Calcio

'Uniti, usciremo da questo momento delicato'

Il Lugano a Ginevra cerca un successo che manca da più di due mesi. Celestini: 'A Copenaghen e contro il Lucerna segnali positivi'

(Ti-Press/Golay)
26 settembre 2019
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Il momento, sul piano dei risultati, è delicato. Ci sono accorgimenti che un tecnico può utilizzare per scuotere un po’ l’ambiente? Magari parlando di più con i senatori del gruppo, oppure dialogando con tutti i giocatori, individualmente... «Nei momenti complicati – spiega Fabio Celestini –, quando i risultati non arrivano, traspare quello che hai seminato lungo tutto l’anno. Sarebbe troppo facile non parlare mai con i ragazzi, salvo poi decidere di farlo quando le cose si mettono male. Non sarei credibile. Il mio atteggiamento nei confronti dei giocatori è sempre il medesimo, non è influenzato dal momento che attraversiamo. Non nego che certe discussioni si possano intensificare, con i giocatori di maggiore esperienza, per avere anche qualche feedback da parte loro. Ci si parla di più, questo sì, ma non si passa da un tipo di gestione a un’altra, perché non sarebbe pagante. Si lavora nel modo di sempre cercando di individuare le piccole cose da sistemare, premendo il bottone giusto per imprimere la svolta e dare inizio a una serie di risultati positivi, come accaduto nella passata stagione, anche allora dopo un lungo passaggio a vuoto (otto partite senza vittorie, ndr).
L’anno scorso ci fu un “dopo Thun”, riconducibile alle partite seguenti la disfatta dello scorso febbraio (1-3, ndr), dopo la quale ci fu un chiarimento franco tra squadra e staff. «Stavolta non ce n’è stato bisogno. In questa stagione non c’è stata una partita come quella con i bernesi, a parte forse quella di Losanna, in Coppa Svizzera. Sono altre le questioni che siamo andati a toccare. Questa è una squadra differente, il momento è differente, anche le prestazioni che abbiamo fatto non sono paragonabili. Il nostro momento attuale non è comparabile a quello del ‘dopo Thun’ del passato campionato».

La via praticata è quella del dialogo. «Io sono per il confronto. È una questione di leadership. Io non sono uno che la esercita dicendo “sono il capo, decido io”. Non lo faccio con i giocatori, non lo faccio con lo staff. Non ero così quando sono arrivato, a ottobre, non sono così adesso. Non si può discutere apertamente di certe cose con i giocatori per poi, per effetto di tre risultati negativi, cambiare atteggiamento e diventare dittatori. Lo stesso vale per l’idea di gioco. È da un anno che insisto per inculcare la mia, restando sempre fedele alla mia linea, pur introducendo alcune alternative di volta in volta. Non mi posso certo permettere di rimangiarmi tutto solo perché i risultati non arrivano, a maggior ragione al termine di prestazioni in cui più volte siamo riusciti a fare ottime cose. Non avrebbe senso. Stiamo lavorando, e lo stiamo facendo tutti assieme. È l’unica via, per uscirne e ritrovare il risultato. Ci meritiamo una soddisfazione, finalmente. È frustrante vedere come nonostante gli sforzi e le tante cose buone che facciamo, il risultato sia sempre lo stesso, e non è mai la vittoria. Se giochiamo male, accetto che non ci sia risultato. Tuttavia, quando facciamo bene, vorrei che il risultato ci sorridesse, ma in questo momento non succede così, ed è frustrante».

