Determinazione, simpatia ed esuberanza: incontro con la diciottenne che ha ‘una punta di piede in nazionale’, al suo esordio in Lna con il Lugano
Se Chiara Ammirati fosse una bibita, sarebbe una bevanda effervescente. Di primo acchito calma, quasi timida, diventa un incontenibile flusso di bollicine appena le chiedi di parlare della sua grandissima passione: la pallavolo. Aveva nove anni quando, «dopo aver provato tutti gli sport immaginabili: atletica, equitazione, pattinaggio, attrezzistica», entrò in una squadra di volley amatoriale. Fu un vero e proprio colpo di fulmine, che la diciottenne racconta con gli occhi che brillano, «sebbene la mia non sia una storia particolare». E però, ascoltando questo fiume in piena di ragazza, vien da dirle che non ha bisogno di assomigliare a nessun'altra. Chiara la sua storia la sta scrivendo da sé.
Della pallavolo alla studentessa liceale al quarto anno, opzione specifica biologia e chimica, era piaciuto «che è gioco di squadra e disciplina variata. Nel mio ruolo, ad esempio, devo eseguire molte cose diverse» ed è proprio ciò che fa per lei. Maaaaai (la sfilza di 'a' è la sua), assicura, potrebbe praticare uno sport come quello del fratello maggiore, pure atleta d'élite. «Lui fa canottaggio e a mio parere è un'attività sempre uguale. La pallavolo, per contro, ti pone di fronte a situazioni che cambiano in continuazione. Ci si può preparare o studiare le varie possibilità, ma quel determinato frangente non sarà mai come ce lo si aspetta. Il volley richiede la necessità di adattarsi alle circostanze, alle compagne, alla squadra; il dover fare i conti con una giornata sì o una giornata no, mia o delle compagne».
È uno sport che assomiglia al tuo carattere?
Sì. È esplosivo. Io sono attaccante, posizione in cui la dinamicità è importante. Io sono così: espansiva ed estroversa, a ogni punto devo esultare e mi viene naturale farlo. Nel volley ci sono regole e basi cui attenersi, con cui ci si può destreggiare. Mi spiego: più si va avanti e più si affina la tecnica, si creano i propri movimenti, si sviluppano peculiari punti di forza. Ognuno ha le sue caratteristiche, grazie alle quali può mettere se stesso nel gioco; che sia in attacco, in ricezione o in difesa. La mia maggior risorsa è in fase offensiva, mentre in retrovia fatico. Infatti - sorride - sono soprannominata 'bradipo'. Però dove non arriva una giocatrice, arriva un'altra. È così che funziona una squadra e questo aspetto mi piace moltissimo (dovreste vederla mentre lo dice, ndr). Poter sostenere e viceversa, è pazzesco.
Il volley ti ha aiutata e ti aiuta anche nella vita di tutti i giorni?
Moltissimo. Con le mie amicizie, in famiglia. Io ho tantissimi fratelli -. Tantissimi? - Tre. Però - sorride - sono tanti. Una sorella maggiore, laureata in ingegneria dei tessuti. La pelle, non le stoffe; un fratello più grande, studente di fisica al Politecnico di Zurigo; un fratello più piccolo, apprendista poli meccanico. Nella pallavolo c'è grande rispetto dei ruoli e assoluta mancanza d'invidia tra essi. Ciò mi ha aiutato a riconoscere i meriti altrui senza esserne gelosi e a capire che, nella vita, ognuno ha un suo spazio. Nessuno più importante dell'altro, semplicemente diversi. Io avevo iniziato il liceo scegliendo il percorso classico, sulle orme dei miei fratelli maggiori. Era andata male, non faceva per me. Poi ho trovato una strada che è solo mia.
La tua passione è ereditaria? In famiglia siete tutti così sportivi?
Papà corre maratone e mezze maratone; mio fratello, come detto, è pure sportivo d'alto livello, anche lui in nazionale; mia sorella praticava vela, anch'essa a livello agonistico; mio fratellino atletica, ora ha smesso. I miei genitori non hanno mai fatto competizione; hanno però sempre voluto che noi non ciondolassimo e nello sport vedevano un buon modo affinché noi figli fossimo impegnati. Abbiamo trovato le nostre passioni e loro ci hanno sempre sostenuti nelle scelte. Per ciò che mi riguarda, mi hanno aiutato tanto, ad esempio nella gestione della scuola ma non solo, e lo fanno tutt'ora. Secondo me nella vita degli adolescenti i genitori sono fondamentali, sia per gli studi che per lo sport. Forse senza il loro appoggio e la loro spinta, sempre positiva e mai un peso, avrei smesso di giocare dopo le Medie. Invece sapendo che a loro piaceva e vedendoli felici, non volevo deludere né loro né me. Non mi sono tuttavia mai sentita in dovere di dover continuare con il volley, mai. È sempre stato un piacere.
Come stai vivendo l'esordio in Lna?
Ci arrivo lasciando un pezzo del mio cuore in Prima Lega, in cui ho giocato varie stagioni. Prima del lockdown, nell'ultimo campionato eravamo in testa e avremmo dovuto giocare per la promozione in Lnb. È stata comunque una stagione molto bella. Avevamo dato vita a un 'nostro' mondo e attorno al gruppo si era creato un notevole seguito anche in trasferta. Vedere tanti genitori e amici di scuola appassionarsi a noi, era magnifico. Inoltre si lavorava in un ambiente ottimo, con persone dagli obiettivi comuni e tanta voglia di fare bene. E poi i miei allenatori: top. Prima di iniziare con la prima squadra mi dicevo che, essendo la più piccola, non avrei avuto nulla da perdere tutto da imparare. Quindi il primo pensiero è stato: "Ok, me la gioco".
