Ecco come un gruppo di architetti romandi (vincitore del bando comunale) vede la Città del futuro. Con qualche idea anche per Valera
In futuro nel paesaggio urbano di Mendrisio potrebbe essere il Laveggio, con i suoi spazi d’acqua, a dettare le regole. Julien Descombes e Alain Robbe ci credono. Credono sia possibile cambiare paradigma, anche nella pianificazione. E pensano che, nel ‘ridisegnare’ la Città, sarà la realtà costruita ad adattarsi alla traccia del territorio in cui si innesta (non il contrario). I due architetti non hanno bisogno di portare delle prove. La risposta è nei piani che danno corpo alla loro visione del capoluogo di domani. La stessa che immagina una “Città al bordo dell’acqua”; e che ha convinto prima la giuria del bando di concorso, poi il Municipio. Quell’esecutivo che ora punta a concretizzare un Piano direttore comunale (cfr. ‘laRegione’ dell’1 dicembre). Certo, non si sfugge, i progettisti propongono e i politici – in ultima analisi il Consiglio comunale – dispongono. Sapere, però, che è possibile è già un buon punto di partenza. Basta seguire la traccia blu disegnata sul pavimento de ‘La Filanda’, che fino al 27 gennaio accoglierà le proposte firmate dai tre gruppi di professionisti – provenienti da tre regioni linguistiche della Svizzera – che hanno partecipato al mandato di studio in parallelo. Qui, come nella visione del lavoro della squadra romanda, per comprendere come sviluppare una strategia capace di rendere più vivibile il territorio bisogna proprio mettere i piedi... nell’acqua. La stessa linea blu che per l’Atelier Descombes Rampini-LRS architectes rappresenta “l’elemento generatore del progetto”. «Il Laveggio – spiega Julien Descombes – non è solo la spina dorsale: la nostra idea ci si appoggia braccia e gambe». Il fiume, al pari dei suoi affluenti, è la via per riavvicinare la Città al lago, ma al contempo per collegare i due versanti della valle, riconnettendo Generoso da una parte e San Giorgio dall’altra. «Ci siamo agganciati al progetto di Parco del Laveggio – promosso dai ‘Cittadini per il territorio’, ndr – e ne abbiamo ampliato la suggestione, dandole maggiore forza e realizzando una sorta di grande parco, da vivere non solo per piacere. Pensiamo a un parco abitato, in cui riescono a convivere anche gli insediamenti e le diverse attività».
A Valera? Un ‘parco sportivo’
Gli architetti romandi lanciano il sasso nel... fiume. E mettono sul tavolo cinque schizzi che valgono altrettanti suggerimenti. Seguendo il Laveggio, la prima proposta è quella di rivendicare le rive alla foce, a Capolago-Riva San Vitale, come spazio pubblico. Un altro snodo cruciale, in prospettiva, è il quartiere della stazione, la cui variante oggi è al vaglio dei consiglieri. Il comparto, rilevano i progettisti, assumerà un “ruolo centrale”, destinato com’è a diventare un “centro residenziale e lavorativo a elevata densità di costruzioni”. Del resto, per recuperare superfici alla vivibilità collettiva, la città si ritroverà a “costruirsi su sé stessa”. Agli occhi degli architetti, poi, si individuano due aree da far coincidere con un ‘parco industriale’: i Prati Maggi a Rancate e, fuori dai confini giurisdizionali, il territorio del vicino Comune di Stabio. Potrà far discutere, infine, l’invito a inserire nel comparto di Valera, 190mila metri quadri fra Rancate, Genestrerio e Ligornetto, un ‘parco sportivo’. È un’opzione, ci fa capire Descombes. Che non è incompatibile con la visione più ampia. «Magari l’area scelta non si rivelerà un luogo adatto: andrà discusso nella prossima fase». Quella più politica.
