Il pugile ticinese ha deciso di passare al pugilato professionistico e ha esordito con una vittoria per ko. ‘Il feeling è buono, i ritmi più lenti’
Dopo due titoli svizzeri e una finale, Tiago Pugno ha deciso di intraprendere una nuova avventura, passando dal pugilato olimpionico a quello professionistico. Il 31enne locarnese, categoria peso piuma, ha già svolto il primo incontro, contro il bosniaco Mehmedalija Suljic, un autentico successo: «L’esordio è stato lo scorso 11 marzo a Riazzino – racconta Pugno – e ho subito avuto un bel feeling. Ho vinto per ko tecnico con un colpo al fegato, alla seconda ripresa. Mi sono trovato bene, anche perché il mio stile mi porta a metterci un attimo a entrare nel vivo, non sono un pugile bravissimo nelle tre riprese da tre minuti. Preferisco studiare l’avversario e capire quali colpi mettere, con che precisione».
La vita da professionista, invece, come procede?
È assolutamente diversa a prima, i ritmi sono più lenti, è un’attività meno continua rispetto all’olimpico.
È dunque cambiata anche la tua routine giornaliera?
No, quella è rimasta come prima. Cioè, mi alleno sempre al mattino e alla sera, chiaramente è un po’ più difficile negli allenamenti avere sempre quella carica che si ha appena prima di un match sulla lunga distanza.
I prossimi appuntamenti in programma?
Ci dovrebbe essere un incontro in programma a settembre, ma è ancora da definire. Ovviamente come professionista c’è di mezzo il gioco di borsa del pugile, bisogna trovare i giusti accordi, quindi attualmente c’è solo la data indicativa.
Allargando lo sguardo al lungo periodo, quali sono i tuoi obiettivi per questa nuova fetta di carriera?
A lungo termine il mio obiettivo è quello di entrare nelle massime serie del pugilato professionistico e quindi andare a combattere per un titolo. Quanto tempo ci potrei mettere non dipende soltanto dalla mia volontà, a differenza dell’olimpico, ma anche da un fattore esterno, come quanto riesco a essere appetibile per un avversario. Il pugilato sta evolvendo, soprattutto con gli ultimi incontri di Floyd Mayweather e Conor McGregor, non è più quello di una volta. Devi riuscire a fare il guadagno in pay-per-view e quindi creare ‘hype’ attorno all’incontro, altrimenti sei destinato a cadere in ogni caso.
Una delle sfide del professionismo è anche quella di trovare i finanziamenti necessari per mettere in scena un combattimento, giusto?
Sì, è una questione difficile, ma penso che al giorno d’oggi lo sia per qualsiasi sport. Adesso mi sto trovando bene, sto notando che nel pugilato è necessario sapersi vendere bene ed essere bravo ad attirare più gente possibile, facendo in pratica da manager e promoter di sé stesso. Sto lavorando tanto da quel lato, senza però perdere di vista la preparazione atletica in palestra.
Per quest’ultimo aspetto c’è un team ormai collaudato alle spalle…
Sono seguito per il Boxe Club Riazzino da Giovanni Laus e dal suo secondo Giuseppe Canneto, mentre per la preparazione atletica c’è Antonio Liucci.
Dal punto di vista amministrativo devi fare tutto tu?
Sì per ora penso io a tutto, un obiettivo futuro è riuscire ad avere in squadra anche qualcuno che si occupi di quell’aspetto, che prende parecchio tempo. Fare public relations e marketing oltre agli allenamenti, non sembra, ma è impegnativo.
E qualsiasi pubblicità è la benvenuta…
Ormai il pugilato è uno sport che in Ticino e in Svizzera ha bisogno di mostrarsi, ma anche di cambiare qualche stereotipo.
Come mai allora hai fatto questa scelta?
A livello della boxe olimpica c’è stato un cambiamento nella Nazionale, con un cambio di allenatori, e l’arrivo di Beresini, e di criteri di valutazione, e c’è stato il Covid di mezzo, mentre io puntavo alle Olimpiadi di Tokyo e ho perso un po’ di motivazione. Con la vecchia squadra ho quindi intrapreso un altro cammino.
Non sarebbe valsa la pena aspettare almeno un altro anno e dare l’assalto ai Giochi olimpici di Parigi?
È una bella domanda, che mi pongo anch’io, ma cerco di guardare a questa nuova carriera. È vero che sia pugilato olimpico che professionistico si fanno con i guantoni in diversi round e contro un avversario, ma allora è come dire che tennis e ping-pong sono lo stesso sport. Bisogna avere le idee chiare e attualmente ho la testa rivolta a questa avventura da professionista, non è vero che una aiuta l’altra.
Hai comunque già alle spalle un lungo percorso, quali sono i ricordi più belli che hai vissuto finora?
Le emozioni più grandi le ho vissute ai Giochi europei di Minsk nel 2019, è stato unico vedere tutti assieme così tanti atleti di diverse discipline, mentre pugilisticamente il momento più alto sono stati i Mondiali in Russia, lo stesso anno.
Nel frattempo hai passato la soglia dei trent’anni, iniziando così anche anagraficamente la seconda parte di carriera…
Cerco di guardare giorno per giorno, senza demoralizzarmi se i recuperi dopo qualche colpo si allungano un pochettino, però mi sento bene, sono in forma, la motivazione è alta e so di avere ancora tanto da dare, voglio ancora dimostrare di essere sul pezzo. Non sono più giovane, ma non sono nemmeno vecchio.
Non c’è dunque un orizzonte temporale entro il quale punti a raggiungere i tuoi obiettivi?
Non mi sono posto nessun limite, sto cercando di tenere bene insieme i pezzi della carriera per riuscire a raggiungere gli obiettivi. Se si riesce a lavorare bene per questioni di borsa, per gli allenamenti e stando al passo anche con la famiglia, un pugile volendo può andare avanti fino ai quarant’anni. Io spero di raggiungere qualche obiettivo già precedentemente e chiudere quindi qualche anno prima.
Infine, come vedi l’evoluzione della disciplina?
Sono positivo riguardo a qualsiasi incontro, compresi quelli dei vari Mayweather e McGregor. Poi adesso il pugilato si sta dividendo in due fazioni, chi sul ring combatte facendo una guerra con l’avversario e chi invece cerca un po’ più visibilità e guadagno. Io non mi schiero da nessuna parte, ma trovo che, soprattutto dopo il Covid, un’evoluzione sia avvenuta e qualunque pubblicità al pugilato, che siano incontri veritieri o combinati, è positiva e utile.