BASKET

Ciao ‘Brody’, il tuo Ticino ti ricorda con affetto

L'addio a Ken Brady, popolare cestista che da quand'è arrivato alla Gerra, alla metà degli anni Settanta, ha fatto sognare il popolo del basket

Un fisico imponente, grazia nei movimenti e una forza dirompente che si esauriva in schiacciate senza confini, per la gioia di chi guardava

Ciao Ken, questa volta te ne sei andato davvero da un Ticino che avevi eletto a patria di adozione, e non ho potuto salutarti.

Le altre volte, pur con la certezza mia che dagli States saresti comunque ritornato, avevamo fatto delle feste di addio con gli amici comuni e non, perché il legame maturato in tanti anni di frequentazione era diventato solido e, non per nulla, ti chiamavo “Brody”, fratello. In fondo ci han sempre diviso solo due anni d’anagrafe, ne avresti fatto settanta a novembre.

Quando sei arrivato nel 1974 sei entrato subito nell’immaginario collettivo degli amanti del basket e soprattutto del gentil sesso che non aveva occhi che per te. Avevi al fianco quel Manuel Raga che faceva sognare gli amanti del basket, mentre tu facevi sognare proprio tutti. Avevi un fisico imponente, grazia nei movimenti e una forza dirompente che si esauriva in schiacciate senza confini per la gioia di chi ti guardava. E per chi, come me, ti giocava contro era un qualcosa che inibiva e allibiva, tanta era la forza che riuscivi a esprimere. Ma non sei mai stato uno che se la tirava perché la tua allegria e la tua capacità d'integrarti erano totali. Sai che forse solo il tuo amico fraterno Stich, Hatch, Scheffler, Fillmore e il compianto Kerry Davis si sono integrati nel nostro mondo con lo stesso impatto: dopo poche settimane ti esprimevi in italiano, frutto anche dell’esperienza vissuta un anno a Pesaro, prima meta europea dopo gli Stati Uniti. Ma tu sei stato sempre speciale perché avevi un’altra testa, più consona a uno sport fatto con leggerezza e impegno ma senza quel carattere da super professionista: se tu avessi avuto quel carattere, la Svizzera ti avrebbe conosciuto solo attraverso qualche squadra dell’Nba.

Ma a te è sempre piaciuto vivere la vita, goderti le piacevolezze che il nostro piccolo mondo ti offriva, avere relazioni e condividere momenti felici, perché tanto sul campo non avevi problemi a dominare gli avversari. E, quando qualcuno si affacciava per offuscarti, hai sempre saputo reagire, mostrando tutto il tuo potenziale: epiche le tue sfide con Sanford, galattica quella contro Williams nella partita delle partite, quella giocata a Mezzovico davanti a oltre 3500 persone, la finale di Coppa del tuo Viganello contro il Pregassona.

Federale, Viganello, Momo e poi Bellinzona, dove abbiamo condiviso per un anno la stessa avventura, e dove ho avuto modo di conoscerti e di costruire un rapporto che è durato fino agli ultimi 
attimi passati assieme nella rimpatriata, e anche dopo il tuo ultimo matrimonio. Ho avuto modo di apprezzare quanto amassi i tuoi figli e le tue figlie, seppur sparse nel mondo: quando andasti a seguire tua figlia danese che gareggiava nel canottaggio alle Olimpiadi avevi gli occhi che luccicavano di gioia nel raccontare questi momenti; o quando è nato Marwin e mi mostrasti tutto il tuo orgoglio durante una festa del Ringraziamento. Perché tu eri uno vero, capace delle più grandi cavolate come dei gesti più generosi.

Grazie proprio al tuo buon carattere e alla voglia di rimanere in Ticino, hai accettato di giocare anche in B con il Viganello: quando ti chiesi la disponibilità, ne ero l’allenatore e hai accettato più per amicizia che per quei quattro soldi che c’erano nelle casse: quando conquistammo la promozione in A mi ricordo che eri felice quanto lo eri stato vincendo titoli e coppe, perché averlo fatto con un gruppo di giovani e non, era stata una sfida… quasi impossibile. Poi ci siamo ritrovati l’ultima volta assieme nel Lugano, prima che i tuoi acciacchi fisici ti consigliassero di chiudere col basket.

Ecco allora emergere la tua natura di persona capace ad adattarsi ai cambiamenti: ti sei messo a lavorare come ogni comune mortale… o quasi. Diversi mestieri con grande spirito di adattamento, con quel sorriso ammiccante che, negli anni d’oro, aveva fatto molte vittime, ma non sul lavoro.

E se oggi c’è tutto un mondo di persone della mia generazione e di quella successiva che ti piange è perché la tua umanità, la tua leggerezza nell’affrontare le scelte della vita sono state una sola cosa con quanto tu hai saputo esprimere sul campo da gioco, sin dalla prima volta che sei entrato nella mitica Gerra.

In questi momenti dell’addio i ricordi emergono, anche da molto lontano, ma sono vivi nel mio cuore come credo in tutti quelli che hanno avuto modo di apprezzarti, come persona prima ancora che come sportivo. Nel mio abbraccio il pensiero va anche a tutti i tuoi cari, con grazie per l’amicizia che ci ha accompagnato in questi quarant’anni. Grazie “Brody”.