysin e Mirante: ‘Tunnel, sì ai risarcimenti’

Migrazione, trasporti, pensioni, sanità... Primo dei due dibattiti de ‘laRegione’ con i candidati ticinesi al secondo turno per il Consiglio degli Stati

Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro), Marco Chiesa (Udc) e Greta Gysin (Verdi)
(Ti-Press)
10 novembre 2023
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Dossier migrazione, lunedì a Chiasso l’attesa visita della consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider: è stato fatto un passo avanti?

Marco Chiesa: Penso che la cittadinanza di Chiasso non abbia bisogno di segnali, ma di soluzioni concrete. Che si facciano promesse vaghe e si riparta per Berna dopo un selfie, non è certamente ciò che speravo per la popolazione chiassese. I problemi vanno risolti, assumendosi impegni e responsabilità. I flussi non diminuiranno, anzi. Basta guardare la situazione di Lampedusa, prima o dopo queste persone si sposteranno verso la nostra frontiera.

Greta Gysin: La situazione di Chiasso va assolutamente risolta, perché è insostenibile per tutte le persone coinvolte: per la popolazione, per chi lavora nei centri e per chi ci vive. Ci sono due cose da dire. Innanzitutto, se oggi ci troviamo a questo punto è perché ci sono dei Cantoni, in particolare quelli della Svizzera centrale, che negli ultimi anni non hanno fatto il loro dovere non mettendo a disposizione degli spazi. Non perché non li abbiano, ma perché non li vogliono trovare. In questo modo l’onere dell’accoglienza è stato scaricato su pochi Cantoni, il che ha portato a delle situazioni problematiche come quella di Chiasso. È assolutamente necessaria una maggiore solidarietà intercantonale. In secondo luogo, va detto che la consigliera federale ha portato lo scorso giugno in parlamento una soluzione al problema degli spazi chiedendo un credito supplementare per dei container in cui alloggiare le persone richiedenti asilo. La proposta è stata bocciata dal parlamento e tra i contrari l’Udc e il Plr. Se fosse stata accettata, oggi non ci ritroveremmo con una situazione come quella di Chiasso, dato che le persone sarebbero distribuite meglio tra i Cantoni.

Amalia Mirante: Credo che il Ticino abbia già fatto molto e che quindi non gli si possa più chiedere altro. Sinceramente la consigliera federale, a parte i sorrisi e la solidarietà, doveva arrivare a Chiasso con una soluzione. Che deve essere trovata immediatamente. Ed è lei a doverla trovare, visto che la situazione sta diventando veramente problematica e non si può andare avanti così. Ha portato una soluzione in giugno? Bene. Il parlamento non l’ha accettata? Siamo al mese di novembre. Cosa vogliamo aspettare, ancora sei mesi? E cosa succede alle persone che arrivano? Accogliamo tutti in Ticino? No, non è possibile, quindi che si diano una mossa a Berna. Questa solidarietà tra Cantoni a un certo punto andrà imposta.

Gysin: È facile dire che bisogna trovare una soluzione senza proporne una. Possiamo criticare Baume-Schneider quanto vogliamo, ha però preso il Dipartimento (di giustizia e polizia, ndr) in gennaio, ha cercato delle soluzioni a un problema e la maggioranza del parlamento non le ha accolte. Avrebbe potuto applicare il diritto d’urgenza quest’estate, ma sarebbe stata criticata anche per quello. I Cantoni dovrebbero fare assolutamente di più, manca questa solidarietà intercantonale, ma sono anni che la situazione è così. Come oggi critichiamo Baume-Schneider potremmo criticare Karin Keller-Sutter che per anni non ha affrontato di petto la situazione. Pretendere da una consigliera federale che risolva nel giro di poche settimane un problema che il parlamento e i Cantoni non hanno voluto risolvere è un po’ semplicistico. Bisogna essere poi anche pronti ad accettare le soluzioni che vengono proposte.

Mirante: Scusate, ma se non li risolve il governo questi problemi, di che cosa parliamo?! Non facciamole nemmeno le elezioni se tutti hanno le mani legate.

