I fondi sono desinati a idee nel digitale, high-tech e biomedicina. Fabrizio Cieslakiewicz: ‘In un periodo di difficoltà crediamo nell’innovazione’
Altri cinque milioni di franchi, che si vanno a sommare agli otto già messi sul piatto negli ultimi anni. È quanto ha deciso di stanziare BancaStato – attraverso la sua Fondazione del Centenario – a favore delle start-up ticinesi, le imprese promettenti (spesso create da giovani laureati) che non sono ancora finanziariamente indipendenti. «Quello che lanciamo è un segnale importante: anche in un periodo di sfide e difficoltà crediamo nell’innovazione», ha affermato orgoglioso il presidente della Direzione generale di BancaStato Fabrizio Cieslakiewicz. «Le start-up sono aziende con alto potenziale, capaci di portare sul territorio posti di lavoro a valore aggiunto».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta, che ha ricordato come quello del sostegno a progetti legati all’innovazione sia stato tra i primi dossier che ha trattato dopo l’elezione in Consiglio di Stato. «Come ente pubblico in pochi anni abbiamo investito quasi 500 milioni tra strutture, formazione e ricerca». Il riferimento è ai campus della Supsi di Viganello e Mendrisio. A questi si aggiunge il futuro parco dell’innovazione che sorgerà a Bellinzona, nel nuovo quartiere delle Officine. «Si tratta d’investimenti che hanno uno sguardo a medio e lungo termine», ha precisato Vitta. Il 9 febbraio sarà inoltre riproposta a Palazzo dei Congressi di Lugano la ‘Giornata delle start-up’. Un appuntamento che «vuole favorire gli incontri tra aziende giovani e investitori. Ma non solo, è aperta anche al pubblico proprio perché si vuole agevolare la creazione di una cultura legata all’innovazione".
A occuparsi di selezionare ed erogare i contributi è TiVentures, una società legata a BancaStato. «Negli ultimi anni abbiamo ristretto i settori nei quali operiamo» ha spiegato Lorenzo Leoni, managing partner di TiVentures. «Sosteniamo chi è attivo nel settore digitale, nell’industria high-tech o nella biomedicina». Tra i requisiti fondamentali, ha precisato il presidente del Consiglio di amministrazione Renato Boldini c’è «il legame con il territorio. Per ricevere un finanziamento le start-up che propongono il loro progetto devono avere la sede e l’attività principale in Ticino».
Diversi i numeri presentati durante l’incontro con i media a Sant’Antonino. «Cifre che mostrano come in Ticino quando si investe lo si fa con successo» ha detto orgoglioso Leoni. Negli ultimi 10 anni – ovvero da quando è stata creata questa ‘holding’ d’investimento – sono state supportate 23 aziende. «Cinque sono state vendute, quattro liquidate e le altre fanno ancora parte del portafoglio». A livello aggregato le società attualmente finanziate da TiVentures occupano 299 collaboratori, generano ogni anno 35 milioni di franchi di massa salariale e 25 milioni di fatturato. I capitali raccolti superano i 134 milioni di franchi.
Leoni ha anche voluto ricordare come il processo di accompagnamento per una start-up sia piuttosto lungo. «In questo periodo vediamo le prime aziende da noi seguite che hanno raggiunto un livello di maturità tale da consentirci di terminare il nostro investimento e ottenere un guadagno». Questo non vuole comunque dire, hanno sottolineato i relatori, che durante la fase di crescita non si possano già vedere dei risultati. «In media dopo 7 anni dal nostro primo investimento le start-up hanno creato 34 posti di lavoro, fatturato 5,9 milioni di franchi e raccolto complessivamente 8,45 milioni».
Tra gli esempi di successo c’è anche quello di Davide Rivola, che partendo da un progetto condiviso con alcuni colleghi della Supsi è ora direttore operativo di un’azienda attiva a livello internazionale nel campo dell’efficienza energetica. «Siamo contenti che la nostra idea abbia avuto successo. Il nostro è un obiettivo ambizioso per cercare di dare un contributo alla svolta climatica ed energetica». Un aspetto, quest’ultimo, che «è uno stimolo ulteriore. Abbiamo diversi collaboratori che sono venuti a lavorare qui da altre parti del mondo perché credono in quello che facciamo. Contribuiamo quindi a una sorta di ‘arrivo di cervelli’».