La montagna di documenti relativi a conti di gerarchi nazisti nascosti da Credit Suisse getta l'ennesima cattiva luce sulla piazza finanziaria svizzera
A poco meno di due anni dal suo tracollo, dal pozzo nero di Credit Suisse continuano a uscire miasmi sempre più sgradevoli. Verso la fine del 2024 avevamo appreso che, in dieci anni, nonostante la banca cominciasse a manifestare inquietanti segnali di difficoltà, i suoi vertici si erano comunque versati bonus per 38,9 miliardi di franchi. Ebbene, a inizio 2025 un’inchiesta di una commissione del Senato statunitense ci informa che negli anni 90 – mentre infuriava lo scandalo degli ‘averi ebraici in giacenza’ e le banche svizzere davano vita a una gigantesca operazione di ‘glasnost’ costata 1,25 miliardi di dollari destinati ai sopravvissuti all’Olocausto e ai loro eredi – Credit Suisse riuscì a nascondere una montagna di documenti relativi a conti di gerarchi nazisti. Il cui ammontare, come la storia ci ha insegnato, il più delle volte proveniva dalla spoliazione dei beni di cittadini di religione israelita.
Non stiamo parlando di poca roba considerando che i parlamentari Usa si riferiscono, nella loro denuncia, a decine di migliaia di documenti. Quello che indigna, tuttavia, è il doppio gioco di cui si rese protagonista Credit Suisse di fronte alla vicenda degli averi ebraici in giacenza. Da un lato l’istituto, allora il secondo per importanza in Svizzera, contribuì ad alimentare il fondo di 1,25 miliardi di dollari che attestava la responsabilità delle banche elvetiche nei torbidi affari della nomenklatura hitleriana, dall’altro si fece un baffo degli impegni presi, evitando di svelare una parte non indifferente della sua complicità con alcuni dei peggiori criminali del ventesimo secolo. In effetti, in quei documenti figurerebbero i nomi di alcuni alti ufficiali delle SS.
Di più: inizialmente Credit Suisse accettò che un avvocato statunitense esperto in mediazioni, Neil Barofsky, indagasse sul suo passato, per poi allontanarlo nel 2022. Proprio per evitare che approfondisse il suo lavoro. Barofsky, che un anno dopo il siluramento fu reintegrato nell’incarico da Ubs, diventata nel frattempo ‘padrona’ di Credit Suisse, dichiarò che quest’ultimo, stando a quanto scrive il Wall Street Journal, aveva nascosto documenti che recavano stampata la dicitura ‘Amerikanische schwarze Liste’. Si trattava di una lista nera statunitense con i nominativi di società e persone appartenenti alle potenze dell’Asse. Insomma, anche se lo stesso Barofsky ammette che da Ubs sta ottenendo ben altra collaborazione, questa vicenda sta gettando l’ennesima cattiva luce sulla piazza finanziaria svizzera.
Chi si ricorda dello scandalo degli averi ebraici in giacenza avrà ben presente la pessima pubblicità che derivò, alle nostre banche, dall’ostinarsi a negare il dovuto ai discendenti di gente morta nei campi di sterminio nazisti. Ne persero in reputazione, rischiando oltretutto di mettere in cattiva luce la rispettabilità di un intero Paese. Per non dire dell’assist offerto alla concorrenza di altri banchieri, in primo luogo quelli statunitensi e britannici, sempre pronti ad approfittare delle magagne dei loro colleghi-avversari elvetici. Finisce qui questo ulteriore sgradevole capitolo della storia di quella che fu una grande banca? È da sperarlo! Intanto si pulisca quel pozzo nero che continua a emettere sgradevoli miasmi.