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Jürgen Sparwasser, ultimo eroe romantico

Vinse, tradì, ma soprattutto amò: la straordinaria vita del calciatore-simbolo della Germania Orientale nel recente romanzo firmato da Giovanni Tosco

In sintesi:
  • L’opera di Giovanni Tosco sulla vita dell’ex bandiera della Germania Est è un riuscito esempio di narrazione sportiva che va al di là del ristretto ambito agonistico, sconfinando nella Storia del Novecento
  • Dopo la rete segnata ai cugini occidentali ai Mondiali del 1974, Jürgen Sparwasser divenne un prezioso strumento di propaganda nelle mani del regime di Erich Honecker
12 dicembre 2024
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Al crepuscolo di un sabato romano, nell’atmosfera ovattata di una sala stampa all’interno della Nuvola di Fuksas, due uomini si stringono in un abbraccio prolungato. Sono due ex calciatori: entrambi, con una maglia azzurra con il numero quattordici sulle spalle, nonostante una carriera importante, sono perlopiù ricordati per aver segnato delle reti iconiche. Uno dei due, più tardi, durante un incontro pubblico molto partecipato, dirà che quei gol «ci hanno rovinati, perché hanno fatto passare in secondo piano tutto il resto».

Quegli uomini non si incontrano da 47 anni. Uno si chiama Marco Tardelli, e il gol che più ci è rimasto impresso nelle retine è quello segnato la sera dell’11 Luglio 1982 alla Germania Ovest – con annessa esultanza. Anche l’altro ha segnato la sua rete più importante alla Germania Ovest: è successo il 22 Giugno 1974, ad Amburgo, durante i Mondiali di Germania, o sarebbe più corretto dire delle Germanie, dal momento che per la prima (e unica) volta erano presenti entrambe le nazioni, divise da un muro eretto tredici anni prima, rivali – oltre che ideologicamente – anche sportivamente.

In quel Mondiale il destino ha voluto che le due Germanie si affrontassero, in una gara non fondamentale (l’ultima del girone preliminare, entrambe con la qualificazione in tasca) ma allo stesso tempo fondamentale (per il primato nel girone, ma anche e soprattutto per il portato di significazioni sociali, politiche e culturali che scatenava). A sorpresa, ma neppure tanto, quella partita l’avrebbe vinta la Ddr, grazie a un gol segnato a un minuto diventato mitico (il minuto 78) da un uomo altrettanto straordinario, lo stesso che sta abbracciando Tardelli in questo crepuscolo di un sabato romano: Jürgen Sparwasser.

Sparwasser era a Roma per la prima di una serie serrata di presentazioni di un libro scritto in maniera acuta da Giovanni Tosco, tra le altre cose penna preziosa di Tuttosport, «Jürgen Sparwasser, l’eroe che tradì» (Edizioni Minerva). Un libro necessario come sanno essere necessari i libri che sublimano storie fatte di Storia, ma soprattutto di storie, di dagherrotipi che aiutano a ricostruire contesti, ma che sanno anche affondare nell’esistenza di uomini e donne che diventano epitomiche, strumenti interpretativi, i cui gesti sportivi si fanno gesta: in cui i protagonisti compiono azioni che trascendono la contingenza del momento, e contribuiscono a renderli simboli.

Quello che dipinge Tosco è il ritratto di un ragazzo talentuoso nato e cresciuto sulle macerie della Seconda guerra mondiale, che nel contesto povero e disastrato del socialismo che imperversa sulla Ddr – in cui si vive nel rispetto di una dottrina imperniata su autoritarismo, collettivismo, rigida disciplina e sacrificio per il bene comune – trova nel calcio il suo personalissimo grimaldello di affermazione e di emancipazione da un’esistenza altresì votata all’umiltà, alla semplicità, alla ruralità. La storia di un ragazzo che sceglie di innamorarsi di poche cose, ma ben selezionate: Christa, la ragazza conosciuta mentre raccoglie ribes, che è ancora oggi, sessant’anni più tardi, al suo fianco; e poi il calcio, che in un contesto siffatto costituisce un potentissimo strumento identificativo – come le Trabant – e un collante sociale senza pari.

In un crescendo rossiniano sommesso, Tosco ci mostra il processo di lievitazione lento ma inesorabile di Sparwasser: lo vediamo trasferirsi al Magdeburgo, uno dei club più importanti della Ddr, vincere l’Europeo U18 del 1964 segnando reti su reti (e sfidando futuri astri del calcio continentale, come Johan Crujiff), iniziare a collezionare campionati. Per il Comitato centrale del Partito socialista unificato di Germania, Sparwasser diventa un simbolo, un vanto, uno strumento con cui affermare la competitività del calcio socialista con quello dominato dai valori demoniaci del capitalismo: alle Olimpiadi di Monaco del 1972 la Ddr si spingerà molto avanti, fino alla finale per il bronzo.

Giocherà nel pomeriggio in cui i terroristi irromperanno negli alloggi israeliani inscenando il tristemente famoso massacro: nel 7-0 sul Messico segnerà una tripletta, ma al ritorno alla cittadella olimpica la felicità si spegnerà contro la visione del sangue sulle pareti della palazzina. In quelle Olimpiadi la Ddr sconfiggerà la Repubblica federale tedesca, e nella gara decisiva per il bronzo, contro l’Unione Sovietica, semplicemente parteciperà a un austero biscotto socialista scegliendo di non giocare fino in fondo, di accontentarsi di un pareggio che consegnerà la medaglia ex aequo.

