Essere usciti indenni dalle due sfide con l’Italia (a maggior ragione dopo la scoppola a Euro 2020) ha avuto un peso decisivo nell’economia del gruppo C
Stare a rivangare il passato per capire dove e come la Svizzera abbia staccato il biglietto per i Mondiali può sembrare una questione di lana caprina, in una serata trionfale nella quale il calcio rossocrociato può permettersi di guardare al caldo e soleggiato orizzonte qatariota del mese di novembre 2022, lasciando ad altri la preoccupazione di rimettere assieme i cocci per poter affrontare le fredde nebbie di un doppio spareggio dalle mille incognite.
Ovviamente, essere usciti indenni dalle due sfide con i campioni continentali (a maggior ragione dopo la scoppola subita a Euro 2020) ha avuto un peso decisivo nell’economia di un gruppo C privo di una terza forza in grado di rivaleggiare con rossocrociati e azzurri. Certo, sia a Basilea (0-0), sia a Roma (1-1, gol di Widmer), Jorginho ci ha dato una mano, sbagliando dagli undici metri (al St. Jakob va dato assai più merito a Sommer che demerito all’italo-brasiliano), ma in entrambe le circostanze le prestazioni della Nazionale elvetica sono state eccellenti. Non bisogna dimenticare che la sfida d’andata era stata affrontata subito dopo il cambio in panchina tra Valdimir Petkovic e Murat Yakin, con il basilese che aveva avuto pochissimo tempo per poter lavorare, per cui l’aver resistito a un’Italia reduce dalla sbornia europea rappresenta di per sé un pregevole risultato.
La qualifica per la quinta fase finale consecutiva è dunque in gran parte farina del sacco di Murat Yakin, accolto con un certo scetticismo al momento dell’ufficializzazione della nomina, ma che ha saputo dare la sua impronta al gruppo forgiato da Petkovic. Le due vittorie (3-1 in Bulgaria con Embolo, Seferovic e Zuber nei primi 12’, 1-0 con la Lituania con gol di Shaqiri al 2’) colte da Petkovic prima dell’Europeo, avevano lanciato nel migliore dei modi la fase di qualificazione, ma la ciliegina sulla torta ce l’ha messa il successore del tecnico ticinese. E ciò, nonostante il rigore fallito da Haris Seferovic a inizio settembre in Irlanda del Nord (secondo 0-0 dopo quello di tre giorni prima contro gli azzurri) e la sequela di infortuni che a elencarla è più lunga della lista della spesa per il cenone di Natale: Xhaka non ha disputato nemmeno una partita, prima per Covid, poi per infortunio, Shaqiri ha perso le sfide di Basilea e Belfast, mentre negli ultimi due appuntamenti la Svizzera è scesa in campo senza cinque titolari a Roma (otto assenti in totale) e addirittura sette a Lucerna (dieci in totale).
Yakin, però, non ha mai accampato scuse. Senza paura, ha lanciato alcuni giovani (Vargas e Okafor dal primo minuto all’Olimpico) e ha avuto il colpo di genio di richiamare un Fabian Frei che pareva pensionato, per consegnargli le chiavi del centrocampo nella prima sfida contro l’Italia, per altro con un’eccellente risposta da parte del basilese.
Fondamentale, nel percorso che ha portato i rossocrociati in Qatar, il successo di Ginevra (9 ottobre) contro i nordirlandesi. Fondamentale perché la Svizzera arrivava da uno scialbo 0-0 a Belfast e una nuova frenata l’avrebbe costretta a dover rincorrere l’Italia, ma pure perché quella è stata la partita che ha confermato come il cambio di conduzione tecnica fosse stato metabolizzato dal gruppo. Certo, era stato necessario attendere il 45’+3’ per il gol d’apertura di Zuber e il 91’ per il raddoppio di Fassnacht, ma la prestazione generale era stata di buona fattura e con numerose occasioni create. Un ritorno al miglior rendimento confermato tre giorni più tardi da un 4-0 in Lituania (doppietta di Embolo, Steffen e Gavranovic), risultato ideale per lanciare nel migliore dei modi lo sprint finale con l’appuntamento dell’Olimpico e l’apoteosi di Lucerna. Due serate, le ultime, che chiudono in modo trionfale un anno “ecceziunale veramente”. In meno di sei mesi, la Svizzera ha buttato fuori i campioni del mondo della Francia dagli Europei e ha relegato i campioni d’Europa ai playoff mondiali...