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‘Partita storica, feci un assist e firmai il secondo gol’

Sabato nei quarti i rossocrociati sfideranno Kane e Bellingham: ne parliamo con Claudio Sulser, eroe nel 1981 del nostro ultimo successo sugli inglesi

In sintesi:
  • L'ex centravanti ticinese ricorda con noi la sfida di Basilea del 1981, quando grazie a due sue prodezze battemmo per l'ultima volta l'Inghilterra
  • Qualche mese prima di quel match, Sulser – in rotta col selezionatore – aveva detto addio alla Nazionale, ma poi per fortuna ci ripensò
4 luglio 2024
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Nei giorni di vigilia della sfida di Düsseldorf in cui i rossocrociati affronteranno per i quarti di finale l’Inghilterra, il pensiero di ogni appassionato non può evitare di tornare al 30 maggio del 1981, quando cioè la Svizzera riuscì per l’ultima volta a sconfiggere (2-1) gli eredi degli inventori del gioco, una squadra di grande fascino e tradizione, che schierava califfi come Kevin Keegan e Trevor Francis, e che, allora forse ancor più di oggi, si portava appresso i crismi della leggenda.

Grande protagonista di quell’ormai lontanissima sfida giocata – come si diceva allora – al San Giacomo fu Claudio Sulser, senza alcun dubbio il miglior attaccante svizzero della sua generazione, e un autentico idolo per ogni ragazzino ticinese, in special modo per quelli momò, come chi scrive. Quel giorno di 43 anni or sono, infatti, Sulser dapprima servì a Scheiwiler la palla per la rete dell’1-0, e poi si mise in proprio firmando la seconda rete… «È una partita ancora molto ben presente nella mia memoria, non tanto per la mia prestazione quanto per quella della Nazionale: fu una delle migliori nella storia del nostro calcio, sia per il risultato sia per il modo con cui abbiamo conquistato la vittoria. Eravamo a Basilea, con lo stadio pieno e davvero un enorme calore da parte del pubblico. Segnammo due reti nel primo tempo, e poi, nella ripresa abbiamo controllato molto bene la partita. Gli inglesi riuscirono comunque ad accorciare le distanze, anche per un nostro errore difensivo, col subentrato Terry McDermott del Liverpool. Ma, come detto, abbiamo retto molto bene».

Non era la prima volta che il bomber ticinese riusciva a segnare a squadre inglesi: in Coppa Uefa era infatti andato a segno contro l’Ipswich Town, mentre in Coppa dei Campioni – competizione di cui nel 1978-79 con la maglia del Grasshopper fu addirittura capocannoniere – aveva timbrato il cartellino contro il Nottingham Forest che poi vinse il trofeo. E quello stesso anno, in precedenza, Claudio aveva eliminato nientemeno che il Real Madrid segnando ben 3 gol, di cui 1 al Bernabeu. Come si dice, davvero un goleador di razza. Ma torniamo a Basilea e a quello storico successo sugli inglesi…«Il mio gol? Fu quello del 2-0, e lo realizzai in quello che era un po’ il mio stile: sono partito da lontano, ho scartato un paio di avversari, ho avuto anche un rimpallo favorevole e poi ho appoggiato in rete. Ma ovviamente ricordo bene anche il passaggio che ho servito a Scheiwiler per la nostra prima rete. Tecnicamente sono stato fortunato, il pallone avrebbe potuto finire ovunque, invece sono riuscito a colpire molto bene la palla e a darla precisa in profondità al mio compagno».

Era una vita fa, tempi in cui era normale vedere giocatori ticinesi vestire la maglia rossocrociata. Nell’11 titolare che quel giorno batté gli inglesi, infatti, c’era anche il compianto Gianpietro Zappa, e nell’orbita della Nazionale, in quegli anni, c’era anche Angelo Elia. La partita del San Giacomo era valida per le qualificazioni ai Mondiali del 1982, e quel successo scatenò un grande entusiasmo popolare. Poi però purtroppo il biglietto per volare in Spagna non riuscimmo a staccarlo. Del resto, era un’epoca in cui a qualificarsi erano ancora poche squadre. Come si viveva quel tipo di difficoltà? «In effetti era piuttosto frustrante», ammette il centravanti con 13 reti segnate con la casacca della Nati in 50 presenze. «In quel periodo in realtà avevamo un’ottima squadra. La campagna di qualificazione, però, era partita male. Giocammo la prima partita contro la Norvegia in casa e purtroppo perdemmo 1-0. Lo ricordo bene perché l’allenatore non mi aveva convocato, né per quella gara né per la successiva, vale a dire proprio l’incontro di andata contro l’Inghilterra, in trasferta a Wembley. Quelle due chiamate mancate mi bruciarono terribilmente, me la presi parecchio con l’allenatore e, come si dice, me la legai al dito».