Durante la presentazione che si è svolta a Roma, Marco Tardelli ha definito il libro di Tosco un romanzo d’amore: non solo quello di Jürgen per Christa – il termometro dei suoi trionfi, dei suoi sogni, delle aspirazioni e delle paure, che lo accompagnerà in ogni decisione, anche quelle più estreme – ma anche e soprattutto quello dei tifosi del Magdeburgo per Jürgen, che diventerà il trascinatore nelle imprese sportive della squadra, inattese e insperate. Come la Coppa delle Coppe del 1974, nella quale il Magdeburgo esordisce allo stadio De Kuip di Rotterdam, dove affronta il Nac Breda. In quel momento nessuno osa sperare di tornare a calcare quel campo, in cui è prevista la finale. Invece, dopo un percorso piuttosto morbido ma da juggernaut, il Magdeburgo approda in semifinale, affronta lo Sporting Lisbona e sorprendentemente lo batte.

L’altro suo gol storico

«Se dovessi dire qual è il gol a cui tengo di più, oggi» ha confessato durante la presentazione romana, «direi quello segnato a Lisbona, che è valso la finale». Una finale in cui il Magdeburgo batterà il Milan, regalando alla Ddr il primo trofeo internazionale, festeggiato con un freddissimo telegramma di felicitazioni di Honecker, e un taglio sul premio previsto per la vittoria, fondi destinati piuttosto a sovvenzionare il ritiro in Svezia prima del Mondiale tedesco del 1974: «Perché noi siamo diversi», la motivazione. In quel Mondiale Sparwasser scriverà la storia: «Se non avessi segnato quel gol», mi dice, «oggi non saremmo qua a parlare di me». Un gol così iconico che lo stesso Sparwasser, dopo aver assistito a uno spettacolo teatrale in cui veniva messa in scena quella storica partita tra le due Germanie, dirà alla moglie Christa: «Se sulla mia tomba, una volta morto, scrivessero Amburgo 1974, tutti saprebbero chi è sepolto là sotto».

La tensione tra le due Germanie è il grande elefante nella stanza del libro, di questa storia, e ogni dettaglio, ogni storia collaterale, al minuto 78 di quella partita sembra convergere – lo scandalo Brandt esploso a un mese dall’inizio dei Mondiali, con il cancelliere costretto alle dimissioni una volta appurato che il suo braccio destro era una spia della Stasi (la polizia politica della Ddr, che nel suo punto apicale è arrivata ad avere una ratio di un agente segreto ogni sessantanove cittadini), e poi il sorteggio figlio del destino – e dal minuto 78 sembra dipanarsi – grazie alla sconfitta la Germania Ovest eviterà di affrontare Brasile, Argentina e Olanda, pescando invece un girone più morbido che le permetterà di approdare alla finale in cui batterà l’Arancia meccanica di Michels e Crujiff.

Da quel Mondiale, Sparwasser e i suoi torneranno accolti come eroi. E qualcuno, dall’altro lato di Berlino, invierà anche lettere di ringraziamento per aver agevolato il cammino, per aver portato fortuna. Quella di Sparwasser è anche una storia ricca di contatti con l’Italia, con la città di Torino soprattutto, e con la Juventus: il Magdeburgo verrà eliminato ogni volta dai bianconeri, eppure ogni sfida incrociata lascerà un segno in Sparwasser. Durante la sua prima trasferta italiana, dalla cabina di comando, il pilota torinese – e torinista – gli mostrerà la collina di Superga, e gli racconterà la storia del Grande Torino che lo impressionerà tantissimo. E durante un’altra, nel 1977, l’ultima volta in cui Jürgen e Tardelli si sono visti in campo, nonostante il divieto proveniente dal Comitato centrale di scambiare maglie con il rivale capitalista, Sparwasser verrà beccato dalle telecamere intento a stringere un’amicizia basata sulla reciprocità del dono proprio con Marco Tardelli. Verrà tacciato, Sparwasser, di non abbracciare gli ideali socialisti. Di essere diverso da chi è diverso.

I titoli di ogni capitolo del libro di Tosco, come in «Se una notte d’inverno un viaggiatore» di Calvino, disegnano i confini della storia. «Siamo nella storia», «E tu dov’eri quella sera», «Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile». Ma anche «Te ne pentirai» e «Cosa stiamo facendo», perché la storia di Sparwasser non è soltanto una storia di trionfi epici e di celebrazioni, ma anche di inasprimenti della Storia, della malinconia che segue il ritiro, di offerte da parte del Comitato centrale che non si possono proprio rifiutare, a patto di non volerne subire le conseguenze, come quella di allenare il Magdeburgo — un’offerta che Sparwasser rifiuterà.

Sarà ancora una volta il calcio a offrire a Jürgen il coraggio, e l’opportunità, di superare le proprie paure e prendere una decisione che gli avrebbe cambiato la vita: attraversare il confine con la Germania Ovest, per un’amichevole celebrativa, per poi non tornare più. Il Muro – per il quale Honecker aveva pronosticato una vita di altri cento anni – cadrà soltanto un anno più tardi: nel frattempo gli agenti della Stasi avranno lungamente interrogato l’unica componente della famiglia rimasta a Magdeburgo, sua figlia Silke, all’epoca incinta, che durante il periodo di lontananza forzata lo renderà anche nonno. Torneranno ad abbracciarsi il 10 Novembre 1989, il giorno successivo alla caduta del Muro: la loro personalissima notte di Natale. Quello che Giovanni Tosco ha scritto su Jürgen Sparwasser è davvero un romanzo d’amore, che come ogni romanzo d’amore ha un lieto fine. E quello di Sparwasser, l’eroe che tradì, ma che seppe anche regalare gioie, è un lieto fine in cui i confini tra la leggenda e l’intimità si confondono fino a farsi un tutt’uno.