Lo ha stabilito la Corte respingendo i reclami dell'avvocata dell'uomo, nel frattempo tornato in libertà (ma l'inchiesta prosegue)
Le decisioni con cui il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) aveva dapprima confermato la carcerazione preventiva, e in seguito il suo prolungamento, per il 64enne dell’Alta Vallemaggia accusato di truffa per mestiere e amministrazione infedele – reati ipotizzati dal Ministero pubblico in relazione alla raccolta di fondi in favore di enti legati al territorio – erano condivisibili. Lo sostiene la Corte dei reclami penali, alla quale l’avvocata Roberta Soldati, difensore dell’uomo, tornato in libertà a metà luglio dopo aver passato in carcere un mese abbondante, si era rivolta contestando appunto dapprima la convalida da parte del gpc della carcerazione preventiva e successivamente della proroga della detenzione disposte dalla Procura... Reclami dunque rigettati.
Nella sentenza la Crp “ritiene, dopo esame degli atti istruttori e delle motivazioni delle decisioni impugnate – tenuto conto che nell’ambito della procedura di carcerazione è sufficiente la prova di concreti sospetti, secondo i quali il comportamento incriminato potrebbe adempiere con rilevante probabilità il reato ipotizzato, rispettivamente per non pregiudicare l’esame dei fatti imputati al reclamante che dovrà essere effettuato dal giudice del merito – che le conclusioni circa l’esistenza degli indizi di reato e l’esistenza del pericolo di collusione siano prima facie condivisibili”. A prima vista condivisibili.
La Corte ha deciso con una sola sentenza su entrambi i reclami, respingendoli e confermando quindi le decisioni del gpc. In ogni caso il 64enne è stato, come detto, nel frattempo scarcerato e quindi la procedura dinanzi alla Crp è stata stralciata. Prosegue intanto l’inchiesta di merito per stabilire le responsabilità del valmaggese, direttore di un’azienda di Cevio attiva nella selvicoltura e nella costruzione di muri a secco e coinvolto in prima persona in diversi enti che si adoperano, raccogliendo finanziamenti – anche oltre Gottardo, tanto che l’inchiesta si è estesa fino al Canton Lucerna – per sostenere svariati progetti legati al territorio. Il sospetto è che nel corso degli anni fondazioni e associazioni della regione, in un paio delle quali l’imprenditore era appunto attivo, abbiano pagato l’impresa per lavori mai eseguiti, o eseguiti in parte.
Sulla vicenda aveva preso posizione, sulla ‘Rivista’, anche l’editore valmaggese Armando Dadò. Facendone il nome, difendeva il suo conterraneo, foriero di “molte iniziative”, nonché artefice della sistemazione dei conti dell’azienda forestale che dirigeva. Dadò criticava le modalità di arresto e di incarcerazione: 40 giorni in galera, di cui 12 con una sola ora d’aria. Su queste basi proponeva un parallelismo con la vicenda del Credit Suisse, i cui manager, colpevoli di un fallimento storico, “sono partiti con lauti bonus milionari: un premio alla cattiva amministrazione”. Ma “nessuno è stato arrestato. Nulla è stato restituito”. Per il valmaggese, invece, l’infamia e la disperazione, e “una denuncia tutta da verificare”.