Dopo i prestiti, in una stagione dilaniata dalla pandemia ci saranno i contributi (secondo logica) e un aumento di capitale. E ci si interroga sulla "bolla"
«Quei contributi a fondo perso sono davvero un grande aiuto, ma sappiamo già che non basteranno». Ad Ambrì come altrove, in un'annata tormentata da una pandemia i cui effetti si fanno sentire non solo sul calendario, bensì pure sui bilanci. «Quando abbiamo cominciato la stagione, e lo scenario erano i due terzi degli stadi occupati da un pubblico esclusivamente seduto, già allora ragionavamo su una perdita di tre milioni, nonostante le riduzioni salariali volontarie da parte di giocatori e dirigenti – spiega Nicola Mona, direttore generale dell'Ambrì –. Figuriamoci adesso, che giochiamo ormai da mesi a porte chiuse».
In altre parole era più che scontata la decisione di far capo ai contributi a fondo perso, stanziati dal Consiglio federale in soccorso alle società professionistiche, i famosi 115 milioni votati qualche mese fa. «Certamente – continua Mona –. E, a mia conoscenza, almeno nove club su dodici di National League faranno lo stesso. Chi più, chi meno, siamo tutti sulla stessa barca: del resto se non c'è pubblico, non ci sono più entrate».
Poi c'è l'altro aspetto, quello dei prestiti a lungo termine senza interessi: un totale di 350 milioni, stanziati dallo stesso Consiglio federale a inizio novembre. «Noi abbiamo chiesto sia quel prestito sia il contributo a fondo perso, tanto per rendere l'idea di quanto saranno gravi le perdite. Anche se, naturalmente, parliamo di due cose distinte: un prestito va rimborsato, quindi in realtà ti dà soltanto un po' di ossigeno e non ha alcun effetto sul conto economico, dove la tua perdita non varierà di un centesimo. In ogni caso c'è una cosa che voglio dire, per essere chiari: questi soldi non vanno in alcun modo ad alimentare il nuovo stadio, né se ci riferiamo ai prestiti, né ai contributi a fondo persi. Questi sono soldi che servono unicamente per salvare una tribolata stagione».
Semmai, pensando al nuovo stadio, avete nel frattempo annunciato che procederete pure a un aumento di capitale. «E il perché è semplice, siccome logicamente il capitale proprio viene eroso dalle perdite. Quindi dovremo compensarle, ma in più naturalmente metteremo un cuscinetto di sicurezza».
E il nuovo stadio? Quanto tutte queste preoccupazioni si affievoliscono, pensando che fra qualche mese, grazie alla nuova Valascia, o come si chiamerà, l'Ambrì entrerà in una nuova dimensione? «Se alzo lo sguardo, fuori dalla mia finestra adesso la posso vedere. È un grande stimolo senz'altro, uno dei pochi aspetti positivi di questa stagione. Poi, chiaramente, ciò porrà anche delle sfide: stiamo andando verso qualcosa di nuovo, e non sappiamo bene l'attuale situazione quale impatto avrà su quel qualcosa di nuovo».
Si può parlare di Ambrì 2.0? «Bah, non è un'espressione che farei mia. Piuttosto citerei il poeta irlandese Thomas Moore, quando diceva che tradizione non significa conservare le ceneri, bensì alimentare la fiamma. Sento la gente dire che è un peccato che la Valascia venga distrutta, che morirà la tradizione: sì, è vero, si volta pagina, ma la storia continua. E il nostro entusiasmo lo portereremo di là».
Intanto, però, bisogna pensare al presente. Che per voi parla di un'altra quarantena, la seconda in questa stagione pandemica, fino al 7 febbraio, dopo quella consumata tra fine ottobre e il 5 novembre. Come in quell'occasione, esiste la possibilità che la squadra possa almeno continuare ad allenarsi dentro la cosiddetta "bolla"? «È proprio ciò che stiamo cercando di capire. Aspettiamo di sapere il risultato dei nuovi test collettivi effettuati oggi nel pomeriggio, e immagino che ne conosceremo l'esito nelle prossime ore. Sarebbe un bene, per non sprecare ulteriore tempo, ma soprattutto forma fisica».
Ma in questi ultimi giorni a tener banco c'è pure un altro aspetto, quello della riforma del campionato a partire dal mese di settembre del 2022, anche se per ora sembra esserci l'accordo soltanto su uno dei temi, l'aumento da quattro a sette stranieri... «Ognuno ha la sua opinione, ci mancherebbe, ma la maggioranza dei club ha deciso, e così sia. La verità, però, è che quando si parla di questa riforma bisognerebbe contestualizzarla, mettendo sul piatto tutti gli argomenti: dal 'financial fair play', il tetto alle spese salariali dei club, al nuovo sistema di promozione/relegazione, non solo più unicamente sportivo ma legato anche ad aspetti economici, infrastrutturali e organizzativi, giù giù fino alla regolamentazione della figura degli agenti di giocatori. A quel punto, la riforma assumerebbe tutta un'altra sfumatura».
Ma l'Ambrì, in tutto questo? «Noi facciamo parte della National League e vogliamo rimanerci. Portiamo i nostri imput, le nostre esigenze e le nostre aspettative, che non soltanto vengono dibattute ma se del caso pure accolte – conclude Mona –. Il nostro è un club formatore, quindi abbiamo la necessità e l'obiettivo di far progredire dei giovani giocatori, siano essi stranieri con licenza svizzera, oppure svizzeri 'tout court'. Noi siamo a favore di questa strategia».