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L’inatteso Rinascimento del calcio italiano nelle coppe

Dopo oltre un quarto di secolo le squadre della vicina Penisola tornano protagoniste nelle fasi più avanzate delle competizioni continentali

In sintesi:
  • Da tempo non più considerato un campionato troppo competitivo, il torneo italiano riesce quest'anno a riportare molte squadre nelle fasi finali di tutte le coppe
  • In caso di passaggio del turno dell'Inter, ci sarà una semifinale tutta italiana: i nerazzurri affronterebbero infatti una fra Milan e Napoli
7 aprile 2023
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Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, almeno nel calcio. Sei squadre italiane - Napoli, Milan, Inter, Juventus, Roma e Fiorentina - sono ancora in corsa quando stanno per iniziare i quarti di finale delle coppe europee. Non accade spesso: l’ultima volta era il 1997/98, una vita fa in questo sport. Parlare di rinascita sembra esagerato, per un movimento alle prese con problemi di natura economica, giudiziaria e anche di produzione di talento, ma rimane in ogni caso un’abbondanza curiosa e da celebrare: l’Italia fa meglio di Inghilterra (4 squadre ai quarti), Spagna (2), Germania (2) e Francia (1), campionati considerati, per diverse ragioni, più in salute. Ma cosa attendersi ora? Che sfide aspettano le italiane? Quante possono pensare, ragionevolmente, di andare avanti?

Le italiane in Champions

L’urna di Nyon, con un buon senso dello spettacolo, ha messo contro Milan e Napoli, il meglio che il calcio italiano può offrire in questo momento. È una sfida piena di incognite: sarà più importante il dna europeo del Milan (7 Champions League in bacheca) o la solidità del Napoli di questa stagione? La sinuosità di Leao o l’elettricità di Kvaratskhelia? Il calcio verticale di Pioli o quello tambureggiante di Spalletti? Gli scontri tra connazionali nelle eliminatorie europee, poi, hanno sempre un fascino particolare, una tensione fratricida aggiuntiva che rende tutto più interessante.

Come se non bastasse, l’antipasto avvenuto solo pochi giorni fa in campionato ha alzato il livello della contesa: al Diego Armando Maradona i rossoneri hanno vinto 4 a 0 giocando la partita perfetta e dimostrando che i 20 punti di distacco valgono molto relativamente nei novanta minuti. Il Milan ha dominato nei duelli individuali, sfruttato cinicamente le occasioni e messo in mostra una condizione fisica eccellente. Le prestazioni di alcuni giocatori - Brahim Diaz, Leao e Tonali su tutti - sono state la ciliegina sulla torta di una partita preparata benissimo da Pioli, che non solo è tornato alla difesa a 4, ma ha anche spostato Bennacer sulla trequarti con il compito, riuscito, di frenare Lobotka, il cervello del Napoli, dirottando invece Diaz a destra, dove finora il Milan non aveva mai convinto. Lo spagnolo è tornato a casa con un gol e un assist e la palma di migliore in campo.

Bisogna aspettarsi la stessa partita anche il 12 aprile quando Napoli e Milan si ritroveranno a San Siro per l’andata? Difficile pensarlo. Il rischio, per i rossoneri, è che Pioli abbia scoperto le proprie carte troppo presto, dando a Spalletti la possibilità di correre ai ripari cercando le giuste contromosse. Inoltre il Napoli dovrebbe recuperare Osimhen, assente in campionato a causa di una lesione all’adduttore. La presenza del centravanti nigeriano è necessaria al Napoli non solo per i suoi gol (25 fin qui) ma anche per la sua capacità di tenere in scacco le difese avversarie con le sue corse e la sua forza fisica. Anche qui però c’è più di un dubbio: un Osimhen al 100% è un conto, uno con il freno a mano tirato per i postumi dell’infortunio è un altro. Insomma, la sfida di Champions farà storia a sé.

