Tecnologia

Gestire l’incerto rapporto tra infanzia e tecnologia

Per alcuni è arabo, per altri pane quotidiano. Ma i mezzi informatici sono presenti in ogni ambito della quotidianità, anche quella familiare

Grazie a un uso consapevole e guidato si possono prevenire le cattive abitudini
(depositphotos)

Ormai è quasi Natale, e tra i vari possibili doni molti genitori prendono in considerazione l’idea di regalare ai loro figli un dispositivo elettronico. Un pensiero di solito assai gradito ai più grandi, ma donarlo anche ai più piccoli è cosa saggia?

Ne parliamo con Monica Landoni, Professoressa titolare presso la Facoltà di scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana (USI), che si occupa di interazione bambina e bambino-macchina e da alcuni anni, in collaborazione con alcuni dottorandi intenti a scrivere la tesi, sta compiendo studi con bambini della scuola d’infanzia e delle prime classi elementari, appoggiandosi a maestre di alcune scuole luganesi e alla Biblioteca di Besso.

Una premessa: nel caso di bimbi, è un must ascoltare le indicazioni di pediatri, psicologi e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che consigliano nessuno schermo prima dell’anno e al massimo un’ora al giorno fino ai cinque anni. «Il nostro studio sui piccoli dai tre ai sei anni – racconta Monica Landoni – ha richiesto circa quattro anni e si è concluso da poco. Si è trattato di un percorso per noi molto istruttivo: abbiamo capito che l’uso consapevole e accompagnato della tecnologia può essere assai utile anche in questa fascia di età, poiché aiuta a sviluppare un vocabolario e delle competenze linguistiche e logiche. Ma i bambini non possono essere lasciati soli: gli adulti, genitori e insegnanti, li devono accompagnare passo passo».

Sempre solo se accompagnati

Come in tutte le cose, anche nella tecnologia, con la quale in futuro è impossibile non essere confrontati, è necessario equilibrio, non disgiunto dal buonsenso, con la considerazione che è meglio avere un avvicinamento lento e graduale fin da piccoli piuttosto che un impatto frontale da grandi. Se da una parte è giusto e corretto un naturale istinto di protezione e un certo timore da parte di genitori e maestri, dall’altra si deve considerare che un bambino di adesso non può essere lasciato completamente digiuno di tecnologia.

«Confermo», continua Landoni, «perché ignorarne l’importanza sarebbe un disservizio. Anche per questo abbiamo iniziato il nostro studio con il proposito di aiutare i bambini a sviluppare le loro competenze di pre-lettura. Non è stato facile individuare un percorso, ma con l’aiuto di maestre e genitori abbiamo identificato nel gioco e nella lettura i momenti chiave.

Dato il veto a qualsiasi tipo di schermo, abbiamo creato Robin, un robottino di morbido peluche con tanto di faccia mobile ed espressiva, con una mascherina che mostra le emozioni e che quando parla muove la bocca. Con noi presenti, il bambino rimane a tu per tu con il robot e iniziano a dialogare».

Robin sembra un giocattolo, ma è molto di più

Si tratta di prototipi con all’interno un dispositivo, un cellulare, azionato dall’esterno che parla, fa domande, si interrompe per ascoltare le risposte, incuriosendo tantissimo i bambini che lo considerano un giocattolo. Ma non è così. Il robottino si basa sulla simulazione interattiva di un game book, un libro in cui si possono scegliere le direzioni da prendere, permettendo al bambino di sviluppare anche la logica e la capacità di articolare un concetto. È uno strumento sofisticato che offre supporto alla lettura attiva fatta di domande e risposte tra chi legge e chi ascolta.

La letteratura scientifica afferma che la lettura dell’adulto aiuta il bambino a sviluppare il vocabolario e le competenze logiche di pre-lettura. Gli informatici però sono pragmatici e hanno bisogno di riscontri oggettivi. Ogni fase della ricerca è stata quindi studiata, prendendo in considerazione le domande fatte dai bambini, la loro lunghezza e la partecipazione.

«Parlando con esperti di pedagogia, con esperti di lettura per bambini, con gli insegnanti delle scuole di infanzia, con chi prepara gli insegnanti di scuole dell’infanzia, abbiamo scoperto un mondo – continua la Professoressa – e ci siamo resi conto che a seconda degli scopi che si vogliono raggiungere ci sono delle modalità di lettura bambino-adulto più efficaci di altre. Mamma e papà sono senza dubbio l’opzione migliore per motivare il bambino, ma poiché con il nostro lavoro dovevamo focalizzarci sullo sviluppo del vocabolario e sulle capacità logiche dei bambini, per poterle studiare abbiamo appunto sviluppato il nostro Robin, robot storyteller».

