laR+
logoBol

I genitori pubblicano troppo i figli sui social ed è rischioso

Uno su 10 mette regolarmente online immagini e video dei bambini. Si chiama sharenting ed è pericoloso. La campagna di Protezione dell'infanzia

‘Condividi momenti, non fotografie coi figli’ (Protezione dell’infanzia Svizzera)

Uno su 10 mette regolarmente online immagini e video dei bambini. Si chiama sharenting ed è pericoloso. La campagna di Protezione dell'infanzia

11 luglio 2024
|

In un tempo che oggi pare remoto, i momenti speciali si immortalavano con l’altrettanto preistorica pellicola e finivano appiccicati in formato per lo più 10x15 sulle pagine degli album. Sfogliare il raccoglitore con le fotografie più recenti del pargolo di casa, era un passaggio quasi obbligato per parenti e amici volenti o nolenti. Quale genitore non ha mostrato con orgoglio ed emozione le immagini stampate, magari su carta lucida, dei primi vagiti, dei primi sorrisi, delle prime pappine, dei primi passi dei propri figli? Frammenti di vita fermati in uno, al massimo due scatti (ché la pellicola li aveva contati a 24 o 36, precisazione a beneficio delle nuove generazioni), che rimanevano privati o tutt’al più finivano inquadrati in una cornice sul buffet o sulla parete dei nonni.

Poi è arrivata la digitalizzazione, poi sono comparsi i social. Gli album sono entrati (potenzialmente) in ogni casa del pianeta. Il primo giorno di scuola, la passeggiata in montagna, il dentino perso o la sbucciatura cadendo in bicicletta, la prima comunione; ma anche situazioni più intime o male interpretabili (un capriccio, il costumino involontariamente perso uscendo dal mare, un cono gelato mangiato con gusto) possono essere viste online davvero da tutti. E non tutti sono armati di buone intenzioni.

In Svizzera un genitore su dieci posta regolarmente online immagini dei propri figli; e a farlo sono soprattutto i genitori più giovani È ciò che si evince dalla recente rilevazione condotta dall’Università di Friborgo su incarico di Protezione dell’infanzia Svizzera. Si chiama ‘sharenting’ – da ‘to share’ (condividere) e ‘parenting’ (genitorialità) –, espressione che indica la pubblicazione in Internet, da parte dei genitori, di fotografie o video privati dei loro figli, rendendoli così accessibili a un vasto pubblico. Al fine di sensibilizzare sui pericoli di questa pratica spesso eccessiva, Protezione dell’infanzia ha lanciato la campagna online “Condividi momenti, non fotografie coi figli”.

Genitori giovani dal clic più facile

Per la prima volta, la Svizzera dispone di cifre concrete sullo ‘sharenting’. L’indagine è stata condotta sentendo 1’605 mamme e papà sul loro comportamento in merito alla condivisione di immagini e video dei figli. Le risposte date indicano come la frequenza con cui i genitori pubblicano, dipende molto dalla loro età così come dall’età dei figli. Tra chi posta a cadenza settimanale, circa un terzo ha meno di 35 anni e la metà ha tra i 36 e i 40 anni. In generale, i genitori più giovani hanno figli più piccoli; ciò spiega perché le immagini o i video di bambini piccoli sui social siano condivisi in misura assai maggiore rispetto al materiale che ritrae bambini più grandi.

Un altro dato emerso dall’analisi dell’Uni Friborgo è la percentuale dei genitori che non chiedono l’autorizzazione ai propri figli prima di postare le foto: il 45% di mamme e papà ammettono di non domandano il consenso, non rispettando in tal modo la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia che (all’articolo 16) sancisce il diritto alla sfera privata per i bambini. La stessa Convenzione garantisce pure il diritto alla propria immagine e quello all’autodeterminazione. In altre parole: senza consenso dei figli, i genitori non possono postare nulla. Mamma e papà devono inoltre capire se il bambino disponga della necessaria competenza in tema di media e se sia in grado di immaginare estensione e profondità di Internet, che nel mondo sono circa 5 miliardi. Come peraltro molti adulti, i piccoli non riescono a figurarsi quante persone abbiano la possibilità di vedere una sua fotografia. Quando la pubblicazione o meno riguarda un neonato, i genitori devono essere consapevoli che il diritto all’autodeterminazione può venire richiesta anche con effetto retroattivo.

