Ai Giochi paralimpici del 2000, a Sydney, la delegazione spagnola si rese protagonista di un vergognoso illecito
Dimostrazioni che l’essere umano è spesso abominevole ne abbiamo a iosa nei più svariati ambiti della vita, ed è praticamente certo che ci sarà sempre un livello di abiezione peggiore di quanto si creda. Migliaia di anni di progresso e di (effimera) civilizzazione, infatti, hanno modificato ben poco la natura bestiale, utilitaristica e del tutto amorale delle scimmie che fondamentalmente siamo rimasti.
Indugiavo in questa affliggente riflessione un paio di giorni fa, quando, investigando la storia dei Giochi paralimpici sono stato sgambettato da un episodio risalente all’anno 2000 e di cui, certo a causa dell’età che ormai ha smarrito il colore del lime, mi ero del tutto dimenticato.
Detto del tempo – l’inizio del nuovo millennio – specifichiamo dunque il luogo, cioè l’antipodale Sydney, dove nel programma delle Paralimpiadi per la prima volta vennero inserite discipline riservate non ai menomati fisici, come da protocollo, bensì ad atleti con disabilità intellettiva. La novità fu salutata da tutti con favore, attirò l’attenzione dei media ai quattro angoli del pianeta, e parve dunque aver superato in scioltezza il banco di prova. Ma a rovinare tutto provvide, ovviamente, il bonobo che – come si diceva – ancora alberga in noi.
Fra gli sport prescelti per tenere a battesimo questa lodevole svolta storica figurava il basket, il cui torneo fu brillantemente vinto dalla Nazionale spagnola. Forse addirittura troppo brillantemente, dato che la superiorità con cui gli iberici sovrastarono ogni avversario nel cammino verso la medaglia d’oro a qualcuno parve perfin soverchia.
Anche i più scettici, però, tennero per sé i dubbi sorti: a pensar male si fa peccato, specie se di mezzo ci sono persone non certo baciate dalla fortuna. Ci si convinse dunque di essere stati troppo malfidenti: andiamo, a chi verrebbe mai in mente di barare in un ambito come quello paralimpico?
E così, in mancanza di Santi Tommasi smaniosi di indagare a fondo e toccare con mano, affinché l’illecito venisse smascherato fu necessario che a parlare fosse qualcuno che alla truffa aveva partecipato di persona. «Di noi 12 giocatori vincitori del titolo paralimpico, solo 2 sono davvero portatori di handicap intellettivi, gli altri 10 sono del tutto normodotati: ci hanno soltanto detto di comportarci un po’ da tonti al villaggio olimpico, e così abbiamo fatto».
La gola profonda si chiamava Carlos Ribagorda, cronista in incognito che – venuto a sapere che la Feddi (Federazione spagnola per sportivi con disabilità intellettive) stava giocando sporco – si candidò e riuscì a farsi selezionare, insieme a una manica di canaglie, per la Nazionale che si sarebbe recata in Australia. Ribagorda scoperchiò il vaso immediatamente, un paio di giorni dopo la cerimonia del podio, e rivelò che gli iberici avevano adottato lo stesso vergognoso metodo non soltanto nella palla a spicchi, ma pure nel ping pong, nell’atletica e nel nuoto, discipline in cui naturalmente avevano fatto incetta di medaglie.
Colpa del presidente federale spagnolo Fernando Martin Vicente – che intendeva spartire coi falsi invalidi i premi del Cio, oltre a quelli del Comitato olimpico iberico e ai contributi degli sponsor. Ma qualche responsabilità – soprattutto figlia dell’ingenuità – ce l’avevano pure gli organizzatori dei Giochi che, certi della buona fede di tutti, non avevano previsto alcun tipo di test per verificare se gli atleti davvero potessero prender parte alle gare: richiedevano soltanto un’autocertificazione delle singole delegazioni secondo cui ogni loro atleta aveva un QI inferiore a 75.
E siccome immaginare per il futuro controlli sistematici di questo tenore oltre che macchinoso si sarebbe rivelato pure imbarazzante, fu deciso di non più riproporre quel tipo di competizioni né nel 2004 né nel 2008, a discapito di moltissimi atleti che, senza colpa alcuna, dovettero pagare per l’avidità di un manipolo di delinquenti. Ps: ai 10 ladri fu ritirata la medaglia d’oro, mentre il presidente Vicente se la cavò con meno di cinquemila franchi di multa.