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‘Il 1982? L’Italia giocò alla grande tre partite’

Intervista al brasiliano Leo Junior, che negli anni 70 e 80 fu stella di Flamengo, Torino e Seleçao

In sintesi:
  • Nella chiacchierata, l’ex fuoriclasse racconta del calcio dei suoi tempi e dei problemi di quello odierno
  • Torino e Flamengo sono i club a cui più è rimasto legato il brasiliano, che quest’anno compirà 70 anni
5 aprile 2024
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Léo Júnior collabora da ventisei anni con Tv Globo, ma la brillante carriera da commentatore non potrà uguagliare in alcun modo quella del campione che detiene il record di presenze con il Flamengo, oltre ad aver disputato due Mondiali e un’Olimpiade con la Seleção. Júnior compirà 70 anni il 29 giugno, e anche se gli appassionati di futebol erano abituati a vederlo scorrazzare per il campo già brizzolato, oggi sembra più giovane della sua età. Per la televisione segue le squadre brasiliane in campionato e nelle varie coppe internazionali. «I club brasiliani vanno bene anche in Copa Libertadores», commenta l’ex campione, «l’Argentina vive invece un momento di crisi economica e le sue squadre ne risentono. Il mio Flamengo, del quale sono tifoso sin dalla nascita per parte di madre, l’anno passato è andato al di sotto delle proprie possibilità, perdendo tutte le finali a cui ha partecipato. Ma quest’anno le cose andranno meglio perché la stagione è stata pianificata con più testa».

La Nazionale invece, con il nuovo commissario tecnico Dorival Júnior, affronterà il 23 e il 26 marzo Inghilterra e Spagna in due amichevoli.

La situazione in questo caso è meno rosea. La Federazione ha sbagliato, perché in pratica non ha scelto l’allenatore, anche se va detto che Dorival Júnior è preparato e ha tutte le qualità per svolgere al meglio questo compito. Ma hanno aspettato troppo tempo Ancelotti: finché non c’è il nero su bianco della firma, non si può dare mai nulla per scontato. Io comunque non ho mai pensato che Ancelotti, un allenatore vincente sotto contratto con il Real Madrid, potesse venire qui. Ma è ovvio che mi sarebbe piaciuto vederlo alla guida della Seleção, ci mancherebbe.

In Brasile crescono ancora tanti talenti?

Sì, questo Paese rimane una riserva inesauribile di giovani campioni. Solo che un tempo rimanevano qui fino ai 22-23 anni, mentre adesso vanno via subito, come è successo con Vinícius Jr. e Rodrygo.

E questo per la Nazionale è un problema?

Lo è, perché in questa maniera i ragazzi crescono in un altro mondo, che non è quello del vero calcio brasiliano: così faticheranno sempre di più a capirlo, perché nel frattempo si imbastardiscono con quello europeo. Vinícius Jr. ha ancora il nostro stile, così come Vitor Roque, ma via via lo perderà. Molti poi non sfondano perché, a 17 anni, vanno in squadroni obbligati a vincere.

Vengono scoperti ancora calciatori nelle spiagge?

Tutto questo sa un po’ di folklore. Già ai miei tempi le società non andavano certo a Copacabana a cercare calciatori per la prima squadra! Io per esempio giocavo in spiaggia solo da bambino, poi qualcuno mi ha chiamato per fare il calcio a 5, sono passato in seguito a quello sull’erba e infine sono approdato nel settore giovanile del Flamengo, dove ho trascorso un anno prima di esordire in prima squadra. Insomma, ho fatto tutto la normale trafila, come succede anche ai giovani d’oggi. È cambiato solo che ci sono meno campetti per giocare liberamente e più scuole calcio.

Nel 1984 aveva 30 anni, quando venne acquistato dal Torino. Con il Flamengo aveva vinto Copa Libertadores e Intercontinentale, oltre a svariati titoli nazionali...

Il campionato italiano allora riuniva tutti i migliori giocatori, europei e sudamericani. Al di là del lato economico, c’era l’orgoglio di poter giocare in Serie A. Sono stati cinque anni bellissimi, compresi gli ultimi due a Pescara.

Come avvenne la trattativa?

Nel 1983 con il Flamengo ho iniziato a giocare da centrocampista, dopo che Zico era passato all’Udinese. Quell’anno giocai a Milano il Mundialito per club, e Nizzola e Moggi, dirigenti del Toro, mi contattarono qualche mese dopo. Il trasferimento fu abbastanza semplice.

