Il ticinese Roby Ginevri, fra i migliori piloti svizzeri, ci fa scoprire il suo sport e ci racconta qualcosa della sua storia familiare
Probabilmente sulla storia di Roby Ginevri sarà prossimamente girato un documentario. Temi forti e aneddoti singolari, del resto, certo non mancano: a cominciare dal fatto che suo padre morì – in corsa – proprio il giorno in cui lui, ancora ragazzo, avrebbe dovuto disputare la sua prima gara. Era il 1994 e l’avventura di Roby nel mondo dei motori pareva conclusa ancor prima di cominciare.
«Per rispettare il dolore di mia madre – mi spiega –, lasciai perdere tutto quanto, benché fosse la mia passione più grande». Oggi Roby ha 45 anni, vive a Grancia e di professione è meccanico. «In qualche modo, sono rimasto legato tutta la vita alle gare. Ho lavorato qualche anno per il reparto corse della Kessel, quando Loris era ancora in vita. E mi sono occupato a lungo anche di assistenza nell’ambito dei rally».
Un giorno, però, molti anni dopo la tragedia familiare, Ginevri ha deciso di rimettersi tuta e casco e di tornare a correre.
«Il richiamo dei motori non si era mai sopito del tutto e così, su suggerimento del figlio di un pilota che correva con mio padre, ho deciso di acquistare la mia prima vettura da cross. Ho letto l’annuncio, ho visto la foto e – in camper – me ne sono andato in Francia a comprarla. È stato amore a prima vista».
Nel weekend di Pasqua, Roby ha vinto in Piemonte – a Maggiora – la prima gara del Campionato svizzero di autocross, competizione a cui prendono parte però anche molti piloti tedeschi e qualche belga.
«Nella mia categoria si usano le macchine più piccole, fra quelle a ruote scoperte. Il mezzo deve pesare almeno 320 kg e può avere una cilindrata massima di 650 cc. Monta quindi propulsori da motociclette stradali di serie, leggermente modificati per essere adattati a queste vetturette cart-cross».
Per chi non se ne intende e va su internet a dare un’occhiata, questa disciplina appare immediatamente spassosa. «Confermo», dice Roby, «la componente del divertimento per noi è fondamentale, corriamo unicamente per questo motivo – prima ancora che per vincere – e per il bell’ambiente che si crea attorno alle gare».
Ginevri è il solo ticinese iscritto al Campionato nazionale: del resto, da noi non esistono tracciati in cui poter praticare questa disciplina.
«Infatti la tappa del Campionato organizzata per così dire nella regione italofona del Paese viene disputata in Piemonte. Per quella tedesca, invece – in programma il weekend del 20 e 21 maggio a Hoch-Ybrig, nel Canton Svitto – le gare si svolgeranno su un piazzale che d’inverno è usato come parcheggio per gli sciatori che salgono in montagna con la teleferica. Mentre nel Giura il campo di gara è ricavato da un terreno militare che, periodicamente, ci viene messo a disposizione. I costi, però, aumentano ogni anno: Esercito e Confederazione, infatti, vogliono incassare qualcosa da questa operazione. Costi che noi riusciamo a coprire con le quote d’iscrizione alle gare e al campionato».
Pare di capire che in questo sport, davvero molto di nicchia, non si naviga certo nell’oro…
«Esatto, aiuti ne riceviamo pochi. Al massimo possiamo contare sulla collaborazione di qualche amico che ci sostiene, ma non possiamo nemmeno parlare di autentici sponsor».
Pura passione, dunque, anche se qualcosa da questo punto sta migliorando anche grazie al fatto che Roby il Campionato svizzero lo ha già vinto due volte – 2017 e 2019 – oltre aver colto un paio di secondi posti. Ma quanto può costare praticare un’attività sportiva come l’autocross?
«Una macchina come quella che io uso oggi, acquistata usata, potrebbe costare 10 o 15mila franchi. Una vettura nuova invece, a causa dei nuovi standard richiesti, ne costa circa 30mila. Si può comunque benissimo gareggiare con materiale di seconda mano. Stimo che si possa prender parte al Campionato svizzero mettendo sul piatto circa 20mila franchi, fra macchina, carrello, un vecchio furgone e abbigliamento. Ovviamente è necessaria una tuta ignifuga, dato che a seguito dei contatti fra vetture può capitare che si sviluppi qualche fiammata».
Oltre al Campionato nazionale, Ginevri disputa anche il Campionato Tre Nazioni, competizione che si svolge fra Germania, Francia e Svizzera, con piloti provenienti un po’ da tutta Europa, e anche lì è riuscito una volta a chiudere la stagione al primo posto assoluto.
«Il sabato si gira contro il tempo, tre giri secchi cronometrati che servono a stabilire la griglia di partenza per la gara domenicale. Sia il Campionato svizzero sia quello Tre Nazioni hanno un calendario stagionale piuttosto ridotto, fatto di tre gare ciascuno. Per come la vedo io, sarà difficile – praticamente impossibile – che in Svizzera in futuro si torni a costruire circuiti motoristici. Nel nostro Paese sono ritenuti fastidiosi già coloro che praticano downhill con la mountain bike sui sentieri, figuriamoci quanto simpatici possiamo risultare noi che inquiniamo e facciamo rumore. Quindi, gare sul nostro territorio purtroppo non ce ne saranno mai. Qualche tempo fa ero riuscito a farmi concedere un terreno privato a Grancia su cui organizzare un’esibizione con poche macchine, giusto per mostrare alla gente di cosa si tratta il nostro sport. Col proprietario del terreno, così come col sindaco, nessun problema. Tutto pareva pronto, avevo coinvolto i piloti, mobilitato la tv, trovato qualche sponsor, predisposto il servizio ambulanza ecc. Ma alla fine non se n’è fatto nulla, perché per la polizia serviva un anno di preavviso e perché in luglio e agosto – gli unici mesi in cui i piloti erano disponibili – da noi è vietato svolgere manifestazioni motoristiche. Solo sulle strade, però, perché infatti l’Air show ha luogo, eccome».
Forse, ci fossero più praticanti, aumenterebbe anche la sensibilità e la disponibilità nei vostri confronti da parte delle autorità e della gente in generale…
«Io amo parlare di questo sport proprio perché spero di farlo conoscere a più gente possibile, magari convincere qualcuno ad avvicinarsi alla disciplina e, perché no, diventare pilota a sua volta. In Ticino io sono l’unico, e davvero non sarebbe male avere qualche altro praticante. Se qualcuno vuole provare, io ho una macchina che metto a disposizione di chiunque. Magari, una volta assaggiato il brivido, scatta la scintilla e ci si appassiona. Posso garantire che nessuno è rimasto deluso, dopo aver provato, perché il divertimento davvero non manca. A livello svizzero si può cominciare a correre già dai 14 anni, e ciò potrebbe indurre qualche ragazzo ad avvicinarsi».
A livello personale, quanto può esser servito tornare a correre molti anni dopo la tragedia che le ha portato via il padre quando lei era ancora ragazzo?
«Quando ho disputato la prima gara, ho voluto farlo indossando la tuta di mio papà, e sono arrivato primo al traguardo. Nel 2017, invece, ho rimesso in funzione la macchina con cui mio padre ebbe l’incidente mortale e l’ho riportata in pista. Era un po’ il mio demone, volevo creare una sfida fra me e la macchina che mi aveva stravolto la vita. O cedo io, mi sono detto, o cede la macchina: ebbene, al quarto giro la frizione è saltata. Ha quindi ceduto lei, e io ho sconfitto il mio demone».