Migliori intenzioni, peggiori conseguenze

‘Condividi momenti, non fotografie coi figli’ è lo slogan della campagna online con cui Protezione dell’infanzia Svizzera punta i riflettori sui rischi insiti nel postare foto di bambini. Per quanto fatta con le migliori intenzioni, la condivisione sui diversi canali da parte di genitori, nonni o altri cela pericoli di cui molti non sono completamente consapevoli. Le insidie dietro un post, che non richiede particolare dimestichezza informatica e per il quale bastano pochi e semplici clic, possono avere conseguenze anche pesanti. Dall’impossibilità di tracciare le fotografie una volta pubblicate all’identità digitale involontaria dei bambini, dal cybergrooming o sextortion al possibile utilizzo delle immagini per azioni di (cyber)bullismo fino all’arrivo nel darknet, nella peggiore delle ipotesi. Fuor di tecnicismi, in rete – si legge sul sito della fondazione – v’è chi cerca “in modo mirato foto di bambini e che ne fanno un uso indebito per contesti sessuali. Gli scatti sono poi diffusi tra persone con interesse di carattere sessuale verso i più piccoli”. Può capitare che una semplice immagine fatta al parco giochi “serva come materiale pornografico su Facebook e venga diffusa cento, perfino mille volte e circoli all’infinito su Internet”. Un girare per sempre che inquieta: in base a un’analisi citata da Protezione dell’infanzia (James-Studie 2022), infatti, “il 35% dei giovani tra i 12 e i 19 anni si preoccupa della visibilità delle informazioni personali sui social”.

Un ulteriore aspetto che può essere problematico, al quale spesso si pensa poco, è quello delle foto imbarazzanti; immagini che possono mettere in ridicolo un bambino per tutto il tempo in cui si diffonderanno in rete. Ma anche gli scatti più innocenti – mette in guardia Protezione dell’infanzia – possono venire rielaborate digitalmente. Internet “potenzia i tradizionali rischi dell’età infantile e giovanile, come il mobbing. Sul web, fenomeni sociali non nuovi e già ben noti possono avere effetti ancora maggiori”. Un ulteriore rischio, in particolare se i figli sono sui social media con un loro o più profili, è il cosiddetto cybergrooming (la molestia per mezzo di una serie di messaggi privati): persone difficili da riconoscere (tanto dai giovani, quanto dagli adulti) contattano in maniera mirata dei bambini, per stabilire con loro un rapporto che vogliono improntato alla sfera sessuale. Se un giovane, insieme alla foto, pubblica pure dati sensibili (luogo di domicilio e altri), “nel peggiore dei casi questi soprusi possono avvenire anche nella realtà”.

Protezione dell’infanzia Svizzera/Uni Friborgo/Infografica laRegione‘Condividi momenti, non fotografie coi figli’

In un tempo nemmeno così lontano che oggi pare remoto, un genitore riusciva ad avere un controllo delle immagini dei propri figli: una copia cartacea regalata ai nonni, una agli zii, magari una agli amici e lo scatto del bagnetto con la schiuma sui capelli o del simpatico broncio rimaneva entro una cerchia ristretta e in mani fidate. Oggi una volta caricate, di istantanee e filmati con cui si vuole fissare progressi e crescita dei bimbi, “non si può sapere l’uso poi fatto”. Vuoi perché è difficile capire se e da chi sono ricondivisi su altre piattaforme; vuoi perché “l’intelligenza artificiale (Ia) incrementa il rischio di modifiche inappropriate”. Tra i contenuti di violenza sessuale su bambini già emersi sul web e generati con l’Ia, “alcuni si basano in parte su foto vere” di giovanissimi. Una delle conseguenze è il sextortion, ossia il ricatto a bimbi o adolescenti (o a mamma e papà) mediante immagini di nudo (dei figli o di un genitore) “prodotte artificialmente da qualcuno che si è servito delle informazioni liberamente accessibili”.

