Claudio Franscella, vicepresidente federale, replica alle critiche mosse - anche su queste colonne - alla pallacanestro elvetica e alla nazionale
Incontro Claudio Franscella, vicepresidente di Swiss Basketball, in un caffè di Piazza Grande a Locarno. Mi ha invitato perché vuole - legittimamente - replicare ad alcune mie considerazioni uscite sul giornale dell’ultimo martedì. Pur condividendo buona parte degli appunti mossi al movimento nazionale della palla a spicchi, che avevo usato come caso paradigmatico per parlare più in generale della gestione dello sport professionistico nel nostro Paese, ha però trovato ingenerose le critiche che avevo riservato al modo piuttosto confusionario con cui i dirigenti della pallacanestro nostrana hanno trattato alcuni dossier. Del resto, la rubrica che ospitava quelle mie riflessioni si chiama non a caso Sportellate, e dunque è del tutto naturale che qualche ammaccatura qua e là vada a causarla.
Cominciamo dalle recenti prestazioni negative della nazionale, figlie anche delle defezioni di alcuni giocatori che alla convocazione hanno risposto picche per andare invece a disputare tornei di 3 contro 3…
Sugli ultimi risultati c’è poco da dire, ed è vero che abbiamo avuto un problema di organico: ben cinque giocatori, quasi tutti del quintetto base, hanno presentato un certificato medico. E poi abbiamo avuto 3 defezioni, molto meno giustificabili, dovute appunto al fatto che alcuni giocatori hanno scelto di abbandonare la nazionale - a favore del 3 x 3 - benché potessero ancora dare qualcosa alla selezione.
Ma la maglia rossocrociata è davvero così poco appetibile?
Abbiamo fatto, e facciamo, di tutto per renderla più interessante ma per fare ciò servirebbero risultati di altissimo livello, che puoi ottenere solo se alla chiamata rispondessero i cestisti che giocano nella Nba, cosa che nel nostro caso, con Sefolosha e Capela, non è quasi mai successa, sia perché i costi delle assicurazioni sarebbero per noi insostenibili sia perché i due ragazzi non hanno mai manifestato chissà quale voglia di giocare in nazionale. In Germania invece lo hanno sempre fatto, e non a caso adesso hanno vinto i Mondiali. Va detto inoltre che qualche giocatore non rispondeva alla chiamata della selezione perché alcuni club, per il periodo in cui i ragazzi stavano con la nazionale, sospendevano il pagamento dei loro stipendi, e i nostri rimborsi certo non erano in grado di coprire la differenza che veniva a crearsi. In questo, va ammesso, siamo molto provinciali.
Va fatto notare che il vostro gruppo dirigenziale ha ereditato una situazione davvero deficitaria sotto più di un punto di vista…
Non è mia abitudine parlar male di chi ci ha preceduto, ma i dati sono eloquenti: quando siamo subentrati noi nel 2014, a livello finanziario eravamo nelle cifre negative - sotto di circa 300mila franchi di capitale proprio - mentre oggi siamo invece in attivo di 1,3 milioni. Ma, al di là del discorso economico, vorrei ricordare che nel 2014, all’inizio del nostro percorso, la nazionale femminile nemmeno esisteva più, e noi invece l’abbiamo ricostituita. Ed è un movimento a cui teniamo molto, tanto che l’abbiamo affidata a un tecnico come Hervé Caudray, sul cui valore e sulla cui esperienza internazionale nessuno può dubitare alcunché.
Torniamo alla nazionale maggiore: i senatori la snobbano o hanno ormai un’età avanzata: chi sarà a sostituirli?
Stiamo vivendo un ricambio generazionale, quindi in nessun modo avremmo potuto sperare di poter accedere alle qualificazioni europee: in questo caso, avremmo fatto meglio a dichiararlo apertamente alla vigilia. Così come ha sbagliato anche il capitano Kovac a sfogare la sua frustrazione all’esterno - per il disamore dei suoi compagni verso la nazionale - invece di tenere la cosa all’interno. Capisco la sua delusione, ma quell’episodio non ha veicolato una buona immagine, perché pareva che tutto stesse andando a rotoli. Lui rimane comunque un perno della nazionale, è da lui che si deve ripartire.
I tesserati intanto aumentano: significa che con la nuova linfa sarà più facile scovare campioni?
Fra qualche anno, grazie al nuovo centro di formazione U16 creato per far crescere i migliori 13-14 giocatori di questa generazione, vedremo di sicuro qualcosa di buono. Fra l’altro abbiamo diversi giovani sopra i 2 metri, qualcosa di inusuale in Svizzera. E poi stiamo cercando anche all’estero ragazzi con almeno un genitore svizzero, un po’ come avevamo già fatto con Baldassarre e Portannese, che giocavano in Serie A in Italia. Anche da lì arriverà, speriamo, qualche bel talento.
E poi c’è il problema delle risorse, che tiene in ostaggio quasi la totalità dello sport professionistico svizzero…
La difficoltà a reperire sponsor, già cronica, è stata ulteriormente acuita dal Covid. Ciò ha pesantemente penalizzato i club, e purtroppo nei mesi scorsi abbiamo perso altre due squadre della massima serie - Boncourt e Lucerna - che oltretutto dovevano pure fare i conti con infrastrutture inadeguate o non più messe a disposizione dalle autorità comunali.