Dopo ventidue stagioni nel massimo campionato (e 887 partite con il Lugano) Raffaele Sannitz dice basta. ‘Chiudo senza rimpianti’
Prima o poi tutto finisce. E quel momento, per Raffaele Sannitz è arrivato adesso. Dopo ventidue stagioni consecutive nel massimo campionato, il 38enne momò ha infatti deciso di mettere il punto finale alla sua carriera professionistica di giocatore, iniziata all'età di sedici anni, otto mesi e diciassette giorni (cosa che lo rende a tutti gli effetti il secondo più giovane esordiente nella prima squadra bianconera dopo Lorenzo Canonica nel 2019). Con un totale di 887 partite nel massimo campionato con la maglia del Lugano è inoltre il secondo giocatore del club per numero di presenze, preceduto in questa speciale classifica unicamente da Julien Vauclair (939). «Decidere di mettere il punto finale a tutto questo non è stato facile, ma in fin dei conti era forse anche la scelta giusta da fare – premette l'ormai ex numero 38 dei bianconeri (maglia che tra l'altro il club ha deciso di ritirare, ndr) –. Soprattutto non sarà evidente abituarsi a una realtà in fondo del tutto nuova per me, visto che l'hockey è stato praticamente il mio pane quotidiano, fin da ragazzino. Mi mancherà sicuramente quella routine fatta di allenamenti, partite e ancora allenamenti. Ma, appunto, la mia scelta è frutto di una ponderata riflessione: mi sono preso tutto il mio tempo per valutare se prolungare la mia carriera oppure se metterci il punto finale, soppesando anche tutti i pro e i contro, e alla fine, in tutta serenità, ho preso la mia decisione».
C'è qualcosa in particolare che ti ha spinto verso questa scelta? «Per nulla. Sebbene per me l'ultima sia stata una stagione non molto felice sul piano della salute (segnata in entrata dal brutto infortunio alla spalla rimediato in un incidente della circolazione e poi dal coronavirus, con lo stesso momò che ne era stato contagiato, risentendone un po' sul piano della condizione), posso comunque dire di essere arrivato a 38 anni e quota 22 stagioni nel massimo campionato in ottime condizioni di salute, dunque sarei anche stato pronto ad andare ancora avanti con la mia carriera. E non è nemmeno perché sia venuta meno la voglia di giocare: la passione per questo sport che ho oggi è la medesima di dieci o vent'anni fa. Però, appunto, prima o poi arriva il momento in cui si deve dire basta. In fin dei conti fin da quando avevo cominciato la mia carriera sapevo benissimo che un giorno o l'altro sarebbe arrivato anche questo momento».
Come sei arrivato a questa decisione? «In queste settimane ho riguardato mentalmente un po' tutto il 'film' della mia carriera, ripercorrendone le tappe fondamentali. È stata forse la prima volta che l'ho fatto, visto che solitamente mi sono sempre focalizzato sul presente, senza pensare tanto al futuro o al passato. E questa... carrellata retrospettiva mi ha fatto sentire orgoglioso e fiero di quanto ho realizzato in questi anni. Mi sono sentito 'realizzato'. E ho appunto realizzato che non mi sarei lasciato alle spalle alcun rimpianto chiudendo così la mia carriera». Nemmeno quello di non aver mai realizzato per davvero il sogno di calcare la scena della Nhl, dopo il draft dei Columbus Blue Jackets e la stagione 2004/05 giocata con i Syracuse Crunch (in Ahl) e i Dayton Bombers (Echl)? «Francamente no. Anzi, a dire la verità posso dirmi orgoglioso e fiero anche di quella che per me è stata una sorta di avventura nordamericana: personalmente ritengo sia stata un'ottima esperienza. Avere l'opportunità di varcare l'Atlantico a diciott'anni è comunque cosa rara, soprattutto a quei tempi. Non che oggi per uno svizzero sia più facile tentare la fortuna al di là dell'oceano, ma quindici anni fa era cosa decisamente ancora meno frequente. Non va nemmeno dimenticato che a quel tempo i soli svizzeri che erano riusciti a ritagliarsi un po' di spazio in Nhl erano Riesen e Von Arx, mentre Streit lo ha fatto solo dopo... In più quella del 2004/05 è stata pure una stagione di Nhl segnata dal lockout, cosa che ha sicuramente giocato a sfavore di una possibile mia chiamata nel campionato più prestigioso del mondo. In ogni caso è stata un'esperienza sicuramente arricchente, che mi è tornata parecchio utile quando sono tornato in Svizzera e mi ha dato lo slancio ideale per lanciare in tutto e per tutto la mia carriera. In Svizzera, poi, non mi è mancato niente, con tanto di due titoli svizzeri e una costante presenza in Nazionale (77 le presenze in rossocrociato, con quattro partecipazioni ai Mondiali e alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010)».
Tra i momenti culminanti della carriera, ovviamente, ci sono i due titoli vinti con il Lugano (2003 e 2006): «Di momenti significativi nella mia lunga militanza in bianconero ce ne sono stati diversi, anche se ovviamente i titoli restano qualcosa di particolare. Ricordo in soprattutto il secondo, nel 2006, con tanto di soddisfazione personale per aver realizzato il game-winning-goal (il 2-1) in gara 5 della finale con Davos, serie poi appunto chiusa con quella partita. Quello è stato indubbiamente uno dei momenti più belli della mia carriera. Ma di momenti significativi ne ho vissuti anche in rossocrociato, con le partecipazioni ai Mondiali e alle Olimpiadi di Vancouver». Tanti alti, ma in una carriera lunga come la tua è inevitabile che ci siano stati anche i bassi, i momenti più delicati... «Beh, momenti difficili ce ne sono stati parecchi, come l'infortunio all'anca a ventun anni che mi ha fatto saltare praticamente un'intera stagione lasciandomi pure l'incertezza sul fatto che avrei poi effettivamente potuto tornare a giocare a hockey. Tuttavia, ora che mi appresto a mettere il punto finale alla mia carriera, non ve n'è uno in particolare che mi riaffiora nei ricordi: ora come ora a tornarmi alla mente sono solo quelli più significativi in positivo. Anche perché la passione che ho sempre avuto per questo sport mi ha sempre spinto a guardare avanti e lasciarmi alle spalle i momenti più difficili».
In poco meno di novecento partite con la maglia del Lugano, di reti ne hai realizzate parecchie. Ma ce c'è una che ricordi in modo particolare? «Detto di quello della finale del 2006, citerei pure un gol in un derby alla Resega. Lo segnai a Pauli Jaks, su passaggio di Peltonen, con uno slap all'incrocio dei pali scagliato dalla linea blu: lo ricordo proprio per il fatto che da quella posizione non ne ho fatti tantissimi... Più che il più bello, quel gol è sicuramente stato uno dei più particolari del mio bottino personale».