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Coppa del Mondo ai tempi del virus: meno rumore, stesse emozioni

Lo sguardo di Mauro Pini sulla prima parte di una stagione diversa dalle altre. 'L'annullamento di Wengen, brutta immagine per la Svizzera'

Alexis Pinturault e Aleksander Aamodt Kilde, i due primattori
(Keystone)
13 gennaio 2021
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Con le gare maschili ad Adelboden e femminili a St. Anton, la stagione di sci è entrata decisamente nel vivo. Tra nomi emergenti, conferme, attese e, inevitabilmente, coronavirus, con Mauro Pini (ex allenatore, oggi direttore degli impianti di Airolo e commentatore alla Rsi) vediamo quali sono le indicazioni emerse e quali considerazioni si possono già fare, su un inverno molto particolare. Vuoi perché, oltre alla corsa alle coppe di cristallo ci saranno in palio le medaglie mondiali; ma soprattutto perché la pandemia ha stravolto anche il mondo dello sport. 

Le gare si svolgono senza pubblico e tra nuove misure di sicurezza. Quale atmosfera si respira, quando si è sul posto?

Se da una parte le prestazioni di alto livello sono garantite, dall’altra manca metà dello spettacolo. Vale a dire tutto che sta attorno alle competizioni: i sorteggi dei numeri da partenza in mezzo ad ali di folla, il corteo dei tifosi il giorno della gara, il sostegno dei fans club, il rumore che crea l’onda di persone. Gli atleti di punta, se stiamo alle parole di Daniel Yule ad Adelboden, che proprio nell’Oberland bernese l’anno scorso ha vissuto uno dei momenti più intensi in carriera, avvertono sì che l’ambiente è diverso, ma per finire ciò a cui mirano è vincere la gara e quindi riescono a rimanere concentrati sulla preparazione e sulla sciata da mettere in pista. I più ‘scafati’, insomma, penso riescano a focalizzarsi al cento per cento sulla gara. Certo è che un ambiente così asettico può lasciare un senso di incompiuto anche in chi, come Linus Strasser, è nel giro da tempo ma ha colto solo quest’anno la prima vittoria. Anche per atleti di medio o lungo corso, questi possono essere momenti in cui non si riesce a fare uscire le giuste emozioni, a ricevere le pacche sulle spalle o le richieste di autografi che fanno sempre piacere. Diverso è il discorso relativo ai giovani: per loro, non poter condividere con migliaia di tifosi è un’esperienza che mancherà.

Una parola per definire l'avvio di stagione della squadra svizzera.

Fantastico. Le gare senza un rossocrociato, maschio o femmina, sul podio si contano sulle dita di una mano. La dimostrazione di forza è indubbiamente straordinaria. Vero che si arriva dopo avere vinto la classifica per nazioni dopo ‘un’eternità’, ma l’anno scorso la si è conquistata relativamente facilmente, anche per demeriti altrui. In questa prima parte dell'inverno, per contro, il primato la Svizzera lo sta meritando appieno. Tanto più che, a differenza dell’Austria che da Marcel Hischer aveva garantita la maggior parte dei punti, sono stati diversi gli elvetici a piazzarsi davanti, con tre-quattro atleti in ogni disciplina che si possono giocare i posti che contano. Questo dimostra la potenza del gruppo, patrimonio incredibile.

Terzo in classifica generale in campo maschile è proprio uno svizzero: Marco Odermatt. Per lui, la corsa alla 'coppona' può già essere un obiettivo?

Non se ne parla ancora, perché è adesso che si entra nella fase clou della stagione; è fra un mesetto che si potrà iniziare a fare proiezioni. A mio parere, per Odermatt è ancora presto puntare alla generale e ci sta che lo sia. Marco sta già sciando su altissimi livelli, ma su alcune piste gli manca ancora esperienza e forza. Credo inoltre che ci sia ancora del lavoro di sviluppo in termini di materiale. Il marchio Stöckli è la prima volta che si trova in questa situazione in campo maschile (ci era già arrivato tra le donne, con Tina Maze in particolare) e quindi anche per la casa di produzione elvetica è un’esperienza nuova, anche in termini di accompagnamento dell’atleta. Che, diciamolo, speriamo resti con Stöckli. Come tifosi bisogna essere coscienti chi si giocherà il trofeo grande sono Alexis Pinturault e Aleksander Aamodt Kilde. Per Marco Odermatt - che ha solo 23 anni, Pinturault ne compirà 30 a marzo, Kilde 29 a settembre - è solo questione di tempo: arriverà il suo momento.

Vincitrice del superG di St. Anton, Lara ha ritrovato la Gut?

Ha ritrovato la pista adatta a Lara Gut e ne ha approfittato subito, fornendo una dimostrazione di spessore; e questo è sinonimo di campionessa. Si sa, lei è la più brava di tutte a interpretare le piste ‘al volo’. Questa sua grandissima, e rara, capacità di leggere il terreno, si esprime al meglio proprio in superG e, al di là dei risultati nelle ultime stagioni, in Austria lei ne ha dato un'ulteriore dimostrazione.

Il fatto che ora sia parte integrante della squadra, può averla aiutata?

Non lo so. Probabilmente in questi mesi ha ritrovato una certa tranquillità; ha visto che in gigante non è lontana e si è rassicurata. Si vede che sta bene e, quando ha trovato pan per i suoi denti, ha colto l’occasione senza nascondersi. La pista che ospiterà le prossime gare di velocità, è per certi versi simile a quella di St. Anton, quindi ci si può aspettare da Lara un altro bel weekend. Su questi tracciati stretti, ‘obbligati', con cambi di ritmo e porte nascoste, la sua capacità di lettura le ha permesso di far fruttare tutto il suo potenziale.