Il Milan avrà dalla sua parte la leggerezza di chi non ha molto da perdere e la fiducia data dalla roboante vittoria in campionato, mentre le scorie della sconfitta potrebbero aver innervosito i napoletani, lasciando più di un dubbio ad aleggiare sulle loro teste. Allo stesso tempo, però, la squadra di Spalletti sarà più preparata, più consapevole di cosa l’aspetta a livello tattico e anche emotivo. Impossibile trovare un favorito, ma una cosa è certa: per individualità, collettivo e posta in palio, Milan-Napoli sarà una delle sfide più avvincenti dell’anno.

Spettatori interessati saranno anche Inter e Benfica, l’altro quarto di finale da quel lato. I nerazzurri sono stati solo apparentemente fortunati nel sorteggio: i portoghesi, per blasone e valore della rosa, non sono il Bayern Monaco o il Real Madri, ma fin qui stanno giocando il calcio più eccitante in Europa. In campionato dominano (23 vittorie, 2 pareggi, 1 sconfitta, + 53 di differenza reti), mentre in Champions League hanno già fatto fuori la Juventus e regolato il PSG nei gironi, prima di passare facilmente sopra al Bruges agli ottavi (7-1 di aggregato).

A Lisbona Roger Schmidt sembra aver trovato la sua dimensione, trasformando il Benfica in una squadra che unisce i principi verticali del calcio tedesco con quelli tecnici e associativi di quello portoghese. I giocatori in campo sembrano controllati da un joystick, capaci di giocare in spazi strettissimi e larghi allo stesso modo, con una pulizia tecnica impressionante nel palleggio. Neanche la cessione di Enzo Fernández a gennaio sembra aver intaccato il loro sistema di gioco.

La stella è Rafa Silva, trequartista dalla classe cristallina che quest’anno pare giocare sul velluto, ma non è certo solo. Davanti Gonçalo Ramos è a 24 gol stagionali, mentre in difesa brilla il giovanissimo centrale António Silva (19 anni), già sul taccuino di tutti i migliori club del mondo. A spaventare di più i tifosi interisti è però Joao Mario, triste meteora in nerazzurro che nel Benfica si è decisamente rilanciato. Potrebbe essere lui il più classico degli ex che ti pugnalano alle spalle (metaforicamente parlando).
Per l’Inter questo confronto non può arrivare in un momento peggiore: la squadra di Inzaghi sembra aver perso anche le poche certezze che aveva quest’anno. Contro la Fiorentina, in casa, è arrivata la quarta sconfitta in cinque partite (la decima in campionato), ancora una volta dopo una partita piena di occasioni sbagliate. Il pareggio in extremis in Coppa Italia con la Juventus può aver dato energie nervose, ma ha anche confermato come l’attacco dell’Inter continui a essere pericolosamente asfittico. Contro il Benfica per passare il turno non basterà difendersi in maniera ordinata come negli ottavi col Porto.

Inzaghi dovrà trovare il coraggio di alzare i suoi uomini, cercare di non lasciare passivamente il controllo del gioco agli avversari, ma provare a ribattere colpo su colpo. Non sarà facile, vista la condizione di Lautaro Martinez, Dzeko e Lukaku, eppure l’Inter di questa stagione ha dimostrato di avere risorse nascoste proprio nelle partite più complicate. Dovesse farcela, all’orizzonte ci sarebbe una semifinale tutta italiana.

Le altre

Non di sola Champions League vive l’uomo, però. L’Italia può pensare di fare strada, e magari provare a vincere, l’Europa League, che manca in bacheca da quando ancora si chiamava Coppa Uefa (vittoria del Parma nel 1998/99), ma anche di provare a trattenere in casa la Conference League, dove la Roma è campione in carica. E, per quello che sembra quasi uno scherzo del destino, ai giallorossi è capitato proprio il Feyenoord, la squadra battuta meno di un anno fa nella finale di Tirana.

