Non saranno le autarchiche fughe in avanti di chicchessia a favorire il sostegno locale a una futura espansione internazionale del Festival
Il vantaggio di avere dei figli adolescenti che ascoltano trap dalla mattina alla sera è che, a furia di sentirli, certi ritornelli ti restano appiccicati in testa. C’è per esempio un tale Chicoria che nel brano ‘Butterfly Knife’ canta (canta è un parolone, facciamo dice) che “Roma ad agosto non è un bel posto”. Qualcosa di simile pare abbia pensato anche la neopresidente del Film festival, Maja Hoffmann. Per quanto concerne Locarno, però. E non su Locarno come location in sé (“un luogo sensazionale” anche se “un po’ difficile da raggiungere”), ma per quel che riguarda l’idoneità delle prime due settimane di agosto nella cittadina in riva al Verbano quale incrocio geografico/temporale adatto alla promozione e allo sviluppo di una rassegna cinematografica che aspira più ad “andare avanti” che non “a restare dove siamo”.
Con uno strano miscuglio di arroganza, ingenuità e coraggio, a pochi giorni dall’inizio della prima edizione festivaliera sotto la sua guida, la signora Hoffmann si è permessa, in fondo, di dire qualcosa di risaputo: una diversa collocazione nel calendario sarebbe funzionale a una crescita della manifestazione, soprattutto oltre i confini ticinesi e svizzeri. Le sue esternazioni hanno suscitato diverse reazioni e molto si è detto in questi primi e caldi giorni del mese: dal prudente sindaco di Locarno (“se ci saranno richieste ufficiali valuteremo pro e contro dei vari scenari”) al pragmatico patron di Moon&Stars (“la questione è sul piatto e ne stiamo discutendo da mesi con Città e Festival”), con in mezzo tutta la trafila di politici e imprenditori locali piuttosto spiazzati dal tempismo e dalle modalità comunicative scelte dalla successora del venerato Marco Solari.
Indipendentemente da quanto possa piacere o meno Locarno ad agosto, il Festival con tutto il suo entourage (compresa quell’addetta alla sicurezza che ogni anno, durante la rassegna, si piazza davanti al museo Casorella a dirigere il traffico – dei residenti – con l’aria di “questa è casa mia”), nonché lo charme della nuova presidente, il punto cruciale che dovrà essere affrontato dall’attuale dirigenza della kermesse nei vari ragionamenti di riposizionamento e di riorganizzazione interna (nuovo Cda in versione ‘chief executive officer’) riguarda il modo di garantire che in questo processo non venga a mancare un tassello fondamentale: la convergenza degli interessi di tutti gli attori – cinematografici e non –, pubblico e popolazione ospitante inclusi.
Un compito non scontato, se si tiene conto di una costituzione “animica” del Locarno film festival che racchiude una contraddizione di complessa risoluzione: quella di essere un evento che punta a un sempre maggior respiro internazionale, sorretto però dalla forza “delle radici che ci legano al territorio” (Raphaël Brunschwig – quasi sicuro futuro Ceo – dixit). Una contraddizione emersa con forza tra le righe delle reazioni all’uscita di Hoffmann sul domenicale del Blick. Gli obiettivi dei vari personaggi possono in effetti divergere ed è naturale che così sia: il mecenate ambisce al riconoscimento; gli uomini di affari (albergatori, ristoratori, commercianti) inseguono il profitto; i politici sono alla perenne ricerca di consensi; i membri della high society ticinese si accontentano di un qualche aperitivo offerto, i poveracci e gli intellettuali (la stessa cosa, no?) del fascino della settima arte.
In un Cantone che tra immutabilità e cambiamento spesso sceglie la prima, un Ticino allo stesso tempo proclive ad assecondare le volontà dei potenti (volontà perlopiù camuffate da lungimiranti iniziative in nome del bene comune); in un contesto del genere è molto probabile che non siano le autarchiche fughe in avanti di chicchessia a favorire il sostegno locale – presupposto indispensabile – a una futura espansione internazionale del Festival. To be continued.