La vittoria di Kansas City (31-20 a Miami contro San Francisco) ha un inizio preciso: un lancio da 44 yarde con le spalle al muro
Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Potrebbe sembrare troppo scontato prendere a prestito l’adagio reso immortale da John Belushi in Animal House per spiegare la vittoria (31-20) di Kansas City su San Franncisco nel Super Bowl numero 54. Eppure, la rimonta dei Chiefs ha un down d’inizio ben preciso, un momento topico, a partire dal quale Patrick Mahomes ha preso in mano le sorti della squadra e le redini della partita. Con 7’13” sul cronometro e dopo oltre tre quarti di gioco trascorsi a capire come arginare una difesa dei 49.ers che pareva un fiume in piena, Kansas City si è ritrovata con le spalle al muro: sotto 20-10, di fronte a un 3° e 15 (palla sulle 35 difensive) che sembrava legittimamente insormontabile (un punt avrebbe verosimilmente spento i sogni di gloria), Mahomes ha deciso di iniziare a giocare, sparando un proiettile da 44 yarde atterrato nelle mani di Tyreek Hill. L’intera azione è durata grossomodo 5”, ma ha letteralmente mutato l’inerzia della partita. Quattro down dopo Mahomes ha trovato in endzone Travis Kelce (a 6’17” dalla fine, 20-17)), dando avvio a una rimonta che ha portato i Chiefs ad altri due touchdown (entrambi con Damian Williams), l’ultimo e decisivo a 1’20” dal conclusione: di fatto, 21 punti in 4’53”!
Mahomes, pur senza postare i soliti numeri stratosferici (26 su 42 per 286 yarde, 2 Td, ma anche 2 intercetti), ha vinto il titolo di Mvp ed è diventato il più giovane giocatore (24 anni) a vincere l’Mvp della stagione (2018) e il Super Bowl (2019). San Francisco, che sperava di tornare sul trono della Nfl a 25 anni dall’ultima volta (Kansas City ha dovuto attendere mezzo secolo), non ha demeritato. Anzi, per tre quarti ha tenuto in scacco l’attacco avversario (ha intercettato due volte Mahomes), impedendo al quarterback, mediante un un feroce “pass rush”, di trovare ricevitori in profondità. In attracco coach Shanahan non è stato in grado di sbriciolare la difesa avversaria a suon di corse (86 yarde tra Coleman e Mostert, ma anche 53 dal ricevitore Samuel) e nel finale, una volta sotto, ha dovuto fare affidamento soltanto su Garoppolo. Jimmy G ha fatto quanto ha potuto (20 su 31 per 219 yarde in Td e 2 intercetti), ma le sue qualità non sono quelle di Mahomes. Fin tanto che la difesa è stata in grado di tenere fuori dal campo (o comunque contenere) Kansas City, l’attacco ha potuto mantenere fede al proprio game plan, ma quando Mahomes ha piazzato l’accelerazione decisiva e la difesa si è trovata esposta (il numero 10 ha completato due passaggi cruciali in faccia a Richard Sherman, anni fa membro fondatore della Legion of Boom di Seattle e consdierato tra i più forti corner della Lega), Garoppolo non è riuscito a tenere a galla i californiani.
La differenza tra i due quarterback? Può essere sitentizzata in due sole azioni. Nella prima, quando Kansas City si è trovata con le spalle al muro, Mahoms ha piazzato quel famoso lancio da 44 yarde nelle mani di Hill; nella seconda, a 1’40” dalla fine, con i Chiefs appena passati in vantaggio 24-20, Shanahan ha chiamato un passaggio profondo per Emmanuel Sanders, il ricevitore ha preso in velocità sia il corner, sia il safety, ma la palla di Garoppolo è risultata tre metri troppo lunga, vanificando il tal modo quello che sarebbe stato il touchdown del controsorpasso (probabilmente decisivo). Soltanto tre metri, ma come diceva Al Pacino/Tony D’Amato in “Ogni maledetta domenica”, il football, come la vita, è un gioco di centimetri: e se alla fine la somma dei centrimetri conquistati farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, i centimetri in più o in meno su un lancio decisivo fanno la differenza tra un buon quarterback (Garoppolo) e uno è destinato a lasciare il segno nella storia dello sport (Mahomes).
Domenica sera a Miami, Kansas City ha ribadito quella che negli ultimi decenni è diventata una verità inconfutabile: la buona sorte può sorridere a chiunque, ma per vincere in maniera duratura e consistente l’unica pedina fondamentale è rappresentata da un quarterback al di sopra della media.