Chiesa: Il problema di fondo è la nostra politica dell’asilo. La migrazione è diventata un affare lucroso per bande criminali che agevolano l’arrivo di finti rifugiati. Milioni di franchi supplementari per nuovi container, finanziati dai cittadini svizzeri che già oggi pagano 4 miliardi all’anno per il settore dell’asilo, non sono la risposta. Anche perché la pressione aumenterà, altri centri federali in Svizzera sono allo stremo e la popolazione non si sente più sicura.

Il tunnel ferroviario di base del Gottardo non riaprirà a pieno regime prima del settembre 2024. Le Ffs dovrebbero risarcire gli abbonati?

Gysin: Il problema principale della gestione di questa situazione è stata la comunicazione delle Ffs. In settembre a Palazzo girava già la voce che la chiusura sarebbe stata almeno fino a Pasqua. Se la comunicazione fosse stata più trasparente l’economia, il turismo e i pendolari ticinesi si sarebbero potuti organizzare meglio affrontando i prossimi mesi in maniera più preparata e serena. Quanto al risarcimento degli abbonati, penso che sulle persone che vivono o lavorano in Ticino oppure che si spostano frequentemente sull’asse nord-sud una qualche riflessione vada fatta. Gli abbonamenti generali non è che siano poi proprio a buon mercato e la soluzione non è certo depositarli per trenta giorni com’è stato suggerito.

Chiesa: Mi aspetto anch’io un gesto da parte delle Ffs, che sarebbe apprezzato dalla popolazione. Il Ticino non è però solo rallentato, come lo è ora, è di fatto anche bloccato dalle code di automobili nei periodi festivi. C’è quindi il rischio concreto che in determinati momenti dell’anno vi sia una mobilità fortemente compromessa tra il Sud e il Nord delle Alpi. La mobilità è invece un fattore competitivo fondamentale: serve al nostro settore turistico, al commercio e alla coesione nazionale.

Mirante: Un risarcimento parziale sarà da prevedere, poi bisognerà capire come quantificarlo. È anche vero che un rimborso non risolverà il problema dei tempi allungati. Un risarcimento parziale sarebbe sicuramente un gesto apprezzato, ma anche dovuto perché il contratto sottoscritto non è più garantito. Si potrebbe inoltre anche prevedere un pacchetto per i turisti che li incentivi a scegliere un turismo non di giornata, ma magari di un weekend.

Doveste essere rieletto o elette, quali sarebbero le vostre priorità in veste di rappresentanti del Ticino alla Camera dei Cantoni?

Mirante: Portare una voce un po’ più forte e rappresentativa della situazione reale del Ticino, vale a dire di un cantone che viaggia a una velocità diversa, ridotta rispetto a tutta la Svizzera, basti pensare alle differenze salariali. La chiave di riparto e la perequazione dei fondi vanno rimesse in discussione. I coefficienti sono scelte politiche: quando metti dentro nel potenziale il reddito dei frontalieri stai facendo una scelta politica. Berna prende un miliardo di franchi, il Ticino le briciole.

Chiesa: Il settore dell’asilo deve essere riformato. Alcuni attendisti sperano che l’Unione europea proponga delle soluzioni, io penso invece che il nostro Paese debba prendere l’iniziativa. La Svizzera deve accogliere solo chi è perseguitato e rispetta le leggi, non i falsi richiedenti che sfruttano il nostro sistema sociale. Un’altra questione è l’immigrazione di massa. Ogni anno si stabiliscono in Svizzera 80mila persone grazie alla libera circolazione. Eppure, c’è chi denuncia ancora la penuria di manodopera. Significa che l’immigrazione di massa non serve all’economia. È fondamentale formare e impiegare personale residente. Le regole ci sono e sono iscritte nella nostra Costituzione, servono però dei politici che le applichino rispettando la volontà popolare.

Gysin: Cercherei sicuramente di entrare nella Commissione sanitaria perché credo che il problema principale oggi in Ticino sia quello dei premi delle casse malati in vertiginoso aumento. Per riuscire a portare questo sistema sanitario in una direzione che sia più sopportabile a medio e lungo termine ci vogliono più persone in parlamento che siano indipendenti dagli interessi particolari di settori specifici come quello dell’industria farmaceutica o delle casse malati. È importante poi anche battersi per un mercato del lavoro più sano che non abbia tutte queste distorsioni che vediamo oggi in Ticino. La mancanza di manodopera indigena è un problema per l’economia svizzera che porta alla migrazione e al frontalierato. Questa mancanza di manodopera è frutto di una politica economica non lungimirante e che non va nella direzione di avere dei posti di lavoro ad alto valore aggiunto.

