Sci

Andrej, lo sciatore lituano con sponsor (e cuore) ticinese

Dal Nara e Campo Blenio alla Coppa del Mondo: la storia di Drukarov, 22enne bleniese di adozione che s'allena con Swiss Ski. ‘Di questo cantone amo tutto’

Andrej Drukarov, sciatore lituano che si allena con Swiss Ski
(Ti-Press/D. Agosta)
1 maggio 2021
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Sulla sua giacca sportiva c'è la scritta ‘Lietuva’, nel suo cuore ha stampato ‘Ticino’. È qui che si sente a casa e che, se potrà, resterà sempre. Nato a Vilnius il 10 maggio 1999, Andrej Drukarov ha il sorriso di chi sa come si può stare, dove i motivi per sorridere non sono molti; gli occhi, verdi, che hanno visto scene «che nessun bambino dovrebbe guardare»; l'espressione aperta e al contempo determinata, di chi ha dovuto guadagnarsi ogni passo del percorso che lo ha portato dov'è oggi. 

In un italiano senza un accento nemmeno a cercarlo, racconta di come, da una Paese senza montagne sia arrivato in Coppa del Mondo di sci. Con uno sponsor di Biasca sul casco. «Mia mamma lasciò la Lituania per Como quando avevo un anno. Allora, là, guadagnarsi la vita era quasi impossibile. Io venivo a trovarla sempre in estate. Bei tempi: ero bambino ed ero felice. Ho poi conosciuto Campione d’Italia, dove lei aveva un impiego; e Lugano. E la Valle di Blenio: ci trascorrevamo spesso le vacanze, nell’appartamento del signore poi diventato mio sostenitore, che ha aiutato mia mamma a integrarsi nel mondo del lavoro». È proprio in Valle di Blenio che Andrej muove i primi passi sugli sci. A cinque anni le lezioni con un maestro al Nara («ricordo le risalite attaccato alla manovia») e a Campo Blenio. Il battesimo sulla neve è però stato con gli sci di fondo, seguito da Tauf Khamitov. «Ma non ero un gran talento – ride –, mi piaceva di più lo sci alpino». Si cimenta con lo snowboard e va pazzo per lo slittino: «Provavo tutto, perché adoravo la sensazione di scivolamento e velocità».

Nel 2009 si trasferisce in Svizzera, ad Andermatt, dove la madre trova un'occupazione e dove lui frequenta le scuole dell'obbligo. Attorno agli undici anni si cimenta con le gare dello sci club, «ma ero davvero, davvero scarso. Ero molto acerbo, non sapevo nulla di quel mondo: non conoscevo neanche la differenza tra slalom e gigante. Scendevo e basta; non avevo obiettivi. Rispetto ai miei coetanei sono sempre stato molto indietro. Però miglioravo assai più rapidamente; forse anche perché mi sono cimentato con numerosi altri sport (come il tennis) e strumenti musicali (pianoforte e sassofono). Sono quindi abbastanza coordinato, ciò che credo mi abbia permesso di compiere grandi passi avanti». Cattura l'attenzione di Hans Erni, allenatore obvaldese che si offre di seguirlo privatamente. Arrivano i primi podii e qualche vittoria in gare regionali, «sebbene non sia un fuoriclasse come Marco Odermatt o Semyel Bissig, con cui gareggiavo. Loro stravincevano: si vedeva già che avevano una marcia in più; sia di testa, che di fisico. Facevano ‘paura’». 

Si sposta a Lugano per seguire il liceo e in quegli anni mantiene i contatti con la Valle di Blenio. «Ho continuato a crescere per conto mio, rimanendo nell’ombra. Ho lavorato con un allenatore di Como, sovvenzionato dalla federazione lituana la quale, dai 16-17 anni, ha iniziato a sostenermi. Mi sono preparato molto sulle nevi di Bormio, St. Moritz, Diavolezza, che raggiungevo in treno o con mia mamma. Sciavo anche in estate, a Saas Fee e Zermatt: tanti, tanti giorni».

