Il Gran Consiglio sottoscrive a larghissima maggioranza il rapporto di Jelmini (Ppd). Contraria la Lega: ‘Aiuto chiesto soprattutto dagli stranieri’
È un semaforo verde senza tante sorprese quello che il Gran Consiglio ha appena dato al rinnovo della prestazione ponte Covid fino a giugno 2022, con la possibilità di estenderla al 31 dicembre: a mancare sono solo i voti della Lega.
A riassumere il concetto è, in entrata, il relatore del rapporto commissionale Lorenzo Jelmini (Ppd): «Questa è una misura destinata a persone che affrontano un periodo complicato, con particolare attenzione agli indipendenti e ai salariati che non possono beneficiare di altri aiuti». E l’augurio «è che questa sia l’ultima volta che dobbiamo decidere il prolungamento della prestazione ponte. Non perché non si voglia aiutare, ci mancherebbe. Ma perché vorremmo tutti che questa pandemia fosse presto sconfitta». Resta l’incertezza della ripresa però, e Jelmini annota che «occorre tenere alta la guardia ed è giustificato rinnovare una prestazione che è complementare alle altre, limitata nel tempo e offre un aiuto straordinario e mirato: finora quasi 400 famiglie in difficoltà hanno avuto un aiuto in più».
La capogruppo del Plr Alessandra Gianella non ci gira attorno, «inizialmente avevamo delle riserve». Il compromesso trovato in Gestione, cioè prolungarla al massimo alla fine del 2022 e non del 2023 come chiedeva il Consiglio di Stato, «ci ha portato a sciogliere i nostri dubbi e votare il rapporto di Jelmini: andare fino al 2023 sarebbe stato eccessivo per una misura che ora è necessaria, perché la situazione è migliorata ma per gli indipendenti è ancora difficile, ma che per noi non va prolungata oltre».
Fatto salvo che, ricorda Gianella, «in caso di comprovato bisogno il Consiglio di Stato potrà sottoporre al Gran Consiglio dati e cifre, e noi valuteremo il ripristino di questo aiuto».
La Lega, con il capogruppo Boris Bignasca, si oppone perché «la maggioranza dei beneficiari sono cittadini stranieri, e si conferma quindi l’immigrazione nel nostro stato sociale che noi combattiamo». In seguito, il direttore del Dipartimento sanità e socialità Raffaele De Rosa ricorderà al gruppo leghista – con cortesia – che se le statistiche a livello federale attestano come l’origine straniera sia uno dei fattori di povertà e disparità, è comprensibile che di riflesso a chiedere una prestazione in maggioranza (il 55%) siano cittadini stranieri.
Tornando ai favorevoli, il Partito socialista con Danilo Forini sottolinea che «la crisi ha colpito a geometria molto variabile: le fortune dei miliardari sono aumentate, mentre le persone in difficoltà, le più colpite dalla crisi pandemica, erano già pesantemente in difficoltà da tempo. Migliaia di indipendenti hanno sofferto personalmente, non riuscendo più a provvedere alle necessità basilari per loro e per la propria famiglia». Concorda la verde Samantha Bourgoin: «A volte si avverte un fastidio di fondo nell’aiutare gli indipendenti che faticano, mentre non c’è mai stato tutto questo disturbo nel sostenere le grandi aziende».
Come già successo ieri con la tassa di collegamento, l’Udc vota in maniera diversa dalla Lega. Perché anche se «le critiche di Bignasca anche noi le solleviamo, in parte» il democentrista Tiziano Galeazzi assicura il sostegno del proprio gruppo.
Bocciato, infine, l’emendamento con cui il capogruppo socialista Ivo Durisch ha provato a (ri)mettere la durata massima della prestazione al 2023 compreso «come chiesto dal governo, lo dobbiamo a tutte le famiglie in difficoltà che grazie a questa prestazione sono sopravvissute un po’ meglio». Pollice verso (25 sì e 52 no), nonostante fosse stato il governo stesso a proporla fino al 2023.