Fabio Licari, Gazzetta dello Sport: ‘Nel 2018 non avrei mai pensato a una Nazionale campione d’Europa, ma il ct ha bruciato le tappe della ricostruzione’
La sfida contro l’Italia rappresenta da sempre, per tutta la Svizzera e non soltanto per noi ticinesi, una sorta di derby. Unilaterale, ovviamente, perché a guardarla con… occhi azzurri si tratta di una sfida come tante altre. Anzi, storicamente assai più facile, alla luce di un bilancio complessivo che parla di appena 8 vittorie rossocrociate. E di sfide ne sono state giocate, eccome. Ben 60, sette in più rispetto a tutte le altre Nazionali. L’ultimo successo elvetico, lo sappiamo bene in un 2021 nel quale quello di stasera sarà il terzo scontro diretto, risale al 1993 e al gol di Marc Hottiger. A Roma, la Svizzera ha vinto soltanto una volta, nell’autunno 1982 (gol di Elsener), in quella che doveva essere la festa azzurra per il titolo mondiale. Insomma, statistiche alla mano, se la Nazionale di Yakin vuole centrare la qualifica diretta a Qatar 2022, dovrà compiere il classico miracolo.
Nonostante i numeri siano tutti dalla parte di Mancini e compagni, Fabio Licari, prima firma della Gazzetta dello Sport, non si fida… «La Svizzera l’ho sempre considerata un avversario rognoso e difficile. Per questa ragione ero rimasto molto sorpreso dal 3-0 con il quale l’Italia si era imposta nella fase a gironi di Euro 2020. Una differenza in campo, al di là del risultato finale, che non pensavo vi fosse, almeno nei termini espressi dalla partita. È altresì vero che quell’Italia si trovava in un momento di grazia e avrebbe probabilmente rifilato tre reti a qualsiasi avversario».
Poi, però, è arrivato lo 0-0 di Basilea, nell’andata delle qualificazioni mondiali… «Ma quella partita, a ben vedere, la Nazionale di Mancini avrebbe meritato di vincerla. Pur senza incantare, l’Italia aveva giocato meglio rispetto alla Svizzera. Se avesse avuto quella facilità di gol che l’aveva contraddistinta fino all’Europeo, avrebbe chiuso la contesa già nel primo tempo. E lo stesso discorso vale per l’impegno di tre giorni prima contro la Bulgaria, pure quello finito in parità. Se dovesse ritrovare quella fluidità di gioco che l’aveva caratterizzata fino all’estate, ritengo l’Italia più forte. Senza dimenticare che a Roma la Nazionale è imbattuta dal 1953».
Sabato saranno trascorsi esattamente quattro anni da quel 13 novembre 2017 che rimane uno dei giorni più bui del calcio italiano: lo 0-0 di San Siro contro la Svezia nel ritorno dello spareggio aveva precluso agli azzurri la presenza alla fase finale di Russia 2018… «Non mi sarei mai immaginato di ritrovarmi qui, a quattro anni di distanza, a commentare le gesta di una Nazionale campione d’Europa. Pensavo che per l’Italia fosse iniziato un periodo se non di crisi – per fortuna nel calcio i risultati hanno sempre un andamento altalenante –, almeno di grande difficoltà, dal quale si sarebbe dovuti riemergere sulla base di un lavoro a lunga scadenza. Invece, questi tempi Mancini li ha velocizzati in un modo invero non prevedibile. Detto ciò, ho sempre fatto fatica a pensare che l’Italia potesse rimanere fuori da ben due Mondiali consecutivi, per quanto al momento attuale una percentuale di rischio continua a sussistere».
I successi dell’Italia sono in gran parte ascrivibili alle scelte del suo c.t.: «Senza dubbio la mentalità della Nazionale è cambiata. Mancini è stato visionario, coraggioso, coerente fin dal primo giorno, esprimendo sempre le stesse idee e le stesse visioni. Ha dovuto far fronte a qualche comprensibile difficoltà iniziale, ma una volta lanciato non si è più fermato. La sua squadra, adesso, gioca con obiettivi ben chiari: proporre spettacolo e bel gioco, attaccare e vincere. È senza dubbio tra le più divertenti sul palcoscenico internazionale. Le idee di Mancini stanno pian piano facendo breccia anche nel campionato italiano. Negli ultimi due anni non vi sono più squadre che… giocano per non giocare. Le piccole adesso rendono visita alle grandi partendo da un piano, per lo meno a livello psicologico, di parità. Non esistono più il catenaccio, la difesa a oltranza, l’anticalcio e questo è certamente merito dell’impronta che Mancini ha voluto dare alla Nazionale».
