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Pier Tami: ‘C'è ancora un gap da colmare, con le grandi’

Il ticinese, direttore delle squadre svizzere, ha tracciato un bilancio di un anno pesantemente condizionato dalla pandemia

Pierluigi Tami
(Keystone)
15 dicembre 2020
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«È stato un anno molto difficile per tutti. Per noi, per la Nazionale e il suo staff. Per voi giornalisti che non avete potuto svolgere il vostro lavoro come d'abitudine, in presenza alle partite. Ci stiamo abituando alle videoconferenze, ma speriamo di tornare presto alla normalità». Inizia così, con un doveroso riferimento alla questione covid, la retrospettiva sulla stagione della Nazionale di calcio affidata al suo direttore, Pierluigi Tami, la cui analisi ha spaziato dalla pandemia ai risultati, dalle prospettive della Nazionale A di Vladimir Petkovic al caso Xhaka. 

«Il covid - ha spiegato il dirigente ticinese - ha colpito duramente la nostra sfera privata e condizionato l’ambito professionale di noi tutti. Riuscire a tornare a giocare è stata una sfida enorme, per la Nazionale. In autunno ci siamo chinati su quante questioni ci siano da risolvere a livello organizzativo. La pianificazione è giocoforza a corto termine. Vengono richiesti a tutti grande flessibilità e un enorme sacrificio, in ogni ambito. Desidero ringraziare tutti i giocatori e i collaboratori. I tre raduni tra settembre e novembre hanno potuto svolgersi tutto sommato senza grandi intoppi, se non per alcuni casi di positività peraltro gestiti molto bene, con prontezza, grazie al rispetto delle severe norme dei protocolli sanitari ai quali tutti si sono attenuti. Nell’orbita della Nazionale A  è in corso una professionalizzazione in ogni settore. Passi avanti ne abbiano fatti, a livello di staff, di assistenza ai giocatori, a livello tecnico e medico, di comunicazione, per essere vicini ai tifosi anche in un momento in cui è complicato esserlo, con iniziative di vario genere. Alla fine, però, sono i risultati a contare. In tal senso la prossima stagione sarà cruciale, con molti obiettivi, quali un Europeo, una qualificazione ai Mondiali che in un momento così delicato anche per la finanze dell’associazione può avere un peso determinante».

Risultati sotto le attese

Sul piano dei risultati il rendimento della Nazionale è stato deludente: sette partite, di cui cinque di Nations League senza vittorie (tre pareggi e due sconfitte), due amichevoli. «Bisogna fare un distinguo tra match ufficiali e no, perché la situazione attuale ha reso ancor più chiaro che l’obiettivo fosse la Nations League. Non è stato semplice mettere in fila tre partite in pochi giorni (Belgio, Spagna e Ucraina tra l’11 e il 17 novembre, ndr). È chiaro che l’amichevole che ha preceduto i due impegni ufficiali non poteva che essere un test per vedere all’opera l’intera rosa, mentre i due incontri di Nations hanno coinvolto i titolari alla ricerca della permanenza nella Lega A. Non aver vinto alcuna partita non ci soddisfa, ma ci sono due attenuanti di cui va tenuto conto. Da un lato abbiamo affrontato quasi sempre delle avversarie molto forti. D’altro canto, abbiamo constatato che senza la partita perfetta, diventa complicato battere le nazionali di prima fascia. Esiste un gap, tra noi e le compagini più forti. Queste partite sono comunque arrivate nel momento giusto, perché abbiamo potuto apprendere molto. L’errore individuale lo si paga a caro prezzo. Senza la partita perfetta non si vince contro Spagna o Germania. Dal punto di vista sportivo, è positivo che si sia tornati a giocare, benché senza pubblico e con la pandemia. Per il futuro di questa selezione, sono stati mesi comunque molto importanti».

Verso la partita perfetta

Cosa manca per il salto di qualità, per avvicinarsi alla partita perfetta? «Premetto che i pareggi contro Germania e Spagna sono buoni risultati. Sappiamo bene cosa serve per ottenerli. Detto ciò, per vincerle, queste partite, abbiamo bisogno della partita perfetta. Dobbiamo però fare prova di realismo e constatare che se confrontiamo la nostra squadra con quella delle big d’Europa, a livello di valore e di esperienza, il confronto lo perdiamo. Se però riusciamo ad esprimerci alla perfezione come squadra, possiamo anche imporci. Purché concorrano molti elementi. Il primo è proprio l’identità di squadra. La Svizzera ha dimostrato di essere squadra. Poi, si passa al gioco: la Nazionale ha principi chiari che sono tradotti in campo molto bene dai calciatori. Mi piacciono il coraggio, il ricorso al pressing, alla difesa bassa, al pressing alto, alla costruzione del gioco dalla difesa, alla transizione tra zone. Gli elementi del calcio moderno la Svizzera li ha fatti propri. Le idee chiare devono essere alla base di ogni squadra. Un terzo elemento è lo sfruttamento dei momenti cruciali. Ossia, la concretezza in area di rigore. La nostra e quella delle avversarie. Non siamo stati perfetti, né avanti né dietro. La base è solida, i principi di gioco sono ben definiti, ma se vogliamo tradurre queste qualità in grandi risultati dobbiamo per forza essere perfetti nelle situazioni decisive. L’esperienza che accumuliamo in partite internazionali contro rivali di prima fascia può esserci di grande aiuto nel processo di crescita collettiva. D’altro canto, però, incide molto anche il momento di forma del singolo calciatore, la sua situazione in seno al club, che può essere felice o meno felice a seconda del momento. Posso però dire che l’ambiente della Nazionale ha giovato a molti giocatori che magari nei rispettivi club non stavano attraversando un grande momento. Hanno approfittato dei raduni e delle partite della “Nati” per ritrovare il campo e una certa serenità d’animo».