Un'altra pista che si addice a Lara Gut è Cortina, sede dei Mondiali. Lo sguardo è già là?

No, l’appuntamento clou della stagione non è ancora vicinissimo. Comunque a Cortina molto può fare il tempo, che non di rado influenza i risultati. Nel superG, ritengo un gradino sopra tutte ci siano proprio Lara Gut (che reputo la favorita) e Marta Bassino. Mentre in discesa, per restare alla velocità, penso che il lotto delle pretendenti sia un po’ più ampio.

Un top e un flop di questa prima parte della stagione.

Top senza esitazioni è Alexis Pinturault. Le sue due prove di giganta ad Adelboden sono state una vera e propria dimostrazione, magnifica. Flop direi Henrik Kristoffersen. A mio avviso, con il ritiro di Marcel Hirscher il norvegese ha perso il punto di riferimento.

Come si può spiegare che, venuto meno un avversario, per quanto stratosferico fosse, un atleta non trovi nella crescita di altri contendenti lo stesso stimolo?

Kristoffersen è in una fase di cambiamento della sua carriera, oserei dire della sua vita. Non è più il ragazzo ‘spaccatutto’ dei primi anni, quello che non guardava in faccia a nessuno e che, con l’euforia della gioventù, era il cacciatore che cercava di battere Hirscher. Sta crescendo, maturando, diventando uomo; un cammino che gli può causare qualche conflitto con se stesso. È proprio su di sé che ora deve focalizzarsi, e non più su qualcun altro. Un qualcun altro che, oltretutto, adesso non è più un solo avversario ma sono tanti ed è come se Kristoffersen si sentisse accerchiato. Con Hirscher, il norvegese ha perso il punto di riferimento anche tecnico e lo si vede in difficoltà. Comunque sono certo che ne uscirà: ha indubbiamente il talento per farlo. Il suo, peraltro, è un percorso simile a quello di Lara Gut: anche lei era arrivata giovanissima sul circuito, inserita in un team privato e aveva tanta voglia di ‘spaccare le montagne’ senza guardare in faccia a nessuno, anche con una certa arroganza.Pure la ticinese ha dovuto passare attraverso qualche tempesta e ora ha trovato il suo equilibrio. Quella di oggi non è più la Lara di dieci anni or sono. Per certi versi sono rimasto sorpreso dalle sue dichiarazioni dopo la discesa di St. Anton, quando ha detto di non voler rischiare. Lei, che proprio del rischio ha fatto la sua carriera. Questo è un segnale importante del cambio della ticinese e Henrik Kristoffersen dovrà affrontare lo stesso percorso.

E chi definisci una sorpresa di questo inverno?

Direi i due giovani norvegesi Lucas Braathen e Atle McGrath. È impressionante la facilità con cui questi due ragazzi (nati nell’aprile 2000, a due giorni di distanza uno dall’altro, ndr) siano andati a posizionarsi subito davanti. Una facilità che, in apparenza paradossalmente, forse spiega in parte gli errori frutto dell’inesperienza che hanno causato gli infortunio di entrambi. È un gran peccato che si siano fatti male.

Dopo vari tira e molla, si è deciso di annullare la tappa maschile di Wengen. Cosa significa dover rinunciare al mitico Lauberhorn?

Sportivamente parlando, non cade per nulla il mondo. La decisione di non disputare le gare, oltre a una questione di sicurezza per atleti e staff, è una dimostrazione di rispetto per la situazione legata al coronavirus e le relative regole. Qui si potrebbe aprire il grosso capitolo di come la politica svizzera stia gestendo questa pandemia. La cancellazione di Wengen, con le squadre praticamente pronte a raggiungere il paese, perché le autorità non sono state capaci di gestire l’afflusso di inglesi nella stazione, non è certamente una bella immagine per la Svizzera. Ripeto, non è tanto una questione sportiva, quanto una conferma dell’incapacità di affrontare la crisi sanitaria negli ultimi due mesi. A questo proposito, lascia perplessi il fatto che, a differenza di quanto previsto in Austria e Italia dove si creano delle ‘bolle’ per atleti e giornalisti, per raggiungere Adelboden non c’è stato bisogno di presentare l’esito negativo di un tampone. Inoltre sempre nell’Oberland bernese non erano previsti alberghi separati per gli sciatori, che hanno così cenato in ‘compagnia’ di venti, trenta turisti. Situazioni che fanno un po’ pensare e chiedersi se la Svizzera stia facendo tutto con la giusta attenzione.

Per gli sciatori, una maggiore incertezza causata dall'evoluzione della pandemia, è uno stress in più da gestire?

Questa situazione farà maturare più in fretta qualche giovane e farà capire a qualcun altro di non essere al posto giusto. Più stress? Mah, per finire gli atleti riescono a fare la loro professione, seppure con qualche accorgimento in più, in particolare nella gestione dei contatti. Qualche caso di positività al coronavirus c’è stato; ma con i Mondiali all’orizzonte, son convinto che tutti, in particolare chi punta ai grossi risultati, raddoppieranno le precauzioni. In ogni caso, a proposito di incertezza, in fondo è già una caratteristica tipica dello sci, sport che dipende dalla meteo e che quindi ha nelle attese o nei cambiamenti anche last minute delle sue prerogative, con cui imparare a convivere.