Il computer utile a capire meglio i ‘circuiti’ del nostro corpo e aiutarci a controllare e combattere infezioni e malattie
Unire conoscenza biomedica, principi matematici, informatica e potenza di calcolo dei computer per studiare problemi medici complessi e contribuire a migliorare la diagnosi e il trattamento delle patologie. È questa l’essenza della cosiddetta medicina computazionale. Un esempio? Analizzare il corpo umano come se fosse un social network su cui le cellule comunicano, o ancora monitorare l’andamento di una malattia cronica facendo scattare "allarmi" automatici. Ne parliamo con un giovane ricercatore, Diego Ulisse Pizzagalli, attivo in questo campo all’Usi presso l’Istituto Eulero (Eul) e l’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb). E lo facciamo partendo da… capelli e calzini.
Diego, cosa c’entrano capelli e calzini con la matematica e l’informatica applicate alla medicina?
Immaginiamo di voler sapere se in Ticino esistano due persone che hanno lo stesso esatto numero di capelli. Dovremmo prendere tutte le persone che abitano nel cantone e contare loro i capelli, un’impresa di fatto impossibile. Ecco allora che possiamo affidarci alla matematica. La matematica ci fornisce infatti il cosiddetto "teorema dei cassetti", che dice: "Se devi mettere 4 calzini in 3 cassetti, allora sicuramente in un cassetto metterai almeno due calzini". Ovvero, se hai più calzini che cassetti, allora in un cassetto ce ne sono sicuramente almeno due. In Canton Ticino ci sono circa 350’000 persone. Dagli studi condotti in passato sul cuoio capelluto, si sa che una persona ha fino a 150’000 capelli. Immaginiamo ora di avere tanti cassetti numerati da 0 a 150’000 e di metterci all’interno le persone in base al numero dei loro capelli. Essendo gli abitanti del Canton Ticino in numero maggiore rispetto a quello dei cassetti, sicuramente ce ne saranno almeno due nello stesso cassetto. Quindi la risposta alla nostra domanda è sì, in Canton Ticino esistono due persone con lo stesso numero di capelli e, grazie alla matematica, abbiamo risposto senza dover contare i capelli a nessuno. La medicina computazionale applica principi e teoremi simili per studiare fenomeni più complessi, come la propagazione di segnali elettrici nel cuore o tra i neuroni, o l’interazione tra un farmaco e il suo bersaglio, o ancora l’interazione tra globuli bianchi, microbi e tumori.
Proprio i globuli bianchi sono stati oggetto del tuo dottorato di ricerca. Com’è nato e che cosa ha indagato?
Diciamo che mi sono sempre piaciuti i circuiti. Ho iniziato studiando elettronica e informatica e dunque i circuiti all’interno del computer. Poi ho scoperto dei circuiti ancora più interessanti, quelli all’interno del nostro corpo, grazie ai quali le cellule si scambiano dei segnali. Nel dottorato mi sono dedicato in particolare a studiare i movimenti e le interazioni dei globuli bianchi, con un progetto svolto in collaborazione tra i gruppi del professor Rolf Krause (Eul) e del dottor Santiago Gonzalez (Irb). I globuli bianchi sono cellule del sistema immunitario che ci difendono da infezioni e tumori. Per farlo si avvalgono di strategie di difesa precise e coordinate. Ad esempio, quando viene rilevato un "nemico", come un virus, alcune di queste cellule possono formare un plotone per circondare il virus, isolarlo e distruggerlo, oppure altre cellule trasportarlo in specifiche aree dove verranno prodotti anticorpi. All’Irb a Bellinzona abbiamo uno dei microscopi più potenti al mondo, che ci permette di vedere i globuli bianchi muoversi e interagire all’interno di organi e tessuti. Abbiamo registrato video in diverse condizioni – malattie infiammatorie, infezioni o modelli tumorali – dove i globuli bianchi si muovono parecchio. Abbiamo quindi esaminato le traiettorie seguite dai globuli bianchi per capirne meglio il comportamento e visto, per esempio, nelle prime ore a seguito di un’infezione virale, globuli bianchi andare rapidamente verso un’area ben precisa nei linfonodi dove poi formavano veri e propri aggregati per accerchiare il virus e rimodellare il tessuto.
Ed è qui che entra in gioco l’informatica.
Immaginiamo di seguire il movimento di migliaia di cellule, che si incontrano, comunicano e vanno verso direzioni diverse. A occhio nudo è interessante, ma molto difficile. Per questo mi sono specializzato nell’applicare la teoria delle reti, un approccio matematico che di solito si usa in informatica per analizzare la comunicazione tra computer su internet. In pratica consideriamo il corpo umano come una grande rete, una sorta di social network su cui le cellule interagiscono, si scambiano messaggi, formano gruppi. Rappresentiamo le cellule come punti e grazie all’intelligenza artificiale insegniamo al computer a riconoscere determinati tipi di connessioni tra i punti. Il computer memorizza questi esempi e ne tiene conto per scoprire altre connessioni simili che noi non riusciamo a vedere. In questo modo possiamo capire meglio quali siano le strategie di difesa messe in campo dai globuli bianchi e usare queste informazioni per sviluppare o testare terapie che rendano queste strategie ancora più efficaci.
