Il decano del basket elvetico non risparmia critiche ai club e alle Nazionali giovanili
Maurice Monnier, anni 90 appena compiuti, è di quegli sportivi che hanno amato uno sport senza alcuna esclusione, sia per la Nazionale – di cui è stato allenatore per molti anni – sia per i club, che ha diretto per decenni da Nyon a Champel a Ginevra. Ed è stato attivo pure nei settori giovanili, a cui si è dedicato – prima e dopo gli impegni di più alto livello – con entusiasmo e grandi qualità didattiche, specie a livello di tecniche individuali e di squadra. Proprio perché ancora oggi non lascia nulla al caso, quando ci sono manifestazioni giovanili a livello europeo, grazie allo streaming segue ogni gara delle nostre Nazionali. Senza trascurare, ovviamente, le selezioni maggiori, il campionato della Ncaa e i Campionati nazionali dei Paesi vicini e lontani.
Ieri ha seguito le fasi finali dell’Europeo maschile U18 che si è concluso in Turchia: qual è la sua sintesi finale? «Diciamo subito che la finale della divisione A (la Svizzera fa parte della divisione B, ndr) non è stata esaltante, ma ha visto due squadre competere fin quasi all’ultimo canestro, con la vittoria della Spagna sulla Turchia per 67 a 61. Dopo l’eliminazione della Francia, battuta nei quarti di finale dalla Slovenia capace di recuperare 20 punti e di andare a vincere di 15, la Spagna era favorita. Giocare in Turchia davanti a 6’500 spettatori non è scontato, ma gli spagnoli sono stati superiori».
Questo Europeo cos’ha mostrato? «Ha evidenziato che in molti Paesi si lavora molto bene con il settore giovanile, andando a cercare i talenti e facendoli crescere nel modo migliore, tecnicamente e tatticamente. La Turchia ha schierato 9 giocatori oltre i 2 metri, con una media di 202 cm. Lo stesso vale per la Serbia – con 5 giocatori sopra i 200 cm – e la Slovenia con 4. Ma, oltre ai centimetri si è vista tanta qualità tecnica, e sul piano fisico un mondo diverso dal nostro. Le difese, quella spagnola in primis, hanno mostrato grandi qualità, malgrado un metro arbitrale spesso troppo tollerante. Si vedono comunque giovani di 18 anni che sanno stare in campo molto bene».
C’è una squadra che ti ha dato interessanti indicazioni su un possibile futuro evolutivo? «Tutto sommato penso che la Slovenia sia la Nazionale che mi ha impressionato di più. Non è stata la squadra con il miglior potenziale fisico, ma con le scelte tattiche migliori. Un esempio è la gara contro la Francia: non potendo giocare alla pari nel gioco interno, gli sloveni hanno cercato dal perimetro le soluzioni migliori, specie con un’ottima circolazione della palla. Avendo avuto un’ottima percentuale al tiro, hanno battuto i transalpini di un punto, anche perché i francesi si sono dimenticati di continuare a giocare come collettivo».
Della Svizzera cosa possiamo dire? «Noi siamo stati messi alle corde sin dall’inizio della manifestazione e siamo riusciti a vincere due gare contro due altre poverine come Cipro e Irlanda, sfuggendo di un niente alla retrocessione nel Gruppo C, senza mai renderci protagonisti neanche per un quarto di gara».
Differenze abissali? «Direi proprio di sì, un vero mare di differenze fra le squadre della Divisone A e quelle di B e C, al punto che è perfino ridicolo pensare di fare paragoni».
Una Svizzera presente in forze? «Sette giocatori del decantato Centro nazionale e due provenienti dell’Accademia dell’Olympic a fare da ossatura. Finora nessuna squadra giovanile aveva potuto beneficiare di una preparazione simile, se si pensa all’intera stagione giocata dalla formazione del Centro nazionale, diretta da Leyrolle. Eppure, sono stati distrutti su tutta la linea. A questo proposito va rilevato il patetico commento sul sito di Swb, dove il commentatore parla di una squadra che ha disatteso le speranze, prendendo per imbecille chi ha visto le gare. Io ho visto tutte le partite dei nostri: nella prima fase abbiamo incontrato squadre abbordabili, eppure abbiamo raccolto briciole. Ho visto giocatori incapaci di giocare in maniera adeguata sia in attacco sia in difesa, senza giochi a 2 o a 3, senza una tecnica individuale accettabile. Per vincere non basta certo fare qualche passaggio dietro la schiena o palleggiare in mezzo alle gambe».
Un divario incolmabile? «Sicuramente non è con le nostre scelte attuali che arriveremo lontano: mancano qualità nell’insegnamento e persone preparate a portare avanti un settore tecnico sempre improvvisato. I club non lavorano a sufficienza per reclutare possibili futuri giocatori, si viaggia nella nebbia più assoluta. Eppure c’è sempre chi cerca di vendere fumo, anche davanti a situazioni di questo genere. Gestito così, il nostro basket non andrà mai lontano».