Si diceva che sono trascorsi quattro anni da quello 0-0 di San Siro. Il ricordo di quello smacco potrà avere un’influenza nella sfida di stasera? «È un ricordo che può pesare fino a un certo punto. Dopo i forfait di Immobile e Chiellini, di quell’undici di partenza non rimangono che Bonucci e Jorginho (Donnarumma era in panchina, ndr). Ma quella di Mancini è un’Italia organizzata. Mentre Ventura quel giorno aveva dimostrato di non sapere cosa fare, il Mancio ha le idee molto chiare e sa come trasmetterle ai suoi ragazzi. Tra l’altro, quella con la Svizzera non è nemmeno una partita decisiva: si dovrà disputare l’ultimo turno, poi eventualmente ci saranno gli spareggi. Quattro anni fa a Milano ci si era giocato tutto in 90’: o dentro o fuori».
Rispetto all’Europeo, però, la squadra sembra meno brillante… «Nelle ultime partite qualche passo indietro è stato compiuto, in particolare nella fluidità del gioco e nella facilità di andare in gol. E per questo motivo ritengo che lo 0-0 di Basilea possa lasciare qualche strascico: nonostante avesse giocato meglio e avesse meritato di vincere, la squadra non era riuscita a risolvere una situazione difficile, come invece aveva sempre fatto. Inoltre, Jorginho si era fatto parare un rigore da Sommer, uno dei pochissimi ad esserci riuscito. La partita con la Svizzera e quella con la Bulgaria che l’aveva preceduta, credo abbiano fatto perdere qualche certezza al gruppo».
Non è inusuale che dopo la conquista di un titolo intervenga un certo calo di tensione… «Capita spesso. All’Italia, ad esempio, era successo con Bearzot, con Lippi, con Sacchi dopo il secondo posto a Usa 94, e con Prandelli che ai Mondiali del 2014 non era stato capace di replicare gli Europei del 2012. L’Italia, comunque, rimane quella di Euro 2020, un gruppo giovane con principi ben definiti. Ha mantenuto una struttura solida e deve solo riallacciare qualche filo, in particolare la fluidità di gioco e l’efficacia sotto porta».
Per Murat Yakin, l’ultima settimana è stata uno stillicidio di defezioni (Xhaka, Seferovic, Embolo, Zuber, Elvedi, Fassnacht, forse Gavranovic) che hanno indubbiamente indebolito il potenziale rossocrociato, ma a Mancini non è andata molto meglio. L’ultimo forfait, quello di Giorgio Chiellini, pesa come un macigno… «La sua assenza rappresenta certamente un problema. Lui e Bonucci non possono più giocare con la continuità di due ventenni e questo per il commissario tecnico è senza dubbio un grattacapo. Purtroppo, Chiellini continua a essere uno dei migliori, se non il migliore, marcatore europeo, per cui oggi se ne sentirà la mancanza. Ma lui ha 37 anni e Bonucci ne ha 34 e alle loro spalle, al di là di Bastoni e Acerbi, il calcio italiano propone poco, per cui è inevitabile che a breve-medio termine il ricambio generazionale rappresenterà un problema non da poco. All’Olimpico, Mancini dovrebbe dare spazio ad Acerbi, il quale agli Europei, nella partita contro l’Austria, non aveva fatto rimpiangere Chiellini. Ma, ora come ora, nemmeno Acerbi sta attraversando un periodo di grande forma. A differenza di Chiellini, il quale quando può scendere in campo sa sempre essere decisivo. La sua assenza peserà, almeno in una certa misura, sulla sicurezza collettiva del reparto».
Resta da capire se Yakin riuscirà a trovare un attaccante arruolabile in grado di approfittarne...