Violazione della privacy dei bambini, mobbing, bullismo, cybergrooming e via elencando. Lo sharenting, dunque, può essere all’origine di conseguenze anche serie per i soggetti più fragili che corrono il rischio di subirne gravi ripercussioni. Dalla “perdita di fiducia nei confronti degli adulti per avere visto ignorati i propri diritti per anni, alle tensioni psicologiche per avere ricevuto un’identità digitale involontaria, che li accompagnerà fino all’età adulta”. Genitori o rappresentati legali – evidenzia la fondazione Protezione dell’infanzia Svizzera – devono “essere consapevoli, del fatto che il loro comportamento nel mondo digitale può avere strascichi importanti sulla vita dei figli”. Proprio come nel mondo vero, dove i pericoli virtuali si rivelano problemi reali.

Come muoversi in rete

Cosa fare, cosa no

Per mettere al primo posto il bene del bambino – come prevede la citata convenzione Onu, tra i cui principi fondamentali c’è il diritto alla salvaguardia dell’interesse superiore del minore –, Protezione dell’infanzia Svizzera suggerisce quattro misure da adottare Uno: salvaguardare la privacy; impostando gli account su ‘privato’ così che solamente i propri follower possano vedere immagini e video postati (va comunque tenuto presente che è possibile fare degli screenshot e diffonderli). Due: mantenere l’anonimato; evitando di rivelare informazioni importanti come nome, età, residenza, scuola (o tragitto casa-scuola) del figlio; un ulteriore consiglio è quello di non rendere visibile il volto del minore sui social. Tre: sviluppare la competenza mediatica; informandosi regolarmente sulle novità di Internet e sui social, al fine di sviluppare le proprie conoscenze come pure educare con maggiore consapevolezza i figli all’uso di questi strumenti. Quattro: stabilire linee guida da comunicare a famigliari e amici, su come si possano utilizzare video e foto dei propri figli.

Pensare, prima di pubblicare

Prima di cliccare su ‘pubblica’, potrebbe essere utile porsi alcune domande utili a comprendere se, mettendo in rete una data immagine, non si violi il diritto per i bambini alla loro sfera privata (*in fondo, le risposte che ci si dovrebbe dare): ho il diritto/il consenso di utilizzare l’immagine?; il bambino è esposto a qualche rischio a causa della foto (ad esempio con la pubblicazione da parte della scuola o dell’associazione sportiva o di altri dati personali)?; il bambino potrebbe essere danneggiato o umiliato a causa della fotografia?; nell’immagine, il bambino viene mostrato in una situazione intima (mentre piange, dorme, fa i capricci, è in bagno eccetera) o perché è nudo o presentato in una posa che potrebbe essere ritenuta non innocente?; il bambino è riconoscibile (di fronte, il viso)?; se fossi io quello nella foto, avrei piacere che fosse mostrata così com’è sui social media?

Se a questi interrogativi, esclusi il primo e l’ultimo, è possibile rispondere con un chiaro * (vedi sotto) e nonostante tutto non si volesse rinunciare a pubblicare online, resta un’ulteriore domanda importante: cosa implica per il bambino la mia decisione di condividere questa fotografia sui social media? Il bambino ne beneficia in qualche misura o sono solo io a soddisfare le mie esigenze?. Così come nella vita reale, tanto più nello spazio virtuale – ricorda Protezione dell’infanzia Svizzera – “i genitori vogliono tutelare i propri figli dai pericoli” e se nella vita ‘vera’ spesso bastano le raccomandazioni di sempre (non parlare con gli sconosciuti, essere particolarmente prudenti quando si attraversa la strada e via dicendo), nel mondo digitale le cose possono “rivelarsi molto diverse proprio. Ed è compito della società analizzare” gli eventuali problemi “e mantenere alta l’attenzione”. Perché nessun bambino può proteggersi da solo.

* sì, no, no, no, no, sì