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L’ippopotamo pigmeo

A scuola di lombrichi

Ippopotamo pigmeo
(© Martin Harvey/WWF)
5 ottobre 2024
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Un cucciolo di ippopotamo pigmeo di uno zoo thailandese è diventato un fenomeno di internet, grazie a un guardiano esperto di social media e a un livestream di 24 ore. A differenza del piccolo Moo Deng (il cui nome è stato scelto dai fan e si traduce approssimativamente in “polpetta”), gli ippopotami pigmei che vivono in libertà sono animali molto timidi e sono persino difficili da immortalare in uno scatto fotografico. Essi, infatti, vivono una vita solitaria e notturna nelle foreste paludose dell’Africa occidentale. Imparentato con l’ippopotamo comune dell’Africa orientale (conosciuto anche come l’ippopotamo del Nilo), l’ippopotamo pigmeo si trova solo in Africa occidentale. La maggior parte degli esemplari esistenti vive in Liberia, con popolazioni più piccole in Sierra Leone, Guinea e Costa d’Avorio. In Europa erano sconosciuti fino al Ventesimo secolo, quando furono importati i primi esemplari da esibire negli zoo. Infatti, la maggioranza degli studi è stata effettuata su esemplari in cattività. Basti pensare che oggi ne sopravvivono meno di 2'500 individui in libertà. Come gli ippopotami pigmei, molte specie hanno bisogno di foreste sane e di acqua dolce per prosperare. Il WWF lavora per prevenire la deforestazione e proteggere i fiumi a livello globale.

Le curiosità

Impariamo a conoscere un po’ più da vicino gli ippopotami pigmei. Si ritiene che esistano meno di 2'500 individui in natura. Negli anni, la specie ha subito un duro colpo e il numero delle popolazioni si è ridotto a causa della deforestazione dovuta al disboscamento, all’estrazione mineraria, all’espansione agricola e al bracconaggio. Di conseguenza, il loro numero continua purtroppo a diminuire. Ma perché gli ippopotami pigmei sono così difficili da vedere in natura? Oltre a essere così pochi, gli ippopotami pigmei vivono una vita solitaria e segreta lungo i fiumi e nelle paludi, non emettono molti vocalizzi e sono attivi solo di notte. Per questo motivo, gli scienziati non hanno potuto osservarli molto in natura; la maggior parte delle ricerche viene fatta negli zoo. E cosa mangiano? Gli ippopotami pigmei, come i cugini più grandi, hanno una particolarità: pur non essendo ruminanti, hanno uno stomaco molto grande suddiviso in quattro cavità. Passano molto tempo della giornata a riempire queste camere gastriche, almeno sei ore al giorno, secondo i filmati registrati dalle fototrappole. Sono erbivori e si nutrono di erbe, radici, steli e foglie di giovani alberi, frutti e altra vegetazione. Perché sono così piccoli? “Piccoli” è un termine relativo: gli ippopotami pigmei adulti pesano circa 550 chili, quanto i maiali domestici e i leoni maschi. Tuttavia, se li si confronta con un ippopotamo di dimensioni standard, le loro dimensioni sono circa un decimo. È interessante notare che le ricerche condotte nell’ultimo decennio teorizzano che gli ippopotami pigmei e gli ippopotami siano più strettamente imparentati con le balene e i delfini, animali molto più grandi.

Il lombrico

Aristotele lo definiva “l’intestino del mondo”. Stiamo parlando del lombrico, quel piccolo e spesso trascurato abitante del suolo che svolge però un ruolo cruciale per l’ecosistema e l’agricoltura. Con i suoi chilometri di gallerie, profonde fino a tre metri, ossigenano il terreno, facilitano l’assorbimento idrico e favoriscono lo sviluppo delle radici. L’anellide si nutre decomponendo detriti organici e trasformandoli in ottimo humus ricco di nutrienti e microorganismi indispensabili alla crescita delle piante. In un prato verde mediamente colonizzato, un milione di lombrichi ne produce fino a 100 tonnellate per ettaro all’anno. Tale humus contiene fino a 5 volte più azoto, 7 volte più fosforo e 11 volte più potassio della terra circostante.

Essi, loro malgrado, rappresentano pure un’ottima fonte di cibo per molti altri animali della catena alimentare: formiche, toporagni, ricci, tassi, cinghiali e molti altri. Il bello di questo piccolo ingegnere è che può essere facilmente allevato, per godere dei suoi utilissimi servizi. Tramite la lombricoltura è possibile ridurre della metà il volume dei nostri scarti organici e trasformarli in una preziosa risorsa. Sulla falsa riga di quanto accade in natura, essi possono anche diventare un’importante fonte di proteine per pollame e suini.

Se l’argomento vi interessa, non perdetevi il corso di lombricoltura che si terrà il 12 ottobre ad Acquarossa, in cui verrà spiegata la biologia di questi utilissimi invertebrati, nonché le tecniche per allevarli e utilizzarli al meglio per trasformare scarti vegetali e letame. La mattina è prevista una parte teorica e al pomeriggio, dopo un pranzo in compagnia, sarà possibile visitare un piccolo impianto appena avviato in una scuderia. Iscrizione obbligatoria, per maggiori informazioni rivolgersi a: silvia.gandolla@wwf.ch

Velocisti?

Nonostante le zampe tozze e il corpo voluminoso, gli ippopotami pigmei possono muoversi in media a 30 km/h, una velocità paragonabile a quella degli esseri umani e delle lucertole. I loro cugini dell’Africa orientale sono ovviamente più veloci e raggiungono una velocità di 48 chilometri orari. Un’altra particolarità è che sono particolarmente lucidi. Ma come mai? Si potrebbe pensare che la lucentezza derivi dal fatto di sguazzare nell’acqua tutto il giorno. Invece no. Su tutta la loro pelle, gli ippopotami pigmei hanno minuscole ghiandole di muco che espellono una sostanza rosa che li mantiene idratati e protetti dal sole. La loro pelle è in realtà nero-verdastra, ma il muco conferisce loro una luminosità rosata. Per quanto riguarda la riproduzione si sa ben poco degli esemplari che vivono in libertà. Le coppie che sono state osservate all’interno degli zoo farebbero pensare a coppie monogame, ma gli esperti non sono sicuri che questo avvenga anche per le popolazioni che vivono libere in natura. Di questi esemplari così buffi ne esistevano diverse sottospecie (come nel Madagascar e in Nigeria), ma si tratta di popolazioni che si sono estinte.

Ad oggi, il più grande pericolo per questi animali rimane l’uomo e la perdita di habitat. Per sopravvivere servono loro zone umide, fiumi e aree protette. Anche i cugini più grandi sono dichiarati “vulnerabili” e come i cugini pigmei, la causa è da ricercare nella perdita di habitat.