Andrej è al terzo anno di diritto all’Università di Lucerna. «Ritengo sia una facoltà che conferisce una formazione di base, al giorno d'oggi a mio parere utile. Mi piacerebbe essere una persona con conoscenze ampie». Portare avanti formazione e sport d'alto livello, non è semplice perché entrambi «richiedono tantissima energia. Mi è stato riconosciuto lo status di sportivo di élite, che però non prevede particolari facilitazioni. Ad esempio il 7 gennaio, tra una gara e l’altra, ho dovuto dare un esame in una stanza di albergo in Austria. Non è andato come speravo, ma cerco di andare avanti».

Il clima, la gente e le costine

Negli ultimi anni, pur stando nell'ombra, con lo sci cambia marcia. «Ho fatto una notevole quantità di lavoro, l’estate scorsa sono stato quasi due mesi a Saas Fee. La federazione lituana paga una buona parte dei costi, compreso l’allenatore privato; riesco a coprire le spese grazie ad alcuni piccoli sponsor, ma dovrò trovare più risorse». La svolta arriva nel 2020, quando grazie ai buoni risultati nel circuito Swiss Cup e a un buon ranking, le federazioni svizzera e lituana trovano un accordo e Andrej è integrato nella squadra B élite di gigante in cui beneficia di skiman, preparatore atletico, fisioterapista. «Senza Swiss Ski non sarei mai arrivato dove sono. È un’organizzazione fortissima, che mi sostiene in tutto e per tutto: non mi sono mai sentito trattare diversamente. Ho compiuto un salto enorme; soprattutto nell'ultima stagione in cui abbiamo spinto il gigante così da ben figurare in Coppa Europa». Gigante di cui ama la sensazione della «curva perfetta in conduzione: è spettacolare, come reagisce lo sci e come lo si sente sotto i piedi quando si prende velocità. Ne puoi sfruttare tutta la sciancratura e ti sfionda». I buoni risultati ottenuti lo portano a esordire in Coppa del Mondo, a Kraniska Gora. «Può sembrare tardi, ma il mio cammino è così: un passo alla volta. Essendo il solo lituano, potrei essere al via ovunque; ma non mi va di essere solo un partecipante. Vorrei riuscire a lasciare un segno, per me è anche questione di orgoglio». L'accordo con Swiss Ski è valido anche per il 2021-22, quando correrà i dieci giganti di CdM, i paralleli e le Olimpiadi.

L'arrivo in CdM è la logica conseguenza dei progressi, «che sono il mio vero obiettivo. L'anno scorso puntavo a entrare nei migliori 150 della disciplina». Essere a uno dei cancelletti di partenza che contano, è comunque stata «una grande emozione. In gigante l’asticella è parecchio alta e se sei lì, significa che hai un buon livello. Arrivarci, è stato molto bello; però io voglio vedere le gare come dei passaggi, non degli appuntamenti speciali. Sebbene non mettersi pressione, sia più facile da dire che da fare – sorride –. Anche il lavoro psicologico va allenato e dall’anno prossimo mi avvarrò di un mental coach, con cui migliorare le mie carenze. Ho fatto gare buone, altre le ho buttate via. Voglio cercare continuità: ci sta rischiare, ma non posso fare errori da principiante come a Kraniska Gora, dov’ero partito giù a fuoco e poi sono uscito». Un altro aspetto su cui lavorerà nella pausa estiva è la tecnica, «per correggere degli errori»; poi spazio a tanto sci sui ghiacciai. In Austria prima, sullo Stelvio poi. «Ho bisogno di quantità, in termini di giorni sulla neve. È così che sono arrivato fin qui e non devo mollare. Io non ho una naturalezza innata, quindi devo fare più ore per beccare le traiettorie: nella prima settimana non mi vengono le linee, proprio non le vedo; dopo, trovo l’automatismo. Dovrei anche diventare più preciso e pignolo; insomma, ancora più professionale. Ciò che ho fatto finora, sicuramente ha funzionato. Vorrei avere la forza di tener duro e continuare». In quanto a risultati, mira a qualificarsi per qualche seconda manche in CdM, entrare nei top 5 in Coppa Europa, continuare a progredire in classifica. Se non dovesse riuscire a diventare un campione, è contento di avere scelto d'investirsi nello sport; «perché mi aiuterà nel mio percorso di vita. Io consiglierei a tutti i genitori di farne praticare uno ai figli: è la migliore scuola di vita». 

