SCIENZA E MEDICINA

Nuovi orizzonti per il Parkinson

Le nuove ricerche in Ticino indagano i meccanismi biologici della malattia per riuscire a comprenderla e possibilmente curarla

Dr.ssa Elena Vacchi, ricercatrice post-doc nel Laboratorio per le Malattie Neurodegenerative
(Neurocentro della Svizzera Italiana)

In Svizzera, come in altri Paesi europei, le malattie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer o la malattia di Parkinson, rappresentano, dopo l’ictus, la patologia più frequente dell’anziano, e hanno l’impatto più rilevante sulla qualità di vita. Il rischio di queste affezioni aumenta con l’età. Le prime manifestazioni, come ad esempio il rallentamento motorio nella malattia di Parkinson, o il disturbo della memoria nella malattia di Alzheimer, iniziano in modo subdolo e progrediscono con il passare degli anni. Sono state definite "malattie neurodegenerative" poiché si caratterizzano per una perdita o "degenerazione" di cellule nervose senza un’apparente chiara causa, come un’infezione oppure un ictus. Malgrado le decine di anni di ricerca scientifica nel campo, siamo tutt’oggi ancora lontani dal poter offrire un rimedio per guarire queste malattie, in quanto i tanti trattamenti proposti finora spesso non hanno potuto mantenere le loro promesse. D’altro canto diverse osservazioni hanno dimostrato che abitudini di vita sana, come ad esempio un’alimentazione corretta e un’attività fisica regolare, possono ridurre il rischio di sviluppare tali patologie. Nonostante l’assenza di una cura, ci sono stati enormi progressi a livello scientifico per capire meglio perché le cellule nervose iniziano ad ammalarsi. Ora sappiamo ad esempio che il nostro cervello deve eliminare le proteine cellulari complesse che non funzionano correttamente. Il nostro cervello è infatti dotato di diversi meccanismi di "pulizia" che permettono l’eliminazione di questi "rifiuti" proteici. È stato scoperto che in tutte le malattie neurodegenerative si verifica un accumulo di proteine alterate e si pensa che sia proprio tale accumulo a provocare lentamente la morte delle cellule nervose. Ciò può essere paragonato a una città dove il servizio di raccolta dei rifiuti non funziona più e il conseguente accumulo d’immondizia porta al blocco dell’intera rete viaria. La causa primaria rimane tuttavia sconosciuta e, anche se ci sono dei fattori genetici ereditari che giocano un ruolo, nella maggioranza dei casi, essi, da soli, non sono sufficienti a causare la malattia.

La malattia di Parkinson

Tra tutte le malattie neurodegenerative, al momento la malattia di Parkinson è quella la cui frequenza sta aumentando maggiormente, mentre, fortunatamente, la malattia di Alzheimer cresce in misura lievemente minore rispetto a quanto previsto qualche anno fa. Spesso quando si pensa alla malattia di Parkinson si pensa ad una malattia che provoca principalmente tremore. In realtà, il tremore è presente in solo la metà dei pazienti, mentre il sintomo principale è il rallentamento motorio. Inoltre sappiamo oggi che le persone con malattia di Parkinson presentano anche sintomi non-motori, ad esempio una diminuzione dell’olfatto o disturbi dell’umore come la depressione. La grande varietà dei sintomi e il fatto che spesso inizialmente sono lievi fanno in modo che spesso il paziente debba aspettare tanto tempo prima di avere la certezza della diagnosi.


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Il tremore è solo nel 50% dei casi

La degenerazione delle cellule chiamate "dopaminergiche" è in particolar modo responsabile per la comparsa dei sintomi motori. Oggi questa specifica degenerazione può essere misurata tramite esami di medicina nucleare, che permettono la conferma della diagnosi nei casi dubbi. Tuttavia nella maggioranza dei casi la diagnosi si basa sui sintomi clinici. Nonostante oggi ci siano ottime medicine e trattamenti anche non farmacologici per migliorare i sintomi e assicurare una buona qualità di vita nel corso degli anni, per questa malattia non esiste attualmente una cura che permetta di guarire o di arrestarne il decorso. Come per le altre malattie neurodegenerative, nei cervelli dei malati è stata dimostrata la presenza di accumuli di una proteina chiamata "alfa-sinucleina". Tuttavia, non è chiaro se sia veramente e unicamente questo accumulo a provocare la degenerazione delle cellule cerebrali o se ci siano altri fattori più a monte e l’anomalia legata alla proteina sia solo un fenomeno associato. Infatti, nonostante ci siano diversi studi clinici che mirano all’eliminazione degli accumuli proteici tramite l’uso di anticorpi specifici, i risultati al momento sono piuttosto deludenti.