Questo approccio è applicabile anche in altri contesti?
Si sa che la matematica è in un certo senso universale. La particolarità del metodo che abbiamo sviluppato è che è in grado di raggruppare punti tra di loro, di dire perché li ha raggruppati e accettare suggerimenti su come raggrupparli. È quindi una sorta di intelligenza artificiale "parlante", che mostra risultati interessanti già a partire da pochi esempi che le vengono sottoposti. Abbiamo quindi applicato questo metodo anche in altri contesti, come per l’analisi di elettrocardiogrammi dinamici (dove il metodo è riuscito a rilevare diversi tipi di aritmie), ma anche dati genomici (dove il metodo ha trovato tre gruppi di pazienti con tre forme diverse di leucemia).
Un altro campo in cui l’intelligenza artificiale, con la sua capacità di individuare schemi in una massa di dati, può aiutare i nostri medici è il monitoraggio delle malattie.
Sì, e uno dei progetti su cui stiamo lavorando va proprio in questa direzione. Il professor Andrea De Gottardi, primario di gastroenterologia all’EOC e professore all’USI, è venuto a conoscenza delle ricerche sulle traiettorie dei globuli bianchi. È bastato diminuire lo zoom e anziché considerare come punti le cellule, considerare come punti i singoli pazienti. In questo modo ha avuto inizio uno studio pilota in cui cerchiamo di capire le diverse traiettorie seguite dai pazienti con malattia epatica cronica. Una persona che soffre di una malattia cronica del fegato in fase avanzata può andare incontro a uno svariato numero di complicazioni, che possono essere letali se non vengono rilevate in tempo. Quello che cerchiamo di fare è anticipare queste complicazioni usando dati raccolti tramite smartwatch. Dato che ogni persona è diversa e le complicazioni sono numerose - ad esempio sanguinamenti, infezioni o problemi neurologici - è molto difficile capire quando queste complicazioni stanno per avvenire. Le tecniche computazionali possono indicarci quali sono le principali evoluzioni della malattia e grazie a dispositivi indossabili come gli smartwatch è possibile offrire un controllo più dettagliato e continuo rispetto alle misurazioni fatte in ambulatorio. Questo permetterà di identificare segnali di pericolo in modo precoce, perché possiamo sapere subito quando qualcosa cambia rispetto ai valori abituali di una persona.
In che cosa in particolare una medicina "datizzata" e "informatizzata" può essere una medicina migliore?
Nella ricerca medica di laboratorio i dati raccolti da tantissimi ricercatori possono essere analizzati e combinati tra di loro da metodi di intelligenza artificiale per trarre nuove scoperte. Si parla in questo caso di "data-driven research", ovvero ricerca pilotata dai dati, in cui i dati "parlano". In questa direzione, sostenuti dal Fondo nazionale svizzero, abbiamo lanciato il progetto IMMUNEMAP, che raccoglie centinaia di registrazioni al microscopio provenienti da una rete internazionale di laboratori. Quanto agli usi clinici, oltre al caso specifico delle malattie epatiche, esistono tantissime applicazioni per monitorare la salute. Dai passi svolti alle ore di sonno fino alla frequenza cardiaca, ossigenazione, temperatura corporea e movimenti svolti. L’interpretazione dei dati raccolti da queste applicazioni non è scontata e soprattutto è totalmente nuova. Mai nella storia sono stati raccolti così tanti dati. Oltre alla messa a punto degli adeguati strumenti informatici è quindi necessaria la formazione di nuove figure professionali che siano in grado di avvalersi della medicina computazionale per analizzare questi dati in modo da rispondere alle esigenze del paziente. In questo senso mi piace affermare che vale il detto "tutti per uno, uno per tutti". I dati raccolti da tanti pazienti permettono una cura migliore per il singolo paziente. Uno dei fronti a cui la medicina computazionale può sicuramente dare un importante contributo è rendere ancora più precisa e personalizzata la cura del singolo.
L’intelligenza artificiale finirà per sostituire il medico in "carne e ossa"?
L’intelligenza artificiale ha aperto una nuova frontiera della medicina, migliorando la diagnosi e la cura di tantissime malattie. Tuttavia è bene sottolineare che l’intelligenza artificiale non è una maga che indovina ogni cosa: può produrre risultati completamente errati se usata in modo non appropriato. Allo stesso modo spesso i computer vengono considerati come degli "schiavi" a cui delegare il lavoro pesante e ripetitivo per noi umani. Se lasciamo lavorare i computer completamente da soli, ci possiamo perdere qualcosa di interessante che magari emerge durante analisi ripetitive di dati. Credo dunque che l’intelligenza artificiale debba essere vista come un membro dell’équipe multidisciplinare per la presa in carico del paziente. Una sorta di "medico virtuale" a cui si possono delegare dei compiti, ma con cui gli altri professionisti della cura si possono interfacciare e scambiare informazioni.
Con la collaborazione di Stella N’Djoku. Una rubrica a cura di