Oggi vive tra Andermatt e la Valle di Blenio e ha «ottimi rapporti con il signor Devittori. Mi ha sempre fornito i migliori consigli anche per la mia carriera sportiva, la sua ditta è il mio sponsor principale e in una sua stalla ad Aquila in cui teneva le pecore, è stata ricavata una palestra per me». Lituano di nascita, cresciuto tra Svizzera tedesca, Luganese e Nord Italia, è proprio in Val di Blenio che sente di avere le origini. «Lì da piccolo andavo a cercare i sassi o raccogliere funghi, giocavo con i bambini vicini di casa, partecipavo alle sagre di paese. È un luogo pieno di ricordi: se devo pensare all’infanzia, mi viene in mente quella regione, in cui mia mamma e io siamo stati sempre bene accolti. Poi, mi piacciono da morire anche le città. Il Ticino mi piace troppo! Prima di tutto per il clima – ride –; poi per la gente, l’ambiente e pure la cucina. Sembra una cavolata, ma mangiare bene, è bello. È qui che ho scoperto la cultura del cibo ed è stata una delle cose più affascinanti di questa regione. Che belli i weekend in compagnia, attorno a un tavolo, a gustare luganighe o carne alla griglia. E io vado pazzo per le costine! Qui credo di essermi integrato abbastanza bene e di sicuro non lascerò mai la Svizzera».

Tutto un altro mondo – spiega, con l'espressione che si adombra, ma è solo un attimo – rispetto a Vilnius. «Fino a sei anni ho abitato in una casa popolare, uno di quei palazzoni tutti uguali. Nessuno aveva niente. Noi bambini, quando giocavamo, dovevamo stare attenti a non farci male con le siringhe per terra. Sono cose brutte e nessuno vorrebbe che i propri figli vivessero in un ambiente così. In casa eravamo tre in 40 metri quadri: io, mia nonna e la mia bisnonna. Mio papà, che è russo, non l’ho mai conosciuto. Quel vissuto mi fa apprezzare ancor di più cosa ho ora e capire il valore dei soldi. Mia mamma non mi ha mai fatto mancare nulla e una delle più grandi fortune è stato poter venire in Svizzera». In Lituania torna solo una volta all’anno, per sottoporsi ai test atletici obbligatori. «È un Paese che non riconosco più nella sua cultura, nella realtà, persino nella cucina e nel clima; non capisco più i modi di fare della gente. Comprendo molto meglio le battute di un amico ticinese, che non quelle di un lituano». Nei confronti della Lituania prova «rammarico, perché tutta la famiglia è stata costretta ad andarsene. Molte persone hanno lasciato i Paesi baltici in quegli anni, perché i governi non avevano creato dei presupposti affinché ci fossero possibilità lavorative e crescita professionale, specialmente per i giovani. Mi dispiace che la gente non abbia avuto molte alternative». 

Per Andrej quel 'Lietuva' sulla giacca non è facile da portare. «Mi dà fastidio la percezione che c'è là, di me come atleta. Siccome va forte il basket, tutto il resto non è considerato. Gli sportivi delle altre discipline, invece di essere appoggiati, sono criticati perché praticano sport ritenuti inutili. Tutto il contrario di qui, in cui c'è proprio la mentalità di sostenere chi ha un progetto. Tempo fa, ad esempio, avevo fatto una raccolta fondi su 'I believe in you': la maggior parte degli aiuti ricevuti, sono arrivati dalla Svizzera. È affascinante tanta solidarietà per un ragazzo lituano sconosciuto, che potrebbe non vincere mai nulla ad alto livello».

È proprio alla Svizzera – cui sente di appartenere «molto più di quanto il mio cognome faccia pensare» – che questo ragazzo «assai meno lituano di come continuo a essere visto» è immensamente grato: «mi ha dato possibilità, che non avrei mai immaginato; mi ha donato una vita, che non avrei potuto avere altrove». E grato è anche alle persone che lo hanno messo «sul cammino giusto e aiutato nell’integrazione. E a chi ha visto qualcosa in me, che nemmeno io vedevo». Per essere uno che si sente «né di qua, né di là», Andrej ha le idee chiare e i piedi ben piantati per terra. Quella che ha scolpito nel cuore.