'Siamo in ritardo, ma ora è tempo di agire'
La topografia ticinese? «Affascinante», riconosce l’architetto Julien Descombes. Eppure i fondovalle, qui a sud, non sono paesaggi facili da vivere. «In effetti è stato difficile per noi, romandi, entrare in questo progetto». Infatti, a prima vista l’hanno preso quasi per una «plaisanterie» (uno scherzo): «Questo concorso avrebbero dovuto farlo 50 anni orsono, adesso sembra troppo tardi». È la stessa conformazione territoriale a restituire questa impressione, soprattutto là dove si concentrano le attività dell’uomo e l’attenzione della proposta vincitrice del bando. «Siamo in ritardo? Il problema c’è ovunque». Anche se nel Mendrisiotto il paesaggio antropico mette a dura prova i professionisti. «Serve l’appoggio della politica». La via d’uscita indicata dagli architetti? L’acqua. «Che, associata allo spazio pubblico, ci dà le piste – e la rete di percorsi, ndr – per ricucire anche i legami tra le due sponde della valle – oltre che fra pianura e montagna, ndr –, tagliate da autostrada, ferrovia e grandi infrastrutture». Del resto, ci fa presente l’architetto, «non è solo un’idea; anche fisicamente si può lavorare su questa area, penso a dei percorsi per la mobilità lenta». Il Laveggio, però, ha abbastanza forza per far invertire la rotta? «Gli esempi ci sono. A Ginevra abbiamo allestito un progetto di rivitalizzazione sul fiume Aire, che è ancora più piccolo del Laveggio. Una zona, dove l’acqua è molto legata all’ambiente e alla natura e va in parallelo con quello che abbiamo chiamato spazio pubblico rurale. Da chi vi abita accanto è molto utilizzato, sia su grande scala – collega campagna e città – che come parco. In campagna lo spazio è aperto per l’agricoltura ma non necessariamente è pubblico. Lì abbiamo visto che si può fare molto con poco». Quindi questa è la strada giusta. «Quando si dice Laveggio immediatamente si evoca in modo potente l’immaginario popolare, per la sua storia, per quello che la gente ricorda di questo fiume. È una pista interessante, sì, e va seguita adesso: se già ora è troppo tardi, fra 50 anni sarà completamente sparito». Eppoi, lascia intendere Descombes, c’è un tema in grado di fare da ariete, nella politica ancor prima che nell’opinione pubblica. «Oggi ci sono ragioni anche molto attuali per lavorare sullo spazio dell’acqua. Quando si assiste ai cambiamenti del clima, ci si rende conto che occorre ridefinire lo spazio che diamo all’acqua per gestire gli eventi naturali. Motivazioni, dunque, molto pratiche». Occorre cambiare mentalità, insomma. «Lo abbiamo visto proprio nel progetto dell’Aire. Anche se la gente vuole avere un parco, e sussistono motivi forti legati all’ambiente, la cosa che permette di andare avanti è la sfida contro i danni da inondazioni e la possibilità fisica, sul territorio, di garantire la sicurezza». La sicurezza fa breccia più dell’ambiente e dello spazio pubblico? «È una problematica reale: si preferisce prevenire che fare la conta dei danni». Dalla sicurezza si può andare oltre. «L’idea di Parco è molto forte, perché dà un’identità forte al luogo. E d’altro canto, c’è necessità di riorganizzare il territorio per arginare uno sviluppo dispersivo. Capiamoci: non dobbiamo pensare solo al parco verde da contrapporre al territorio costruito. Al suo interno possono convivere anche costruzioni, attività e insediamenti». E, a questo punto si inserisce la riflessione sullo spazio città e l’esigenza di densificare – costruire dove è già costruito –, innestandosi sugli snodi di traffico e trasporto pubblico. «Come di fronte alla stazione di Mendrisio. Così facendo si potranno liberare un po’ dalla pressione le fasce della pianura, che hanno bisogno di ritrovare più spazio». I progettisti, poi, tengono i piedi ben piantati a terra. «Non bisogna essere troppo astratti – come dimostrano gli schizzi che zoomano su cinque zone del territorio cittadino e non solo, vedi a lato, ndr –, per dimostrare che l’idea di un parco abitato è fattibile. Sarà, però, importante lavorare su due scale: la prima grande, sul territorio, la seconda con progetti concreti, anche piccoli. Non bisogna aspettare che la pianificazione sia compiuta; si può agire prima».