Quindi non avverti la pressione di dover dimostrare qualcosa?
No, ma io voglio dimostrare (con accento sul voglio, ndr). E un po' sì, sento di doverlo fare - dice, con una dolcezza inversamente proporzionale alla determinazione in sguardo e parole -. Perché amo che la gente si aspetti tanto da me. Mi è sempre piaciuto avere responsabilità. In Prima Lega ero la capitana, ruolo con molti oneri; ma a me piace essere importante per le ragazze. Ora in Lna anche se sono l'ultima ruota, per me è importante avere un posto e guadagnarmelo. Voglio ottenere l'attenzione dell'allenatore e fargli vedere che, sebbene lui sia giustamente concentrato sulle titolari, ci sono.
In Lna non parti tra le titolari e in partita sono previsti fino a sei cambi. Pensi di avere una possibilità di entrare?
Me la guadagnerò - e da come lo dice, c'è da prenderla in parola.
È più grande la voglia di passare tra le grandi, o un certo timore?
La voglia, soprattutto di migliorare, anche grazie alle compagne che mi aiutano parecchio. Inizialmente avevo un po' di trepidazione; soprattutto guardando le ragazze straniere, tutte professioniste, che agli occhi di una giovane possono apparire irraggiungibili. Temevo che potessero pensare che io sono meno impegnata, dato che il liceo non mi permette di prepararmi quanto loro. Invece mi hanno tutte accolta meravigliosamente, hanno capito in cosa consiste il mio impegno scolastico e in campo mi aiutano davvero tanto. Un giorno vorrei essere come queste ragazze - dice d'impulso con un largo sorriso, prima di precisare con altrettanta convinzione che - però, io sullo stesso piano del volley metterò sempre l'istruzione. A luglio ho trascorso un ritiro di un mese con la nazionale, unica ticinese tra giocatrici svizzero-tedesche. È stato molto faticoso: sia per il loro livello di gioco, sia per la lingua. Io sono parecchio estroversa e ho bisogno di parlare, di interagire con le persone. In tal senso, poiché le altre discorrevano solamente in tedesco, per me è stato difficile. Ho comunque assaggiato la vita da professionista e da questo punto di vista è stata un'esperienza positiva. In ogni caso non farò mai solamente pallavolo. Mai mai mai. Arriverà dunque il momento in cui dovrò smettere, perlomeno a un certo livello; ma spero che sia il più tardi possibile.
Come riesci a combinare studi impegnativi come quelli liceali, con la pratica di uno sport d'élite?
Ho sempre seguito una scolarizzazione normale, ma spero che presto in Ticino si creino percorsi formativi davvero a misura di sportivi di élite, sul modello delle Sportschulen della Svizzera tedesca. A differenza mia, le ragazze con cui gioco in Nazionale, possono seguire studi superiori e prepararsi sportivamente molto di più. Io beneficio dell'esenzione da alcune ore quando devo giochiamo in trasferta; altrimenti ho un curriculum come tutti. Avendo iniziato presto con la pallavolo, ho fatto sacrifici e imparato a organizzarmi fin dalle elementari, a maggior ragione lo faccio ora. Ad esempio il venerdì pomeriggio, dopo due ore di matematica, non si va al bar bensì in biblioteca. Guardando più avanti, spero che all'Università (ho già scelto Zurigo) siano previste agevolazioni, com'è il caso per mio fratello. Studente al Politecnico, lui pratica canottaggio a livello agonistico e, essendo integrato nel programma per sportivi d'élite, ha la possibilità di dilazionare gli esami.
Dopo le esperienze con le selezioni nazionali U17 e U19, a maggio di quest'anno è appunto arrivata la convocazione per la squadra élite. Com'è andato il debutto?
Inizialmente la chiamata riguardava un gruppo di giovani, che l'allenatrice voleva vedere. Poi sono stata presa nelle quattordici e ho trascorso un mese di allenamenti; non sono poi stata convocata per l'amichevole in Polonia. Diciamo che sono nel giro della nazionale maggiore, anche se a mio parere mi manca ancora un gradino. Faccio parte del numero allargato di giocatrici, che è di sedici; per una partita se ne possono convocare dodici, quattordici se si hanno due liberi. Mi ritengo perciò con una punta di un piede dentro, tuttavia ai miei occhi, per accedervi completamente, mi manca davvero tanto. Detto ciò, sono entrata in contatto la realtà svizzero-tedesca ed è una differenza enorme. Queste ragazze hanno proprio una mentalità e un modo di lavorare diversi, in palestra non hanno distrazioni. Fanno 'paura' e io, essendo 'casinara', ho avuto qualche difficoltà perché questo tipo di ambiente mi limita. Essere estroversa non è qualcosa che mi distrae, bensì di cui ho bisogno per dare il meglio. Molte volte la mia esuberanza non era ben vista, in quanto percepita come una non totale concentrazione. Magari poi chissà, un fondo di ragione c'è... Dovrei forse riuscire a trovare un equilibrio tra questo aspetto del mio carattere e un atteggiamento più pacato. Un po' l'ho già fatto: quando ero entrata nella U17, ero in seconda o terza media, ero la sola ticinese e la più piccola e sotto questo punto di vista ero davvero un disastro: facevo tanto casino - ride -, mi sa che non mi sopportava nessuno. Con il tempo ho imparato a gestire questa cosa, sebbene faccia ancora un po' fatica a contenermi.
Hai degli obiettivi sportivi?
Ora come ora, uno: ossia giocare a pallavolo più che posso; fino a stufarmi. Perché a me piace proprio tanto (la si vedesse mentre lo dice, le si crederebbe sulla parola, ndr). Voglio fare di tutto affinché non abbia mai, in futuro, dei rimpianti.