A Rovaniemi, in Finlandia, c'è una squadra intitolata a Babbo Natale capace di affascinare i cinesi ma pure di finire sulle pagine di cronaca giudiziaria
“Era la giornata più straordinaria dell’anno, quella che racchiudeva tutte le speranze dell’umanità: il giorno dopo sarebbe tornato il sole. Erano quaranta giorni che, privati di quella fonte di vita, le donne e gli uomini del vidda sopravvivevano incurvando la schiena e l’animo. Klemet, poliziotto e razionalista, o razionalista perché poliziotto, vedeva in ciò il segno tangibile di un peccato originale. Altrimenti, perché imporre una sofferenza simile a degli esseri umani? Quaranta giorni senza la propria ombra, tornati a strisciare sulla terra come insetti” (Oliver Truc, L’Ultimo Lappone, Marsilio).
Nella vita ci si abitua a tutto, anche alla Lapponia. Terra dal fascino artico irresistibile per il turista, un po’ meno per coloro che ciclicamente devono fare i conti con inverni lunghi, freddi e bui.
In Lapponia c’è Babbo Natale, la cui dimora originaria era collocata in un paesino a pochi chilometri dal confine orientale con la Russia chiamato Korvantunturi, ma che da tempo è stata istituzionalizzata poco fuori Rovaniemi, la città più a nord della Finlandia, diventata un’importante meta turistica soprattutto grazie al Santa Claus Village, attraversato anche dalla linea del Circolo Polare Artico. C’è anche una squadra di calcio, l’Fc Santa Claus, fondata negli anni Novanta allo scopo di integrare una normale attività sportiva con un pizzico di business derivante da uno dei marchi più riconosciuti, e riconoscibili, del pianeta.
Ogni Natale compare puntualmente un articolo sull’Fc Santa Claus. Quest’anno è toccato ai britannici del Sun, a cui hanno fatto compagnia anche diverse altre testate sul web. Una piccola favola locale a base di curiosità e buoni sentimenti, come il clima festivo impone. Anche se in realtà sappiamo tutti che Babbo Natale non esiste e proprio la storia di questa società appare adatta a ricordarcelo.
Dietro alle luci e ai colori si cela sempre il buio artico della realtà, che nel caso dell’Fc Santa Claus significa un faticoso galleggiamento a filo d’acqua per garantirsi la sopravvivenza – destino che accomuna numerosissimi club sportivi dilettantistici – dopo una doppia bancarotta. L’unico vero miracolo è che l’Fc Santa Claus esista ancora, e che nel 2025 festeggerà il ritorno alla ragione sociale originaria togliendo il suffisso Juniorit, che in finlandese significa giovanile, resosi necessario tre anni fa per garantire la seconda rinascita del club mediante l’affiliazione a una scuola calcio locale.
I giorni di gloria sono lontani ormai una quindicina di anni. Nel 2010 l’Fc Santa Claus sfiorò la promozione nello Ykkonen, la Seconda divisione finlandese, perdendo lo spareggio contro una squadra di Helsinki, l’Ifk Helsingfors. Un risultato storico che indusse la dirigenza ad aumentare le proprie ambizioni, e di conseguenza gli investimenti, provocando un buco di bilancio nel vano tentativo di fare il salto di categoria.
Con debiti che superavano i 20mila euro, una cifra notevole se si considerano i numeri del calcio in Finlandia, nel giro di due stagioni la società era finita in fallimento e, anziché salire nella piramide, rotolò all’indietro. Fino a quando, nel 2015, per la squadra di Babbo Natale arrivò un regalo inaspettato.
Marc Gao era un businessman cinese Ceo della Bewin Sports, società che si occupava della produzione di contenuti sportivi multimediali, e spesso passava dalla Finlandia per motivi di lavoro. Rimase affascinato dall’immagine del club e lo contattò per una sponsorizzazione. La risposta fu una poltrona da vicepresidente.
Nonostante in Cina solo il 2,3% della popolazione sia di religione cristiana, a Gao interessava l’aspetto commerciale del Natale, svincolato da qualsiasi significato religioso. La Bewin Sports portò in dono all’Fc Santa Claus un’esposizione mediatica senza precedenti, che andava ben oltre l’effetto simpatia generato dal nome e dal logo di una piccola squadra in tanti appassionati di calcio periferico.
Il club firmò un contratto annuale con Puma, cedette i diritti di trasmissione delle proprie partite all’emittente cinese CCTV e vergò anche un pre-contratto con EA Sports per una possibile inclusione della squadra nel videogioco Fifa 16.
