I salari a cifre astronomiche percepiti nei Paesi del Golfo dalle grandi star nascondono una realtà non così rosea per giocatori e coach di seconda fascia
Paolo Passarini è ora seduto sulla panchina del Matelica, società ambiziosa dei Dilettanti italiani con l’obiettivo di fare il salto di categoria dalla Promozione all’Eccellenza. Dopo il pareggio all’esordio è arrivata sabato scorso una vittoria fuori casa. Passarini abita nelle Marche e allena poco distante da casa, in una situazione abbastanza comune in queste categorie, nelle quali quasi sempre ci si divide tra il calcio e un lavoro ‘serio’. Ma soltanto qualche settimana fa il mister viveva un’avventura pallonara completamente diversa. Era infatti l’unico allenatore italiano a lavorare in Arabia Saudita, ad eccezione del commissario tecnico della Nazionale locale Roberto Mancini; Giovanni Solinas invece sarebbe arrivato successivamente, firmando per Al Faisaly Fc, in Serie B, solo pochi giorni fa.
Dopo sette gare con Afif Football Club, formazione iscritta nella Saudi Second Division, terza serie nazionale, per Passarini è arrivato l’esonero. Ritorno in Italia con già la proposta del Matelica memorizzata su una chat del telefono. L’esperienza calcistica e di vita comunque rimangono. Così come la voglia di tornare all’estero. Passarini è destinato a essere uno di quegli ormai non pochi allenatori italiani che girano il mondo come globetrotters della panchina. «Difficile trovare un contesto più estremo di questo per fare calcio – racconta il coach marchigiano a laRegione –, per cui non avrei nessuna paura di provare in futuro esperienze altrove, ma intanto mi concentro sul campionato del Matelica».
Facciamo un passo indietro, fino alla scorsa estate. Prepartita di una gara di Promozione, all’allora mister dell’Aurora Treia squilla il telefonino. Passarini risponde al numero straniero, mentre con la coda dell’occhio segue i suoi ragazzi iniziare il riscaldamento. Per la prossima stagione ci sarebbe la possibilità di lavorare in Arabia Saudita, categoria e città ancora da capire.
L’aiuto di Google Maps
Classe 1977, Passarini ha allenato solo tra i dilettanti e anche da calciatore è arrivato al suo apice ad un’unica presenza nella vecchia C2 italiana. La sera, a casa, razionalizza. Sarebbe una scelta di vita, se non definitiva quasi, per uno che in Italia durante il giorno ha il suo lavoro e deve fare il diavolo a quattro per incastrare gli impegni in ufficio con il ruolo di allenatore. Apre l’applicazione delle mappe, cerca la città che si trova più o meno tra Riad e La Mecca e un po’ si spaventa, perché fatica a intravedere qualcosa di vitale. Cerca notizie su Google e gli viene il dubbio che Afif sia una città inventata. Eppure con i suoi due collaboratori – il vice Paolo Corradini e il preparatore dei portieri Alessandro Riberi – prende l’aereo per iniziare questa nuova storia calcistica, la più incredibile tra quelle vissute fino a quel momento.
Durante il ritiro precampionato la squadra si prepara con alcune sedute nel deserto, che si trova a due passi dalla cittadina, per fare un lavoro di forza sulla sabbia. «Ci siamo andati prima che uscisse il sole – racconta mister Passarini a laRegione –, perché sennò le temperature sarebbero state insostenibili. Un giorno dalla roccia è spuntato fuori un serpente, proprio nel punto in cui avevamo appoggiato le nostre cose. Durante la sessione abbiamo incrociato quelli che loro chiamano camel ma che, con una gobba sola, sono dromedari. Queste uscite erano organizzate dal preparatore atletico tunisino, che lavorava là da più tempo e quindi conosceva meglio la situazione in cui ci trovavamo».
La squadra ha iniziato il campionato con una sconfitta fuori casa, poi due pareggi di fila e tre sconfitte. Fatale è stato il pareggio alla settima giornata, quando il club era alla ricerca della prima vittoria della stagione. In questa categoria l’Afif Football Club, fondato nel 1976, è una matricola. Al momento dell’esonero era comunque fuori dalla zona retrocessione. «Non sono deluso, il manager che ci aveva portato là se ne è andato dopo due gare e per noi da quel momento in poi la situazione nel club era diventata insostenibile. Tra tutte le squadre del campionato, la nostra era la meno professionale e ci trovavamo nella città più isolata di tutte».
In rosa Passarini aveva cinque calciatori stranieri, compreso il rumeno Petrișor Voinea, una carriera spesa tra i campionati italiani, di San Marino e del suo Paese natale. È stato lui, con ogni probabilità, a fare da tramite tra il club saudita e l’allenatore marchigiano, perché con il mister aveva già lavorato nell’ultima stagione all’Aurora Treia. «Laggiù ci allenavamo tutti i giorni – continua Passarini –. Chiamano professionisti soltanto gli stranieri, ma in pratica lo sono quasi tutti i componenti della rosa. Le trasferte sono spesso impegnative, fatte di voli interni e parecchie ore di bus su strade sempre dritte. Capitava di giocare negli stadi in cui qualche ora prima erano scesi in campo Benzema e Kanté. Il calcio in Arabia è seguito, i bambini indossano spesso le magliette dei campioni che giocano nel torneo principale, quelle del club di appartenenza o quelle delle loro squadre europee del passato».
Mister, qualche cosa di strano riscontrato appena messo piede in spogliatoio? «Beh, ho notato che i giocatori non si facevano mai la doccia in spogliatoio ma tornavano subito a casa, o in hotel quando eravamo in ritiro. Io li ho obbligati a farsela insieme, spiegando loro i motivi. Un gruppo unito, necessario per ottenere dei risultati, si costruisce innanzitutto dentro quelle quattro mura».
Trovata per davvero la cittadina, Passarini ha cercato in tutti i modi di integrarsi. «Però siamo su due pianeti diversi, rispetto all’Italia. Non esistono locali o veri ristoranti come li intendiamo noi. Alcol e maiale sono introvabili. A livello di cibo era una tragedia, almeno in casa ci arrangiavamo noi, e così andava un po’ meglio. La città di Afif si trova in mezzo al nulla, è molto difficile creare relazioni con gli abitanti. Avevamo il deserto appena dietro all’appartamento dove vivevamo. La città è davvero rimasta ferma al passato, mentre quelle più importanti del Paese si stanno aprendo abbastanza: il nuovo principe ha una visione un po’ più occidentale. Fino a due anni fa, laggiù le donne non potevano neanche guidare l’auto. Io penso che chi viene da fuori può portare nuove culture, e migliorare in qualche modo alcuni aspetti per noi inconciliabili».
Mister Passarini ci racconta infine qual è il calcio che preferisce: «Quello propositivo è il più rischioso, ma è anche il più appagante, ovviamente quando le cose vanno bene. Stimo De Zerbi, che è molto estremo, le sue idee sono fra l’altro simili alle mie. Ho avuto l’occasione di ascoltare dal vivo Semplici, che mi ha dato molti spunti. Per il carisma citerò invece Baldini, che umanamente è davvero un puro». Il bilancio finale dell’esperienza saudita rimane sicuramente positivo. «Le esperienze vissute ci aiuteranno senz’altro per quelle che vivremo in futuro. E non è detto che un giorno non torneremo proprio in Arabia Saudita, perché il nostro modo di lavorare credo che abbia suscitato un certo interesse».