Per i tifosi giallorossi, spesso pessimisti, è il peggior accoppiamento possibile, contro una squadra in cerca di vendetta, con cui ci sono dissapori tra tifoserie a cui infatti è stata vietata la trasferta (anni fa i tifosi del Feyenoord provarono a distruggere anche la Barcaccia, la fontana che si trova davanti alla scalinata di Piazza di Spagna).
Certo, il sorteggio poteva andare peggio, dall’urna poteva uscire il Manchester United o il Siviglia, o addirittura la Juventus. La Roma però non dovrà sottovalutare il Feyenoord: la squadra di Arne Slot, di cui in Olanda si parla benissimo da anni, sta vivendo una stagione di grazia, tanto che in campionato (che non vince dal 2017) è prima con 8 punti di vantaggio sull’Ajax secondo. Non ha grandissime individualità, a eccezione forse del capitano Kocku, ma gioca un calcio organizzato, efficace e pure gradevole da guardare. In estate ha venduto alcuni dei suoi migliori giocatori, ma è riuscito a sostituirli al meglio e si può quasi dire che questa versione sia più forte di quella che ha perso in finale contro la Roma la scorsa stagione.

Lo stesso vale per i giallorossi: non c’è più Zaniolo, l’autore del gol vittoria in quella partita, ma l’aggiunta di Dybala, Matic e Wijnaldum, finalmente tornato da un lungo infortunio, ha notevolmente alzato il tasso tecnico della squadra di Mourinho, anche se a volte sembra troppo dipendente dalle giocate dell’argentino. L’allenatore portoghese, in ogni caso, è una garanzia quando si tratta di preparare sfide andata e ritorno, dopotutto non ti chiamano lo Special One per niente.
Più difficile, sulla carta, il compito che attende la Juventus. Lo Sporting Clube (attenzione a non chiamarlo Sporting Lisbona, i tifosi sono molto suscettibili a riguardo) è una di quelle formazioni rognose, dove tutto passa per un’organizzazione maniacale, soprattutto senza palla. A portare questo spirito è stato Ruben Amorim, uno dei giovani allenatori più corteggiati d’Europa (è pochi giorni più vecchio di Cristiano Ronaldo), molto amato da tifosi e giocatori, cresciuto alla scuola di Jorge Jesus e con il mito proprio di Mourinho. Negli ottavi hanno eliminato l’Arsenal grazie a un gol incredibile di Pedro Gonçalves da centrocampo e non è un caso: lo Sporting è il perfetto underdog negli scontri diretti, con un allenatore capace di curare ogni minimo dettaglio e usare qualsiasi soluzione per vincere.

Davanti trova una Juventus in gran forma, capace di vincere 11 delle ultime 15 partite giocate. Allegri sta recuperando tutti gli infortunati - per l’andata dovrebbe tornare anche Pogba - e ha trovato una forma intorno a un 3-5-2 molto solido. La qualità tecnica della rosa bianconera è indubbiamente superiore e starà a loro far valere questa differenza nei 180 minuti. Non sono due formazioni aperte e sfrontate e probabilmente sarà una sfida più noiosa che divertente, ma se vi piace l’idea del calcio come un gioco dove prima di tutto si deve annullare ogni velleità dell’avversario, allora è la vostra partita.


Infine la Fiorentina: la Conference League è un torneo giovane ed enigmatico, ma la squadra di Italiano è indubbiamente tra le favorite e il sorteggio è andato piuttosto bene. Il Lech Poznan sta vivendo una stagione strana: è solo terzo in campionato (vinto l’anno scorso dominando),, ma in Europa ha battuto 3-0 il Villarreal ed eliminato il Bodo, una squadra sempre ostica. Il giocatore che più si è messo in luce è Michal Skoras, autore di 7 gol in Europa. Insomma, una squadra da rispettare ma di cui non avere paura. La Fiorentina viene da 9 vittorie consecutive, è la squadra ad aver segnato di più in Conference League (26 reti) e può contare su Cabral e Jovic, finora inarrestabili nelle notti europee.