Obiettivi di integrazione

Oggi lo studio è concluso, ma ha avuto una sua continuazione, nella loro lingua, con bambini portoghesi della scuola dell’infanzia che hanno apprezzato moltissimo il robottino.

A loro è stata mostrata anche la versione evoluta di Robin, un morbidissimo Octopus, un polipo sempre di peluche, comprato in un grande magazzino e adattato pure lui, con lucine a ogni tentacolo, che già aveva fatto innamorare gruppi di bambini svizzeri. Una versione usata, grazie alla Croce Rossa luganese, anche con un gruppo misto di bambini ucraini più grandi per aiutarli a imparare l’italiano.

«In questo caso – continua la Professoressa – per raggiungere l’obiettivo abbiamo usato alcune storie di Gianni Rodari, più brevi, contando soprattutto sulla parte emotiva, perché avevamo notato che non capendo probabilmente tutte le parole, i bambini impazzivano invece per le espressioni, per i cuoricini e i sorrisi».

Sonno, sport e tecnologia

Riprendendo il discorso “regalo di Natale”, Monica Landoni afferma che, partendo dalla terza o quarta elementare, un computer può essere una buona idea. Ma non da usare da soli. Ci vuole la supervisione dei genitori, che aiutino i figli a capirne il funzionamento e provvedano a installare le applicazioni adatte alla loro età, mettendo tutti i filtri necessari.

«Avere un computer per fare ricerche a scuola, magari scrivere il proprio diario, o fare attività creative – continua Landoni – è un’ottima cosa. Può essere un computer, magari in comproprietà con un fratello o una sorella, o un tablet che si può portare anche a scuola in caso si debbano fare ricerche in classe. Ci sono tantissimi programmi didattici che si possono usare, ad esempio esercizi di matematica e geometria, con alcune figure che si possono vedere anche in 3D.

È vero però, che più i ragazzi crescono più vogliono usare i giochi. Ce ne sono di utili e di dannosi. Bisogna considerare soprattutto se sono adatti all’età. Esistono giochi di ruolo in cui c’è una strategia, o anche quelli di simulazione, che hanno un’ottima funzione di insegnamento e fanno benissimo al cervello, mentre quelli che creano dipendenza e fanno entrare in una spirale di violenza sono dannosi oltre che inutili».

La tecnologia legata a cellulari, smartphone, computer, tablet, giochi elettronici, monitor interattivi, per i più grandi, gli adolescenti, è oggetto attualmente di un preoccupato dibattito anche a livello internazionale e si iniziano a vedere interventi, consigli ma anche divieti e blocchi. «Il fatto di proteggere va benissimo ed è giusto – conferma Landoni – ma io penso soprattutto a una “dieta mista” includendo nella giornata anche altre cose, lo sport per primo, ma anche ottimali ore di sonno.

Perché la tecnologia c’è, non è l’unica via, ma in ogni caso non solo c’è ma ci deve essere, e più informato sei, meglio è. Certo, ci vuole un controllo da parte degli adulti e devi avere qualcuno intorno che ti aiuti a essere informato».

Insegnare, dialogare, contrattare e decidere

Un ruolo che al momento spetta soprattutto ai genitori, perché nelle scuole ticinesi l’informatica è vista soprattutto come strumento per l’insegnamento trasversale, da usarsi come supporto per altre attività didattiche.

«La mia esperienza con i docenti è che loro hanno tantissima voglia di imparare e di portare in classe le tematiche che riguardano la tecnologia, ma spesso si sentono in difetto perché la loro formazione è solitamente fatta in modo autonomo, cosa che succede spesso anche ai genitori, e pensano di non essere sufficientemente preparati, temendo che alcuni alunni ne sappiano più di loro».

La verità è che molti ragazzini sanno giusto “smanettare”, pensano di sapere ma mancano loro le competenze profonde e se non c’è chi gliele fornisce, in futuro potrebbero avere problemi.

L’ultimo punto da considerare riguarda il tempo che i ragazzi passano con gli strumenti tecnologici. Di tutti i tipi. «Esperti di psicologia raccomandano di non porre divieti tassativi sulle ore passate per svago al computer o altro; di instaurare piuttosto un dialogo a mente fredda con i diretti interessati, chiedendo cosa li attira e perché piace loro farlo.

E proporre poi un vero contratto che ne definisca tempi e usi, tra puro svago ed educazione, alternando però studio, lettura di libri, sport o altre attività» conclude Monica Landoni.

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