Non la voleva anche la Longobarda di Oronzo Canà?

Ahahah... solo al cinema! Molto divertente quel film con Lino Banfi, e in effetti ci sono anch’io nella pellicola, mentre gioco al Maracanã.

Nel Mondiale del 1982 il Brasile aveva un centrocampo da sogno composto da Zico, Sócrates, Cerezo e Falcão. Lei giocò da terzino, perché quello allora era semplicemente il suo ruolo: conferma?

Esatto. È vero che nelle giovanili avevo fatto il centrocampista, ma da professionista, dal 1974 al 1983, ho fatto sempre il terzino, prima destro e poi sinistro. Certo, non interpretavo il ruolo in maniera tradizionale, marcando solo l’avversario. Gli allenatori mi davano libertà di girare per il campo, soprattutto nel Flamengo. Passai a questo ruolo grazie a un tecnico delle giovanili, che mi consigliò di farlo per trovare maggiore spazio in prima squadra. Ma la voglia di fare il volante mi era rimasta dentro e, quando Zico se ne andò dal Flamengo, tornai alle origini e proseguii in questa maniera anche negli anni successivi in Italia.

Quali sono stati gli allenatori più importanti della sua carriera?

Joubert, al Flamengo, mi insegnò tutto sui fondamentali per crescere come professionista, quando ero ancora giovane. Cláudio Coutinho invece mi convocò nella Nazionale olimpica e poi mi fece esordire in quella ufficiale nel 1979. Per gli anni Ottanta, cito invece Telê Santana.

In Italia si è trovato bene soltanto con Galeone, tecnico del Pescara?

All’inizio mi ero trovato benissimo anche con Gigi Radice al Torino, poi i rapporti si sono un po’ rovinati. Succede anche tra moglie e marito, figuriamoci se non accade nei rapporti tra allenatore e giocatore. Ma niente di grave, in seguito ci siamo sempre salutati tranquillamente.

Nel 1990 organizzò l’addio al calcio italiano a Pescara, riuscendo a convocare i calciatori di Brasile e Italia del 1982...

Fu una serata così bella che non ho sentito il bisogno di rifarne un’altra, quando smisi definitivamente in Brasile, qualche anno dopo.

Nel 1991 ritornò al Toro per una sola partita, la finale vinta di Mitropa Cup...

Cose da Luciano Moggi! Ero in forma, giocavo nel Flamengo. Il campionato era fermo, e così ci sono andato, grazie al permesso del club.

La sconfitta del 1982 le è rimasta indigesta?

Il Brasile avrebbe potuto vincere quel Mondiale, come del resto anche la Germania. Ma nel calcio ci sono dei momenti che vanno sfruttati. L’Italia ha vinto meritatamente la coppa, giocando alla grande tre partite.

Se avesse giocato Careca centravanti al posto di Serginho, sarebbe andata diversamente?

Se… se… se… Se mia nonna fosse stato un uomo, io non sarei nato!

Perché oggi nessuno tira più le punizioni come facevate lei, Zico e Eder?

Mancanza di allenamento. In Brasile consigliano di non calciare dopo l’allenamento perché fa male alla muscolatura. Discorsi moderni che io non riesco a capire. Sta di fatto che le palle inattive rimangono un’opzione, quando non trovi la via del gol in altri modi. Con Zico e Tita ci allenavamo molto, facendo sfide tra di noi. In gara le tirava Zico perché aveva una precisione assurda, ma poi, quando se ne andò, iniziai a calciarle io. Al Toro migliorai ancora, sfruttando alternative sempre diverse.

I 70 anni sono una bella cifra: ha progetti per il futuro?

Io di norma non programmo il futuro, cerco soltanto di stare bene con la mia famiglia: moglie, figli e nipote. Ho fatto già molte esperienze diverse nella mia vita.

Anche quella di cantante con la hit Voa Canarinho...

La ricordo ancora quella canzone, ma diciamo che alla mia età non punto a diventare un cantante.

Oggi il suo tifo a chi va?

Al Flamengo ovviamente, che è una religione composta da quaranta milioni di fedeli sparsi in ogni angolo del mondo, qualcosa di difficile da comprendere. Poi ho nel cuore il Torino, che mi ha dato la possibilità di raggiungere l’Italia, e il Pescara, città con cui ho trovato subito una particolare empatia.