La vittoria farebbe comodo

A Copenaghen e contro il Lucerna il Lugano ha fornito indicazioni tutto sommato confortanti, al netto di risultati non esaltanti. «Dopo Copenaghen la squadra ha risposto abbracciando la causa tattica dell’allenatore, quasi all’estremo. Avrebbero potuto mollare e, di fatto, scaricarmi, invece hanno sposato il mio credo all’estremo. Contro il Lucerna si è notato. Sono stato per vent’anni dall’altra parte, dalla parte dei calciatori, so benissimo come funziona. È con i calciatori che un allenatore deve essere in sintonia, è con loro che deve condividere, è con loro che ci deve essere unione. Sono loro che scendono in campo. Se non credono a quello che fanno e che viene ripetuto loro di fare ogni giorno, il mister è “morto”. I giocatori in queste ultime due partite hanno lanciato un messaggio molto chiaro: se dobbiamo “morire”, decidiamo di morire in questo modo, ovvero sposando la causa dell’allenatore. Ora però si tratta di ricominciare a fare cose che prima facevamo molto bene: saltare la linea, attaccare gli spazi, andare in profondità. È stata estremizzata la linea generale dei miei dettami tattici, ma non dobbiamo dimenticare che in passato siamo stati spesso anche verticali, e questo a me piace. Abbiamo estremizzato un concetto, ma per me è gratificante, perché significa che quello che in questi dieci mesi ho cercato di trasmettere ai ragazzi, è passato, e ci credono. Me lo hanno dimostrato. Dopo l’1-0 di Copenaghen, la crepa avrebbe potuto aprirsi, ma è successo il contrario. Lo stesso dicasi per il secondo tempo contro il Lucerna, dopo una prima parte caratterizzata da un po’ di febbrilità, in alcune circostanze».

Inutile dire che un risultato positivo potrebbe davvero sbloccare la situazione, anche sul piano mentale, oltre che della classifica. «Una vittoria farebbe comodo, ne abbiamo bisogno, non possiamo continuare così per tre mesi. È da troppo tempo che non vinciamo. Il lavoro dell’allenatore lo si misura anche, forse soprattutto, con le vittorie, e io non sto vincendo, è inconfutabile. Non è facile costruire qualcosa su pareggi e sconfitte. Nella scorsa stagione, dopo otto tentativi a vuoto, la squadra riuscì a decollare. Sono sicuro che anche questo gruppo, per come è costruito e per come sta lavorando, può fare la stessa cosa».

Il mister: ‘Non cambio il mio credo. E di certo non mollo’ 

«Siamo molto carichi, come nelle scorse settimane, e in tutte le partite. La squadra ha fondamentalmente sempre lo stesso atteggiamento. Ha tanta voglia di fare le cose per bene. Non posso rimproverare nulla ai ragazzi, lavorano in maniera eccezionale».

Alle porte della partita di Ginevra contro il Servette, Fabio Celestini ostenta fiducia e ottimismo. «Questa squadra è fatta per giocare in un certo modo, crediamo in quello che stiamo facendo. Non ho cambiato il mio credo calcistico, né il mio approccio al lavoro. Semmai, sono un po’ meno rigido in alcuni aspetti, ma non cambio. Né intendo mollare. È in momenti come questi che viene fuori il valore degli uomini: se qualcuno pensa che non sono convinto al cento per cento, si prepari a essere smentito. La volontà di continuare con questo gruppo, con questa idea di calcio a cui credo, se prima era del 100 per cento, adesso è del 200 per cento. Continuiamo a crederci, tutti, anche se i risultati non ci confortano. Contro il Servette mi auguro di continuare su questa strada, aggiungendo però alcuni aspetti che ultimamente abbiamo un po’ trascurato. Capita, mi è successo anche a Losanna. In momenti come questi, bisogna aggrapparsi a qualcosa: i ragazzi hanno scelto di sposare la mia idea di calcio, decidendo di “morire” con essa. Il problema è che con questo atteggiamento, per quanto lodevole, si rischia di tralasciare altri aspetti legati al gioco. Viene quindi meno la libertà d’espressione in campo, che deve per forza prescindere dagli schemi studiati a tavolino. È giusto averne, ne abbiamo preparati tanti, ma sovente la prima opzione prevede che si giochi in modo veloce. Lo schema subentra quando la velocità d’esecuzione ci è preclusa, perché fornisce un paio di opzioni in più al giocatore, per uscire da una determinata situazione di gioco».

A Ginevra mancheranno gli infortunati Daprelà, Bottani, Covilo, Crnigoj e Rodriguez. «Qualcosa mi invento, tranquilli. Le scelte che faccio sono in conseguenza degli uomini che ho a disposizione. E ho bisogno di alternative valide anche in panchina».

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