Il 30enne che ha scritto la storia della Svizzera in questa rassegna è sceso in campo per soli 4 minuti, ma la sua presenza è importante per lo spogliatoio
Da attore protagonista a semplice comparsa (quando va bene). È la parabola rossocrociata di Admir Mehmedi, entrato nella storia del calcio svizzero grazie alla rete siglata agli Europei del 2016 contro la Romania (1-1 nella seconda partita della fase a gironi) che lo ha reso il primo giocatore elvetico capace di trovare il gol sia a una rassegna continentale, sia a un Mondiale (nel 2014 in Brasile aveva siglato il provvisorio 1-1 nella vittoria 2-1 sull’Ecuador), ma utilizzato appena 4 minuti (nel finale della sfida con la Turchia) nelle prime tre partite dell’Euro itinerante da Vladimir Petkovic, che oltre ai titolarissimi Shaqiri, Embolo e Seferovic gli ha preferito anche Gavranovic e Vargas.
«Il ruolo di riserva non è facile da accettare ma cerco rimanere tranquillo e aspetto la mia occasione – ammette il 30enne del Wolfsburg, che anche in Bundesliga in stagione non è andato oltre le 18 presenze (nessun gol), per un totale di appena 819 minuti giocati –. Non sono certo qui per fare il turista, sarei decisamente fuori posto se fossi semplicemente rilassato e con l’idea di gustarmi il torneo, per tanto così avrei fatto meglio ad andare in vacanza. No, voglio dare il mio contributo e influenzare quello che posso, per questo do il massimo in ogni allenamento».
Euro 2020 rappresenta il quinto grande appuntamento in rossocrociato per il giocatore di origine macedone, presente anche nel 2011 alla cavalcata continentale della U21 di Pier Tami e l’anno seguente alle Olimpiadi di Londra (anche in queste due manifestazioni era andato in rete). Come dire che se negli ultimi tempi i minuti di gioco gli fanno difetto, di esperienza ne ha per contro da vendere il centrocampista offensivo partito da Bellinzona e arrivato a vestire anche le maglie di Zurigo, Dinamo Kiev, Freiburg e Bayer Leverkusen. Una qualità , assieme alla sua pacatezza, che lo rende un leader silenzioso dello spogliatoio, di quelli che si rivelano particolarmente utili in giornate difficili come quelle seguite alla débacle con l’Italia… «Quel ko è stato un campanello d’allarme per noi, ci siamo resi conto che così non andava e abbiamo capito cosa serve per competere a questi livelli. Dobbiamo sempre portare in campo l’energia e la convinzione che ci abbiamo messo contro la Turchia, quando non lo facciamo, non abbiamo chance».
A differenza di quanto capitato agli ottavi di finale contro la Svezia ai Mondiali 2018 (sconfitta 1-0) e contro la Polonia a Euro 2016 (ko ai rigori con la Polonia), stavolta la Svizzera non sarà favorita, anzi… «Non vedo né un vantaggio né uno svantaggio. Nel 2016 e nel 2018 siamo usciti contro avversari relativamente abbordabili, mentre nel 2014 ai Mondiali in Brasile abbiamo quasi portato ai rigori la grande Argentina (sconfitta 1-0 ai supplementari, ndr). Alla fine, ci è sempre mancato qualcosa. Per vincere partite del genere, devi essere sul pezzo e attento ai dettagli per tutti i 90 minuti e oltre, altrimenti non basterà mai, qualsiasi sia l’avversario».