Oggi a chi si appresta ad andare in pensione cosa consigliereste? Rendita o ritiro del capitale? O lavorare ancora qualche anno?

Gysin: Ogni persona deve valutare da sé la propria situazione in funzione di quanto capitale ha o dello stato di salute. Un consiglio che vale però assolutamente per tutti è quello di pensare con largo anticipo alla pensione.

Chiesa: La soluzione non è quella di aumentare l’età pensionabile a 66 anni. E in generale non è il prolungamento della vita lavorativa. Non esiste comunque una formula uguale per tutti, perché resta irrisolto un problema di fondo. In Ticino gli stipendi sono inferiori alla media svizzera. A causa della libera circolazione, le remunerazioni sono spinte verso il basso. Servono almeno due risposte concrete: imprese che producono valore aggiunto e una sana gestione dell’immigrazione. Dobbiamo permettere alle competenze di immigrare frenando i lavoratori che sostituiscono i nostri lavoratori del ceto medio potendosi permettere salari più bassi.

Mirante: Servono finanziamenti aggiuntivi con una riforma totale dei tre pilastri. Perché in quest’ambito siamo alle prese con un fallimento della politica pubblica. Il sistema attuale è stato creato quando le nostre condizioni e la nostra demografia lo permettevano, garantendo con il primo pilastro una vita dignitosa e con il secondo e il terzo il mantenimento dello stesso tenore di vita. Oggi non è più così.

Gysin: In Ticino i salari più bassi rispetto alla media svizzera non solo hanno un’influenza sulla vita quotidiana ma anche poi sulle pensioni. Ci sono altri due problemi: la sottoccupazione e la discriminazione salariale di genere che hanno entrambe conseguenze pesanti sulle pensioni.

C’è comunque il salario minimo legale...

Mirante: Il salario minimo che è stato votato in Ticino era il primo cerotto al quale dovevano seguire un sacco di altre misure che non sono mai state prese. Il salario minimo che applichiamo oggi non serve assolutamente a risolvere il problema dei bassi stipendi ticinesi. Perlomeno ha frenato la scandalosa corsa al ribasso dei salari che stava avvenendo. Tutto il resto però passa da una riforma della struttura economica del Paese.

Chiesa: Inviamo troppi soldi all’estero, soldi che dovremmo mettere a disposizione della nostra popolazione. Mi riferisco ai miliardi spesi nell’asilo, nell’aiuto allo sviluppo o a quelli di coesione con l’Unione europea. Il salario minimo non fermerà l’effetto calamita del Ticino. Ci sono migliaia di persone al di là del confine disposte a lavorare per un salario minimo legale. Grazie all’evoluzione del cambio, i frontalieri sono i vincitori economici degli ultimi decenni. Negli anni si sono visti costantemente aumentare il potere d’acquisto, al contrario dei residenti. Per questo la preferenza indigena deve essere ripristinata.

Gysin: Il problema del salario minimo in Ticino è che è un salario minimo sociale. Abbiamo cercato più volte a Berna di accordare maggiore margine di manovra ai Cantoni perché possano definire dei salari minimi che siano anche economici e non solo sociali. Purtroppo non abbiamo trovato la maggioranza in parlamento. Quando si cerca di trovare soluzioni e misure concrete per la difesa del mercato del lavoro si fatica a trovare la maggioranza a Berna.

Tormentone premi di cassa malati, esiste una soluzione che possa mettere d’accordo tutti? Per esempio una cassa malati unica e federale?

Mirante: È da vent’anni che sentiamo parlare di questa soluzione, ma a oggi non c’è uno studio che mostri ai cittadini quanto spenderebbero con una cassa malati unica a parità di qualità delle cure. Non bisogna illudere i cittadini, ma bisogna portare elementi concreti.