La necessità della ricerca traslazionale

La ricerca scientifica dedicata a capire e a trattare le malattie neurodegenerative è confrontata con numerose e difficili sfide, in quanto non è possibile visualizzare e identificare direttamente nel cervello del paziente le alterazioni in corso, soprattutto in fase precoce, quando i farmaci potenziali potrebbero essere più efficaci. Anche se ci sono diversi modelli animali che permettono d’indagare parzialmente la patologia, non ne esiste nessuno che rifletta esattamente l’intera patologia umana. Per esempio, si utilizzano topi con un difetto genetico, o culture di cellule neuronali, ma tutto ciò permette di analizzare soltanto aspetti parziali e non è sufficiente al fine di avere una visione globale della malattia e delle sue cause nell’essere umano. Negli ultimi anni è stata molto sviluppata la ricerca chiamata "traslazionale", nel tentativo di correggere i limiti di una ricerca di base eseguita solo con modelli animali o cellulari troppo lontani dall’essere umano, e dall’altra parte di una ricerca clinica con i pazienti, ma spesso solo osservazionale che non permette di capire i meccanismi biologici e cellulari sottogiacenti. Per la ricerca sulla malattia di Parkinson, questo vuol dire studiare nel paziente i meccanismi biologici coinvolti, utilizzando tessuti malati accessibili o prelievi di sangue ed eseguire indagini mirate e approfondite in laboratorio, utilizzando metodologie sofisticate e all’avanguardia. Per effettuare questo tipo di ricerca è importante avere un’ottima collaborazione e comunicazione tra i medici che assistono i pazienti ed i ricercatori di laboratorio. Con la convinzione che questo approccio sia il più promettente nel riuscire a trovare una cura alla malattia di Parkinson, il "Neurocentro della Svizzera italiana" dell’Ente Ospedaliero Cantonale (Eoc) ha aperto dieci anni fa il primo laboratorio di ricerca traslazionale Eoc. Dal 2021 questo laboratorio è situato al Bellinzona Institutes of Science (Bios+), insieme agli altri Laboratori di Ricerca Traslazionale dell’Eoc, in cui lavorano due gruppi di ricerca in neuroscienze sotto la direzione della Pd Dr. med Giorgia Melli e del Prof. Paolo Paganetti. Questi laboratori del Neurocentro collaborano strettamente con il personale clinico e con i pazienti, che generosamente accettano di partecipare agli studi scientifici.

Un ruolo per l’infiammazione?

Il gruppo della Pd Dr.ssa Melli, avvalendosi di un metodo innovativo, ha identificato nel sangue di pazienti affetti dalla malattia di Parkinson alcuni fattori infiammatori specifici, che non si trovano nei soggetti sani. Uno studio è tuttora in corso in collaborazione con diversi altri centri di ricerca in Svizzera e in Italia per confermare questa scoperta, che potrebbe permettere non soltanto d’identificare la malattia con un prelievo di sangue, ma anche di capire meglio la sua progressione. Infatti questi risultati, come quelli di altri ricercatori nel mondo, suggeriscono che lo sviluppo della malattia potrebbe essere legato a un’infiammazione cronica nel cervello e che esista una relazione tra l’accumulo di proteine patologiche e l’infiammazione progressiva. Questi risultati sono sorprendenti soprattutto perché fino a pochi anni fa si pensava che le malattie neurodegenerative fossero completamente diverse dalle malattie infiammatorie. Il futuro ci dirà se provando a ridurre la neuroinfiammazione con medicine specifiche si potrà rallentare la progressione della malattia.

Un altro problema della ricerca nella malattia di Parkinson è la difficoltà ovvia di poter indagare direttamente il tessuto cerebrale umano, in quanto le biopsie cerebrali in-vita, sono invasive e gravate di rischi. Un approccio molto promettente e originale, messo a punto nel laboratorio del Neurocentro, consiste nel prelevare una piccola parte di pelle per studiare le abbondanti terminazioni nervose che qui si trovano. Infatti è stato dimostrato che non solo il cervello è soggetto a neurodegnerazione, ma anche i nervi periferici. La biopsia di pelle può dunque essere utilizzata come un "biomarcatore", sia per la conferma della diagnosi, ma anche per monitorare la progressione della malattia e la risposta ai farmaci.

La ricerca traslazionale offre dunque nuove speranze per poter capire meglio i meccanismi di malattia nell’essere umano, le diversità e le cause, per potere sviluppare nuovi approcci terapeutici efficaci nella malattia di Parkinson.

*Direttore medico e scientifico, Istituto di Neuroscienze Cliniche della Svizzera italiana (Neurocentro) e Prof. ordinario Università della Svizzera italiana

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