Il bilancio dell’annata dall’ottica di Vladimir Petkovic. «Molto positivo, dal punto di vista della qualità del lavoro. Un po’ meno da quello dei risultati. Petkovic era abituato a vincere, ma questo è stato anche per lui un momento molto importante per la crescita come tecnico, per l’ampliamento delle sue conoscenze e per il consolidamento del rapporto con i giocatori, che impari a conoscere a fondo soprattutto nei momenti di difficoltà. Ha svolto un lavoro eccellente che si traduce in campo in una squadra che non sempre centra il risultato, ma segue con rigore determinati principi di gioco». 

Ancora uno scalino, il più difficile

La Svizzera, come asserito dal ct rossocrociato ma anche da capitan Xhaka, si è davvero avvicinata all’elite mondiale in questi ultimi due anni? «Vogliamo competere con le squadre più forti, per batterle. Ma questo livello non lo abbiamo ancora raggiunto. C’è ancora uno scalino, quello più difficile da salire. Per riuscirci, servono progressi in tutti gli ambiti: strutturale, tecnico, culturale. Non è solo una questione di giocatori. Anche noi ambiamo a un grande risultato, ma per ottenerlo è necessario il concorso di molti fattori ai quali stiamo lavorando. In un modo tale che mi permette di essere ottimista circa lo sviluppo del nostro calcio, identificabile attraverso valori calcistici affermati e chiari a tutti i selezionatori, dalla U21 in giù».

Caso Xhaka: ‘Qualcosa non funziona’

Capitano della Nazionale rossocrociato, più volte finito nel mirino della critica per comportamenti non esemplari, Granit Xhaka è al centro delle polemiche per l’ennesimo episodio sopra le righe di cui si è reso protagonista con l’Arsenal. Arteta, coach dei Gunners, ha definito “inaccettabile” l'espulsione rimediata dal suo giocatore per aver preso per il collo Ashley Westwood del Burnley. L’Asf non ha un’influenza tale da fare capire a quello che è pur sempre il capitano nonché uno dei giocatori più rappresentativi ed esperti che la sua condotta non è sempre ottimale? «Monitoriamo la situazione. Le critiche al suo indirizzo sono molto dure. Siamo pronti a fornire il nostro sostegno ai giocatori, ma è una questione che deve risolvere lui con il suo club. Spero che si trovi in fretta una soluzione. Xhaka è una pedina molto importante per la Nazionale. Siamo a conoscenza dell'accaduto, ma non nei dettagli. Personalmente fatico davvero a capire come certe cose si possano verificare. Non ho visto tutte le sue partite, ma capisco che Granit sia sotto pressione per le critiche che riceve per le prestazioni che fornisce. Quindi, può entrare in linea di conto un po’ di nervosismo, forse una provocazione. Anche in passato ha vissuto momenti difficili con l’Arsenal, ma ha sempre saputo reagire alla grande riprendendosi la fiducia della squadra e una maglia da titolare. Non so esattamente quali problemi abbia, ma qualcosa non sta funzionando a dovere. Mi stupisce un po’, tutto questo. In Nazionale ho seguito con interesse il suo sviluppo in seno alla squadra. Mi ha sorpreso quanto fosse positivo il suo atteggiamento, nei confronti dei compagni o dei membri dello staff. E quanto sia cresciuto a livello di prestazioni. Quando gioca in un certo modo, è davvero un perno insostituibile. Molti nazionali nel corso della scorsa annata hanno marcato visita, di tanto in tanto. Penso a Zakaria, Schär, Shaqiri, Freuler… La costanza di Xhaka è un valore aggiunto per questo gruppo ancora abbastanza giovane ma già ricco di esperienza, nel quale hanno debuttato dei prospetti interessanti come Lotomba o Omeragic. Xhaka è uno di quei giocatori la cui presenza si avverte in modo particolare». 