Il Ct era Paul Wolfisberg, vero? «No, era Léon Walker. Io dissi che non avrei più giocato in Nazionale, perché davvero ero stato colpito nel mio orgoglio personale. Poi lui, dopo qualche settimana, volle incontrarmi per appianare la faccenda. Io comunque gli comunicai che, per me, si trattava ormai di un capitolo chiuso. Gli dissi che, fra l’altro, avevo da sostenere anche degli esami universitari, e usai questa cosa un po’ come pretesto per non voler più giocare in Nazionale».

Come detto sopra, erano davvero tempi lontani anni luce: ve lo immaginate, oggi, il più importante giocatore della Nazionale che mette gli studi in Diritto davanti alla carriera sportiva? «Oggi tutto è più complesso, molte cose sono cambiate», spiega colui che in seguito davvero diventò un avvocato di successo, professione che svolge tuttora. «Nel calcio odierno, oltretutto, girano stipendi molto diversi rispetto a quarant’anni fa. Sarebbe dunque molto difficile che accadesse una cosa simile. Io però resto dell’idea che – se qualcuno volesse davvero farlo – potrebbe riuscire benissimo a laurearsi pure oggi, anche perché avrebbe a disposizione strumenti che noi all’epoca nemmeno potevamo sognare».

Torniamo al tuo rifiuto di tornare a vestire la maglia rossocrociata: l’ambiente come la prese? «Venni criticato, anche giustamente, lo ammetto. Stampa e tifosi si chiedevano: ma è possibile che non voglia davvero più giocare in Nazionale solo perché non è stato convocato per un paio di partite? Ad ogni modo, i cattivi risultati di quell’inizio di qualificazioni indussero il selezionatore Walker a riprendere i contatti con me. Sta di fatto che alla fine accettai di tornare, ma che l’avrei fatto soltanto l’anno seguente: eravamo infatti ormai a novembre, il girone d’andata del campionato era quasi finito e io, davvero, dovevo sostenere gli esami universitari. E così, rinunciai ad andare in Sudamerica con la Nazionale, poco prima di Natale, per una tournée che poi si rivelò disastrosa: affrontammo infatti Uruguay, Brasile e Argentina e la squadra rimediò tre scoppole memorabili (0-5 a Cordoba, 0-4 a Montevideo e 0-2 a Cuiabá, ndr). Quella fallimentare trasferta esotica costò addirittura la panchina a Walker, che fu esonerato. Fu dunque ingaggiato Wolfisberg, che poi mi convocò regolarmente».

E poi venne lo storico successo del 30 maggio 1981… «La cosa interessante fu che, in occasione della gara di ritorno con gli inglesi – quella che vincemmo appunto a Basilea –, in conferenza stampa i giornalisti britannici volevano sapere a tutti i costi per quale tipo di infortunio non ero stato convocato qualche mese prima, per la gara di Wembley. Loro infatti lassù mi conoscevano bene – malgrado ancora non esistessero i social – perché io avevo segnato contro il Forest in Coppa dei Campioni, e un po’ mi temevano. Quindi, secondo loro, se ero rimasto fuori a Wembley poteva essere stato solo a causa di un infortunio».

Dopodomani, la Svizzera ritrova gli inglesi, e stavolta si tratta dei quarti di finale di un Europeo: qual è il tuo pronostico? «Dopo averla vista giocare in queste ultime due settimane, devo ammettere che la squadra di Yakin possiede tutte le chance per affrontare l’Inghilterra veramente alla pari. Essere ottimisti è giusto, però senza dimenticare che si tratta di una partita importantissima. Personalmente, mi auguro davvero che i nostri giocatori riescano finalmente a battere l’Inghilterra, anche perché così non sarà più necessario ogni volta metterci a ricordare una partita giocata 43 anni fa! Scherzi a parte, mi pare che tutto stia girando bene, l’immagine che ne ricaviamo dal di fuori è quella di un gruppo coeso, un dettaglio sempre importante per il successo di una squadra».

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