Ma è inutile che rispolveriate la vecchia Playstation 3, perché dell’Fc Santa Claus non troverete alcuna traccia. Così come, nel giro di dodici mesi, i cinesi erano scomparsi da Rovaniemi. Perché dietro l’hype, i fuochi d’artificio e il tour promozionale in Cina, era necessario anche un progetto sportivo che invece latitava clamorosamente. La squadra era inguardabile, e nell’anno dei cinesi retrocesse in Quarta divisione incassando 102 gol e ottenendo solo 8 punti in 22 partite.
A Rovaniemi esiste un’altra squadra di calcio, il RoPS, di cui nei suoi periodi migliori l’Fc Santa Claus ha agito da serbatoio. Milita nella massima divisione finlandese e anni fa andò vicino a diventare il primo team del Circolo Polare Artico a laurearsi campione nazionale.
Non ce la fece e qualche stagione dopo toccò al Bodø/Glimt, in Norvegia, stabilire questo piccolo primato. Una quindicina di anni fa sotto Natale si parlava molto anche del RoPS, per via di una bella storia di integrazione tra culture diverse.
Tutto nacque sulla scia di Italia ’90 e del Camerun di Roger Milla, che appassionò talmente tanto Jouko Kiistala, l’allora presidente del RoPS, da fargli setacciare il continente africano alla ricerca di qualche giocatore disposto a trasferirsi nella squadra di una delle località più fredde del mondo. Ci riuscì nel 1994 con lo zambiano Zeddy Saileti. Sarebbe rimasto in Lapponia quindici stagioni, diventando anche allenatore del RoPS. Soprattutto, però, portando nel corso degli anni diversi connazionali a Rovaniemi, costituendo una piccola comunità.
Sembrava la versione calcistica di Cool Runnings, il film che raccontava l’improbabile squadra di bob della Giamaica che partecipò alle Olimpiadi di Calgary del 1988. In questo caso c’erano gli zambiani che giocavano nella neve e aiutavano a vincere il RoPS. Oltretutto accettati e supportati dai locali, rispetto a precedenti casi di massicce importazioni calcistiche come avvenuto a metà anni Novanta con gli ivoriani in Belgio al Beveren o nel 1999 con i cubani in Germania nell’Sc Bonner.
La favola scolpita nel ghiaccio ha cominciato a incrinarsi nel 2011, quando un affarista di nome Wilson Raj Perumal venne bloccato alla frontiera finlandese e arrestato per possesso di documenti falsi. Furono sufficienti poche ore di interrogatorio per fargli vuotare il sacco: si trovava in Finlandia per aggiustare le partite del RoPS per conto di un gruppo appartenente alla criminalità organizzata di Singapore. Non era la prima volta che nel Paese nordico scoppiava uno scandalo legato al match fixing.
È noto come le realtà calcistiche minori, dove girano pochi soldi, siano terreno fertile per faccendieri, riciclatori di denaro e affaristi di vario genere e natura. Ma l’impatto emotivo fu notevole, perché riguardava proprio la squadra della fiaba natalizia. Su otto giocatori condannati per aver aggiustato, dal 2008 al 2011, 28 partite del RoPS, sei erano zambiani e due georgiani.
Furono squalificati dalla Fifa per due anni e condannati a risarcire complessivamente 213’000 euro al club di Rovaniemi per danni materiali e di immagine procurati. Accusato dai connazionali di aver agito come anello di collegamento tra corrotti e corruttori, Saileti fu processato in contumacia. Non è mai stato condannato, né è più tornato in Lapponia.
Nell’oscurità artica sono presenti bagliori che tengono tuttora in vita Fc Santa Claus e RoPS Rovaniemi. I primi militano nel Nelonen, Sesta divisione finlandese, e continuano a fare accogliere tifosi e avversari da Babbo Natale. I secondi si trovano tre categorie più sopra, lontani da quella massima divisione che, a partire dagli anni Novanta e fino all’arrivo della pandemia, hanno frequentato assiduamente.
Alle ultime Olimpiadi di Parigi tra gli ambasciatori del Cio per il progetto Believe in Sport contro il match fixing era presente lo zambiano Nchimunya Mweetwa, uno degli otto condannati nello scandalo RoPS, e quello che i tifosi locali avevano soprannominato Young Drogba perché in un anno segnò 17 reti in 25 partite e condusse il club alla promozione.
Mweetwa si è pentito con i fatti. Nei due anni di squalifica ha studiato, si è documentato, ha scritto articoli su match fixing, doping e carte d’identità false. Ha preso il patentino B di allenatore alla Caf con una tesi sulla corruzione incentrata sulle partite truccate. Mweetwa ha parlato di ‘buio dell’anima’ e della volontà di aiutare chiunque ci sia finito dentro.