L'esordio di Murat Yakin in panchina è stato ‘rovinato’ dalla positività al Covid di Granit Xhaka. Una volta di più il capitano si ritrova nell'occhio del ciclone
Ma la Nazionale aveva davvero bisogno di una nuova e potenzialmente devastante polemica? Il giorno dopo l'esordio in panchina di Murat Yakin, delle indicazioni scaturite dall'amichevole contro la Grecia non importa a nessuno. Il tema che tiene banco è uno solo: la positività al Covid-19 di Granit Xhaka. Il quale, domenica sera non sarà in campo nella fondamentale sfida di Basilea contro l'Italia, valida per la qualificazione ai Mondiali 2022 in Qatar (alla luce del secondo test positivo del centrocampista dell'Arsenal, Yakin ha provveduto a convocare Fabian Frei, la cui ultima selezione risale al 2018). Una defezione della quale il neotecnico avrebbe volentieri fatto a meno, già alle prese con le assenze di Gavranovic, Shaqiri, Mbabu, Embolo, Benito, Cömert (commozione cerebrale, è già rientrato a casa) e Freuler. Ma Xhaka, nonostante l'appello della federazione a tutti i suoi membri (300'000) affinché ricorrano alla vaccinazione, ha deciso di non immunizzarsi (unico in tutto il clan rossocrociato). L'Asf, come da copione, lo ha difeso, sottolineando, per bocca di Yakin che «Granit, in quanto capitano, deve dare l'esempio. E in campo lo fa, ma è anche un essere umano ed è giusto rispettare la sua scelta». Se non fosse che la sua scelta (formalmente legittima come quella del 48% degli svizzeri non ancora completamente immunizzati) va contro gli interessi del gruppo, dello staff e della federazione. Siccome non risulta che Xhaka sia immunodepresso o intollerante al vaccino, c'è da pensare che la sua rappresenti una presa di posizione più che altro ideologica (non vogliamo nemmeno pensare menefreghista). E, allora, la domanda si pone: è giusto che la fascia di capitano venga messa al braccio di un giocatore che antepone i propri interessi al bene comunque del gruppo? Anche perché – sarà davvero un caso? – ogni qualvolta in seno alla Nazionale scoppia una polemica, Xhaka ci si trova in mezzo: dall'amore per gli aquilotti (gesto reiterato poche settimane dopo Russia 2018 in una foto postata in compagnia della fidanzata), al tatuaggio pre Europeo, alla violazione della bolla che ha permesso a un parrucchiere romano di entrare nel ritiro rossocrociato per tingere i capelli ad alcuni giocatori (con tanto di mimica provocatoria dopo la vittoria contro la Francia)... Dal punto di vista tecnico-tattico, per questa Nazionale Xhaka è imprescindibile: lo è molto meno quale esempio da seguire. Non in campo, dove ha dimostrato di saper trascinare i suoi compagni, bensì nei confronti dell'opinione pubblica e dei tifosi, i quali, a conti fatti, sono i veri azionisti della massima rappresentativa svizzera.
Detto che la scelta “no-vax” di Xhaka non la riteniamo affatto condivisibile, il compito che aspetta la Svizzera domenica sera al St. Jakob sarebbe stato proibitivo con o senza il centrocampista dell'Arsenal. Ad ogni buon conto, la sua assenza rappresenta un ulteriore handicap per uno Yakin che, comunque, esterna sicurezza... «Non vedo alcun problema, soltanto delle soluzioni. Il mio unico compito è di infondere immensa fiducia nei miei giocatori, affinché siano in grado di assumersi le loro responsabilità», ha affermato. Belle parole che rischiano però di perdersi nel vento, di fronte alla necessità di schierare un centrocampo di rincalzo, possibilmente con Sow e Zakaria al centro, Steffen e Vargas ai lati. E se pensiamo a quanto questo reparto aveva penato nella sfida europea di Roma, nonostante in campo vi fossero unicamente “titolari”, i presupposti per la rivincita non sono davvero dei migliori.
Senza contare che questa Svizzera somiglia al mitico Capannelle de “I soliti ignoti” di fronte a una bistecca. Senza Gavranovic, Shaqiri ed Embolo, con Seferovic rientrato contro la Grecia dopo quattro settimane di stop (e apparso in chiaro ritardo) e con il solo Zuber ad aver conservato la verve espressa agli Europei, l'attacco rossocrociato appare sdentato, difficilmente in grado di azzannare una difesa italiana che nonostante il cambiamento di mentalità imposto da Roberto Mancini, rimane uno dei reparti più impenetrabili d'Europa. Ma la sfida si giocherà verosimilmente a centrocampo, proprio come era successo nel mese di giugno all'Olimpico. Sarà lì che Yakin dovrà inventarsi un colpo di genio, per evitare che la difesa – unico reparto uscito indenne dalle vacanze estive – venga presa per la gola. Per il tecnico basilese, quella contro l'Italia sarà la vera sfida d'esordio alla guida della Nazionale, una sfida che dovrebbe vedere quale principale cambiamento tattico, l'abbandono della difesa a tre tanto cara a Vladimir Petkovic. Basterà per riequilibrare una sfida sbilanciata dalle troppe assenze in casa rossocrociata?