L’avventura di un giovane atleta ticinese ai Mondiali di muaythai, arte marziale imparata in una palestra che non punta soltanto ai risultati
«Davvero è stata un’esperienza fantastica, specie perché sono molto giovane, è qualcosa che mi porterò dentro tutta la vita. Combattere in Thailandia, cioè dov’è nata l’arte che io pratico, è stato così gratificante. Un viaggio bellissimo dall’inizio alla fine: fare shopping, visitare un po’ Bangkok… Era il mio primo viaggio lungo, e spero di tornare laggiù prima possibile».
Aris Idrizi, 17 anni di origini kosovare, fa parte dei tre atleti che dal 13 al 20 marzo hanno preso parte a Bangkok ai Mondiali di thai boxe, o muaythai che dir si voglia. Gli sportivi ticinesi non solo hanno partecipato, ma sono pure tornati a casa addirittura con 2 medaglie d’oro in valigia. Oltre ad Aris – laureatosi campione nella categoria 75 kg juniores – a salire sul gradino più alto del podio è stato Domenico Madonia, trionfatore nei 75 kg senior. Della spedizione faceva parte anche Jacopo Rovati (60 kg), il cui percorso si è interrotto solo in semifinale.
«Laggiù mi è piaciuto tutto», riprende Aris, «a cominciare dalla mentalità molto aperta della gente, che è superaccogliente. Capisci immediatamente perché la Thailandia è detta il Paese del sorriso. E poi ho apprezzato la frutta, squisita, e tutto il cibo in generale, anche se devo dire che – grazie a Miki – già conoscevo un po’ la cucina thailandese».
Il ragazzo di riferisce a Sarayu ‘Miki’ Manighetti, titolare e anima della palestra e del Thai Boxing Bellinzona, che ha sede ad Arbedo. «Lo scorso dicembre», spiega lo stesso Sarayu, «un generale dell’esercito thailandese – che è pure il presidente della Federazione mondiale muaythai – mi ha incaricato di rimettere insieme un po’ il movimento svizzero della thai boxe, che dopo la pandemia di Covid era andato in pratica scomparendo. È così che sono diventato presidente della branca svizzera della World Muaythai Federation e responsabile della Nazionale elvetica. La persona che occupava queste cariche fino all’arrivo della pandemia, dopo tutti i problemi causati dal virus, si è defilata facendo decadere le funzioni. Appoggiato da altri personaggi attivi in Svizzera nella nostra disciplina, ho accettato subito la proposta giuntami da Bangkok. Il problema è che, già in marzo, c’erano in programma i Mondiali: in così poco tempo, però, non sarei riuscito a mettere insieme una Nazionale con 20 atleti. E quindi, con gli altri 5 membri del Comitato nazionale, mi sono guardato in giro per vedere se potevamo partecipare anche solo con 2-3 atleti. Sarebbe stato un peccato non essere presenti – come Svizzera – a una manifestazione così importante. E così abbiamo deciso che la cosa migliore era portare a Bangkok tre atleti tutti ticinesi, usciti da una selezione interna. La World Muaythai Federation si occupa di tutto ciò che riguarda il nostro sport a livello amatoriale. Gli atleti thailandesi sono i maestri assoluti, e dunque non possono partecipare al Mondiale amateurs. La Thailandia però ospita volentieri la manifestazione e mette a disposizione del resto del mondo le migliori strutture, gli arbitri e i giudici».
Una Nazionale di piccole dimensioni, ma tutt’altro che modesta, considerati i successi ottenuti in una competizione in cui le altre 24 Nazionali schieravano anche 20 atleti ciascuna. «La finale, contro un ragazzo francese, è stata molto combattuta», racconta Aris, «la felicità è stata enorme, specie perché mi ripagava dell’enorme lavoro fatto negli ultimi mesi, fra dieta e allenamenti. Si tratta comunque di sacrifici che faccio volentieri. Combatto da circa due anni, come atleta sono cresciuto abbastanza in fretta, e credo dipenda proprio dalla mia grande voglia di affermarmi. Qui si lavora in armonia, l’ambiente è bellissimo, fra noi atleti c’è una fratellanza pazzesca. Dai miei compagni e dagli allenatori imparo molte cose ogni giorno. Mi alleno quattro volte la settimana, per circa due ore, ma poi corro e mi alleno anche privatamente». Quali sono oggi i tuoi obiettivi? «Innanzitutto terminare l’apprendistato e prendermi il diploma, come d’accordo anche col mio allenatore. Per il momento va tutto bene, riesco a conciliare bene scuola, lavoro e palestra. Il mio traguardo nello sport è crescere, imparare ogni giorno qualcosa, rubando magari segreti e trucchi ai miei compagni più esperti. E un giorno, chissà, fare in modo che la thai boxe diventi il mio lavoro».
Torniamo per un attimo a Bangkok: com’è combattere nel Paese che il vostro sport lo ha inventato? «In Thailandia c’è un ambiente pazzesco, specie perché il modo di tifare è del tutto diverso da quanto succede da noi ad esempio durante le partite di calcio. I cori degli appassionati è come se seguissero un respiro unico. Me ne sono accorto durante i miei combattimenti, ma soprattutto quando siamo andati a vedere alcuni incontri fra professionisti nel più grande stadio di Bangkok: è una cosa che fa venire davvero la pelle d’oca».
Alle pareti della palestra sono appese almeno venti bandiere di Paesi diversi, a rappresentare le nazionalità di tutti gli atleti iscritti al club… «La nostra palestra aiuta anche i ragazzi stranieri a integrarsi», spiega Manighetti, «proprio come aveva fatto con me la società di judo che frequentavo quando a 10 anni, insieme a mia mamma, sono arrivato in Ticino dalla Thailandia. Da noi si allenano anche ragazzi problematici, gente che magari ha bisogno di indirizzare la rabbia in modo costruttivo e regolato, incanalato. Riceviamo spesso anche ospiti dei centri asilanti, oppure accogliamo ragazzi su richiesta di istituti per la gioventù».
Un po’ come succede per tutti gli sport di contatto e di combattimento, anche la thai boxe gode – fra chi la conosce poco o punto – di pessima fama… «Purtroppo hai ragione: se una sera c’è una rissa, la prima cosa che tutti fanno è chiedere se i protagonisti frequentano il ring. Per noi è brutto, perché lavoriamo duro per insegnare ai ragazzi disciplina, rispetto e solidarietà, per poi essere considerati soltanto una fabbrica di picchiatori. In realtà, le pecore nere ci sono in ogni ambito e in ogni sport».
Prima di salutarci, dico a Sarayu che – mentre lo aspettavo – sono stato colpito dalla quantità di bambine e ragazze che varcavano la soglia della palestra… «Abbiamo moltissime iscritte, fin dalla categoria Under 10. Le ragazze, fra l’altro, in generale si dimostrano ancor più impegnate e determinate dei maschi. Vorremmo comunque che le donne si avvicinassero ancor di più alla nostra arte, e così per il weekend del 5 e 6 maggio – venerdì e sabato – stiamo organizzando un evento – il Ladies Fight – dedicato esclusivamente a match femminili, accompagnato da musica e cucina thailandese, perché a me interessa anche far conoscere la cultura del mio Paese d’origine, oltre al nostro sport nazionale».