In un momento storico così, è difficile coltivare i rapporti con i Nazionali, per ricavarne le sensazioni e le eventuali difficoltà. A loro volta, i rossocrociati si rivolgono a voi? «Nei loro club i giocatori sono alle prese con le difficoltà che tutti conosciamo. L’interesse per la Nazionale lo dimostrano soprattutto, ed è giusto che sia così, quando vengono convocati in Nazionale, dal primo all’ultimo giorno del raduno. Non è mai un calciatore a chiamare spontaneamente. È coinvolto nel suo lavoro, con la sua famiglia e con il suo entourage. Con la Nazionale si relaziona a ridosso degli appuntamenti che le competono e attraverso lo staff tecnico che segue tutti i giocatori».

‘C'è preoccupazione per gli Europei’

Capitolo Europei: tante incognite e una formula che coinvolge dodici paesi che non convince. «L’Uefa confermerà l’Europeo e la sua formula solo a inizio marzo. Piuttosto tardi, per poi organizzarsi. Sono preoccupato da un torneo in dodici paesi. Si pensi solo alle difficoltà in Svizzera… Coinvolgere dodici nazioni nelle quali tra l’altro la situazione è in continua evoluzione, significa moltiplicare per dodici le incertezze legate alla pandemia. Siamo in attesa, c’è preoccupazione. Sappiamo che dobbiamo essere pronti a ogni eventualità. A Roma avevamo già scelto Trigoria quale centro di allenamento, ma non è più disponibile in quanto subirà un rinnovamento, per cui dobbiamo rimettere tutto in discussione».

Azzurri ‘affamati’

Qualificazioni ai Mondiali: l’Italia è sempre un’avversaria affascinante. «Gli Azzurri sono affamati di successo, vogliono vincere la Nations League e gli Europei, e vogliono qualificarsi ai Mondiali. Hanno fame di rivalsa, due anni fa fallirono malamente la qualificazione agli Europei e furono duramente criticati. Hanno avuto anche loro uno sviluppo calcistico molto interessante. Giocano un bel calcio, attrattivo, nonostante siano privi dei nomi che in passato hanno fatto la storia del calcio italiano e internazionale. Questa Italia non ha grandi nomi, ma è una gran bella squadra, allo stesso livello di Germania, Spagna, Belgio o Francia. Sono felice di incontrarla solo in settembre, così magari riusciremo a giocare in uno stadio pieno di gente. Nei mesi scorsi abbiamo affrontato grandi squadre quali la Croazia, la Germania, la Spagna. Avremmo potuto farlo in stadi esauriti, ciò che avrebbe contribuito a rimpinguare le casse. Sono match importanti sia sul piano tecnico sia su quello del ritorno economico. Invece non è stato possibile. L’associazione ne ha risentito in maniera pesante».

All'estero, ma a volte è troppo presto

Capitolo mercato: Andy Zeqiri, passato dal Losanna al Brighton, non ha mai giocato un solo minuto, né è mai stato convocato. La preoccupa che accada una cosa del genere a uno dei prospetti più interessanti del panorama svizzero? «Il suo caso mi inquieta un po’, sì. Mi sono dato alcune spiegazioni che riassumo così: il brillante cammino della Nazionale U21 ha fatto sì che si scatenasse l'interesse degli scout per i nostri ragazzi, praticamente già qualificati in ottobre. In quel periodo ci sono concretizzati molti trasferimenti all’estero, cosa che di per sé continuo a ritenere positiva. Per ill bene della Nazionale maggiore, è opportuno che i giovani possano maturare esperienza internazionale. Il timing è però altrettanto importante. All’estero si deve andare, ma passando attraverso la porta principale, meglio se con due o tre stagioni di Super League sulle spalle. Zeqiri è andato in Premier, Sohm e Rüegg in serie A, Ndoye e Lotomba nella Ligue 1 francese, Toma nella Jupiter League belga. Sono trasferimenti che sono stati fatti con anticipo, da società estere che militano in campionati importanti ma che non sono di prima fascia (Brighton, Verona, Parma, Nizza, Genk). Sono operazioni di mercato in anticipo sulla fase finale dell’Europeo di categoria, una vetrina importantissima, per evitare il gioco al rialzo nelle trattative dovuto alla presenza di club più importanti interessati anch’essi ai giocatori. Un trasferimento prematuro, però, può causare inconvenienti come quelli con i quali deve fare i conti Zeqiri, passato in Premier addirittura dalla Challenge League. C’è un abisso. I club si rendono conto che questi giocatori non hanno ancora completato il loro iter formativo professionale. Ecco perché giocare titolare in Super League è determinante prima di fare un salto come quello di un passaggio all’estero. Non è una questione di ritmo, bensì di concorrenza: in Svizzera ti puoi allenare tranquillamente e avere un posto in squadra la domenica. All’estero devi sempre andare a mille all’ora altrimenti c’è un altro collega che ti passa davanti».

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