La Nfl sta pensando di sbarcare sul Continente con un’intera division. Un’idea che non andrà in porto prima di un decennio, viste le molte incognite
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando nel 1926, al Maple Leaf Stadium di Toronto, i New York Yankees e i Los Angeles Wildcats avevano dato vita alla prima partita della Nfl al di fuori dei confini degli Stati Uniti. Sul finire degli anni Ottanta, il football era sbarcato anche in Europa, con le prime partite amichevoli (su tutte, nel 1988, la sfida tra i Dolphins di Dan Marino e i 49.ers di Joe Montana, riedizione del Super Bowl del 1985), fino alla prima sfida di regular season datata 2007. Da quel giorno Londra ha ospitato altre 32 partite a Wembley, Twickenham e al Tottenham Stadium e solo quattro di esse hanno fatto segnare un’affluenza inferiore agli 80’000 spettatori (lo stadio degli Spurs ha una capienza di 62’850 ed ha sempre registrato il tutto esaurito, biglietto più, biglietto meno). Inoltre, lo corso autunno Seattle e Tampa Bay hanno riempito l’Allianz Arena di Monaco per la prima partita giocata su suolo tedesco (nel 2023 due appuntamenti sono già in programma a Francoforte).
Il grande successo ottenuto in questi decenni dalla Nfl ha più volte portato il commissioner Roger Goodell ad auspicare il dislocamento di una franchigia nel Regno Unito. Addirittura, era stata ventilata la possibilità di portare in Inghilterra il Super Bowl, progetto frustrato da fattori meteorologici: la Nfl tende a programmare le finali in città con temperature estive e da questo punto di vista Londra a febbraio è messa piuttosto maluccio. Per quanto riguarda l’insediamento di una franchigia in terra britannica, al momento si è ancora fermi al campo delle ipotesi, ma i dirigenti della Lega più ricca al mondo sembra abbiano alzato la mira. Infatti, adesso non si parla più di una squadra, bensì di un’intera division, da sistemare tra Inghilterra, Germania, possibilmente Francia o, addirittura, Spagna (numerose squadre della Nfl hanno un’ampia base di tifosi di cultura ispanica). Un progetto destinato a vedere la luce a stretto giro di posta? Assolutamente no, sarà necessario più di un decennio per preparare l’eventuale sbarco di una division al di qua dell’Oceano, tanti sono i problemi che questa "expansion" (la prima dal 2002, quando la Nfl accolse Houston) porterebbe con sé. Una cosa è certa, per quanto paradossale: sarebbe più facile sbarcare in Europa con quattro squadre che non con una sola. Perché limerebbe quello che è il principale ostacolo: le trasferte trans-oceaniche. La presenza di un’intera division, infatti, permetterebbe alle squadre europee di giocare sul Continente 11 o 12 partite su 17. Le altre 4 o 5 potrebbero essere divise in due segmenti, così da avere soltanto due trasvolate a stagione, peso assolutamente sopportabile su un lasso di tempo superiore ai quattro mesi.
Inoltre, per ulteriormente facilitare la logistica delle squadre in trasferta, la Nfl prenderebbe in considerazione la costruzione di due "hub", uno in Europa, uno negli Stati Uniti (in zona centrale, così da poter raggiungere facilmente sia la costa Est, sia la cosa Ovest), con hotel e centro d’allenamento, nei quali alloggerebbero le compagini in trasferta intercontinentale. Nel complesso, un progetto ambizioso denso di punti interrogativi di non poco conto, ma all’apparenza risolvibili. L’unico aspetto che non dovrebbe creare grattacapi è rappresentato dall’investimento finanziario: la Nfl è una lega straricca e non avrebbe alcun problema a coprire le spese dell’espansione.
Le perplessità si focalizzano in primo luogo sulle risposte di tifosi e giocatori. Da una parte ci si chiede se l’Europa ha un bacino di appassionati sufficiente per riempire gli stadi 32 volte a stagione (8 partite casalinghe a testa). Roger Goodell sembra esserne convinto, anche se è vero che le squadre europee dovrebbero costruirsi una loro base di tifosi in un mercato nel quale tutti gli appassionati già hanno una loro squadra di riferimento tra le attuali 32 di stanza negli Usa.
Tuttavia, più del pubblico appare pressante la complicazione legata all’equità sportiva. E alla free agency in particolare. Perché non è detto che un giocatore in scadenza di contratto abbia voglia di trasferirsi in Europa, quando potrebbe essere pagato altrettanto negli Stati Uniti. È altresì vero che la possibilità di trascorrere sei mesi all’anno a Parigi, a Londra o a Madrid potrebbe pure fungere da catalizzatore per ragazzi spesso mai usciti dai patrii confini. Il problema va comunque analizzato, in quanto un’eventuale reticenza a trasferirsi nel Vecchio Continente, avrebbe quale conseguenza una minore competitività delle squadre europee e, a cascata, la diminuzione di interesse da parte di tifosi e sponsor.
Insomma, sull’intenzione della Nfl di ampliare il mercato su questa sponda dell’Atlantico non ci piove. Come sempre, però, il progetto andrà studiato nei minimi particolari e si procederà con i piedi di piombo: il disegno è ambizioso oltre ogni immaginazione e Roger Goodell non farà mai il passo più lungo della gamba. Detto ciò, nel giro di un decennio l’idea potrebbe già essere passata dallo schizzo su carta alla fase esecutiva. Chi vivrà, vedrà.