Chiesa: Berset afferma che due fattori determinano i nostri costi più alti: la struttura demografica e l’eccesso di offerta di cure. Rimandando poi tutto alla responsabilità del Cantone. Il primo fattore, a mio avviso, deve essere considerato nella perequazione finanziaria tra Cantoni. Il secondo evidenzia la necessità di introdurre nuove soluzioni come la digitalizzazione, la telemedicina, i pacchetti di cura integrati. Negli ultimi dodici anni sotto la conduzione Berset, i costi della salute sono aumentati di 25 miliardi. Mi aspetto dal suo successore una riforma degna dell’importanza del tema.

Gysin: I costi sono aumentati perché viviamo più a lungo, perché la qualità del servizio sanitario aumenta. La tendenza al rialzo dei costi non è un fenomeno solo svizzero, ma fa parte della società. I costi della sanità in Svizzera sono in linea con quelli degli altri Paesi europei. Laddove si può intervenire sui prezzi va fatto, perché ci sono sicuramente dei margini di risparmio. Penso in particolare ai costi dei farmaci che, in maniera del tutto scandalosa dal momento che vengono in buona parte prodotti anche in Svizzera, da noi costano fino a otto volte di più rispetto all’estero. C’è sicuramente un discorso da fare sulla pianificazione ospedaliera, anche se nessuno lo vuole affrontare, perché significherebbe prendere delle decisioni che non sono popolari. Tuttavia non si può continuare a dire alla popolazione che possiamo mantenere il sistema così com’è e che la situazione migliorerà per via miracolosa. Il problema più grande, al di là dei costi, sta nel finanziamento che va rivoluzionato.

Mirante: Il sistema va riformato. Ma bisogna anche considerare l’invecchiamento della popolazione. Nei costi della salute c’è tutta una serie di importi che non è dovuta alla malattia, ma a tale invecchiamento. È giusto che sia la cassa malati a dover dare una risposta? L’invecchiamento è il decorso della vita, è diverso dal concetto di malattia, quindi perché non integrarlo in maniera differente nelle altre assicurazioni sociali o pensare addirittura a una nuova assicurazione sociale?

Tenendo conto del contesto internazionale attuale, si spende troppo, troppo poco o il giusto per la Difesa?

Mirante: Forse bisognerà spendere di più, e lo dico con grande rammarico. La situazione geopolitica internazionale è sull’orlo di crisi e conflitti che forse dobbiamo ancora comprendere appieno.

Chiesa: C’è chi vorrebbe un avvicinamento o addirittura un’integrazione alla Nato. I Paesi membri devono investire il 2% del loro prodotto interno lordo nella Difesa, noi mettiamo a disposizione lo 0,7. È evidente che abbiamo la necessità di modernizzare il settore della Difesa e con esso tutto ciò che attiene alla nostra sicurezza interna ed esterna.

Gysin: Il parlamento federale ha già accolto un aumento di 2 miliardi del budget dell’esercito. Prima di destinargli ancora altri soldi, bisognerebbe capire per cosa spenderli. Non è sulla Difesa tradizionale che bisogna investire, ma nella cybersicurezza e contro altri tipi di pericoli che sono molto più concreti oggi in Svizzera rispetto a un attacco militare.

Per voi la neutralità è…

Gysin: Mantenere una certa distanza dai conflitti che permette alla Svizzera di continuare a offrire i propri buoni uffici e aiuto umanitario come ha sempre fatto. Neutralità non significa però indifferenza di fronte alle violazioni del diritto internazionale.

Chiesa: Un valore svizzero che ci permette di essere parte di una soluzione e non di un conflitto. Un fondamento che dobbiamo salvaguardare.

Mirante: Una parte dell’essenza svizzera.

Iniziativa canone a 200 franchi, cosa ne pensate della controproposta del Consiglio federale di abbassarlo dagli attuali 335 a 300?

Chiesa: Ho combattuto la ‘No Billag’ ma sostengo l’iniziativa dei 200 franchi. Si tratta pur sempre di centinaia di milioni all’anno pagati obbligatoriamente dai cittadini per garantire un servizio pubblico. Mica noccioline. La Svizzera ha raggiunto i 9 milioni di persone e la crescita della popolazione degli ultimi anni ha inoltre comportato un costante aumento delle entrate della Ssr. L’abbassamento a 300 franchi è ben troppo esiguo. Guardo con ammirazione alle emittenti private che fanno un lavoro straordinario malgrado un budget limitato.

Mirante: Non mi sembra una gran proposta quella del governo. E non condivido assolutamente l’idea di sminuire il ruolo, anch’esso fondamentale nel servizio pubblico, che ha l’intrattenimento, mi riferisco per esempio agli anziani.

Gysin: Di primo acchito, dico che 300 franchi sono meglio di 200. Dobbiamo però essere consapevoli che anche con 300 franchi ci sarebbero meno entrate, che potrebbero comportare riduzione del personale e/o dell’offerta radiotelevisiva.

Approvvigionamento energetico, dovremo abituarci al caro energia?

Gysin: Dipenderà se agiremo in maniera sensata oggi. Dobbiamo renderci molto più indipendenti dall’estero, con più produzione di energia locale e rinnovabile, e puntare sul risparmio energetico. Abbiamo un potenziale di risparmio del 30%. L’anno scorso, con delle misure di risparmio volontarie e una campagna di informazione della Confederazione, fatta molto male peraltro, siamo riusciti a risparmiare il 10% dell’elettricità. Pensiamo a cosa potremmo risparmiare con degli investimenti seri.

Chiesa: Le 80mila persone che immigrano in Svizzera tutti gli anni hanno bisogno di alloggi, infrastrutture, mobilità ed evidentemente anche di elettricità. Sostengo le energie rinnovabili, ma mi batto per una politica energetica pragmatica e non ideologica. Un approvvigionamento energetico sicuro e finanziariamente sostenibile lo si può garantire solo grazie alla diversificazione delle fonti.

Mirante: Priorità della politica è garantire l’approvvigionamento a cittadini e aziende. Sono sostenitrice di ogni decisione che ci renda indipendenti, ma trovo pure importante avere una diversificazione delle fonti. Se si è troppo dipendenti da una singola fonte, il rischio che qualcosa vada storto è grande.

Mirante, lei si definisce una socialdemocratica: una cosa che condivide con lo schieramento rosso-verde e una con l’Udc?

Mirante: Con il programma Udc condivido l’attenzione al problema della sicurezza, mentre con il fronte rosso-verde le tematiche sul lavoro.

Gysin, al ballottaggio teme un’erosione di voti a favore di Mirante?

Gysin: No, affatto. Anche guardando i dati di panachage, non credo di essere io quella che si debba preoccupare di più.

Chiesa, teme l’effetto Lombardi (Filippo Lombardi, Ppd, che nel 2019 fu il più votato al primo turno, ma al secondo non venne eletto)?

Chiesa: Quando tutti mi dicono che non devo preoccuparmi è il momento giusto per iniziare a farlo. Partiamo tutti da zero e non do nulla per scontato.

Visto che si parla tanto di trasparenza, quanto avete speso per queste elezioni federali?

Gysin: Non ho fatto una campagna personale, ma con il mio partito. La spesa per il primo turno è stata di circa 85-90mila franchi per tutti i Verdi. Si aggiungeranno ora i costi per il ballottaggio. Per il mio primo turno ho poi versato 10mila franchi al partito.

Chiesa: Personalmente tra i 30 e i 40mila franchi.

Mirante: Per il movimento e la mia candidatura arriveremo a spendere in totale, quindi per il primo e il secondo turno, tra i 5 e i 6mila franchi.

Cala la partecipazione al voto: politici e partiti in deficit di credibilità?

Gysin: C’è una disaffezione nei confronti della politica che deriva anche da aspettative degli elettori obiettivamente troppo elevate. Le quali probabilmente sono dovute alle promesse fatte in campagna dai candidati che pensano, con la loro elezione in questo o in quel consesso, che si possa rivoluzionare il tutto. Questo calo della partecipazione è un dramma, perché parliamo dell’essenza della democrazia, su cui dobbiamo lavorare per invertire la tendenza.

Chiesa: La democrazia diretta è un valore fondamentale per il nostro Paese. E se c’è un cittadino su due che non si esprime, ciò mi preoccupa. Già a scuola bisognerebbe insegnare l’importanza e il valore della partecipazione al voto. Rispetto ad altre realtà dove i cittadini non sono mai interpellati, noi svizzeri siamo dei privilegiati.

Mirante: La responsabilità di questo calo è in primis di chi fa politica. Se le persone non hanno voglia neppure di aprire la busta elettorale, qualche domanda chi fa politica deve porsela.